Farmacologia di genere

Flavia Franconi
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università di Sassari
Ilaria Campesi
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università di Sassari
INTRODUZIONE
La farmacologia di genere è quella branca della farmacologia che evidenzia e definisce differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci in funzione del genere, eventualmente esistenti tra uomini e donne, includendo anche le differenze derivanti dalla complessità della vita riproduttiva della donna (gravidanza, allattamento, ecc.) nonché, nella donna fertile, del ciclo mensile. Oggi, inoltre, si deve tener conto, almeno per quanto concerne la farmacologia e conseguentemente la terapia, del fatto che un gran numero di donne in età fertile (circa 100 milioni per anno nel mondo) assume associazioni estro-progestiniche come contraccettivi (OC) e che un numero sufficientemente elevato, sebbene in diminuzione, di donne in menopausa assume associazione estro-progestiniche (la cosiddetta terapia ormonale sostitutiva) e ciò può determinare differenze significative nella risposta ai farmaci.
Le precedenti osservazioni indicano che le differenze di genere in parte dipendono dagli ormoni, ma bisogna considerare che il genere è una costruzione poliedrica composta dal ruolo sociale, dai comportamenti, dai valori e dalle attitudini, dai fattori legati all’ambiente sociale e dalle interazioni che questi hanno sui fatti biologici, e tutto ciò partecipa alle creazione delle differenze.
In realtà, è sempre più evidente che vi è un cuore femminile e un cuore maschile, che vi sono vasi sanguigni maschili e femminili, che vi è un cervello femminile e un cervello maschile così come vi è un apparato riproduttivo femminile e uno maschile. Le diversità non devono essere ignorate, ma devono essere utilizzate per arrivare alla cura migliore possibile per le donne e le bambine e per gli uomini e per i bambini. 
Le differenze di genere devono essere esaminate in funzione dell’età ed è importante sapere che esse iniziano in utero e che possono variare nel tempo. Per esempio, è noto, da molti anni, che le donne hanno un metabolismo dell’etanolo diverso rispetto a quello dell’uomo perché uno degli enzimi coinvolti nel metabolismo dell’etanolo, l’alcoldeidrogenasi gastrica, è meno rappresentato nel sesso femminile rispetto a quello maschile e ciò aumenta la biodisponibilità dell’etanolo. Mentre è meno noto che la maggior differenza è presente nell’età giovanile per poi diminuire. Il precedente esempio sottolinea che le differenze di genere non si limitano ai farmaci ma si estendono a molti xenobiotici, come inquinanti ambientali, metalli pesanti, fumo da tabacco e a molte altre sostanze di abuso, i rimedi botanici, i supplementi alimentari, ecc. Quindi la diversità della risposta ad agenti esterni è più vasta di quella pensata fino a pochi anni fa e questo può avere importanti conseguenze sulle interazioni farmaco-farmaco, farmaco-cibo, farmaco-rimedi botanici.
Le differenze di genere per quanto riguarda la farmacologia si possono dividere in due grandi categorie: quelle farmacocinetiche e quelle farmacodinamiche. Le prime sono le più note anche perché sono più facili da studiare mentre le seconde, apparentemente, sono meno numerose, ma ogni giorno la ricerca biomedica ne evidenzia o ne suggerisce delle nuove.
CONSUMO DEI FARMACI DA PARTE DELLE DONNE
Le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci, con consumi superiori compresi tra il 20% e il 30% rispetto agli uomini, accompagnati anche da maggiori consumi di integratori alimentari e rimedi botanici (circa il 40% in più)1.
Numerose sono le motivazioni che portano le donne a un maggiore consumo e potremmo così riassumerle:
• Le donne si ammalano di più, nonostante la loro più lunga aspettativa di vita (paradosso donna) e presentano una maggiore prevalenza di sintomatologie dolorose (emicrania, dolori muscolo-scheletrici). Inoltre, le donne sono più povere e la relazione inversa tra povertà e salute è ben nota. Poi bisogna considerare che i profondi mutamenti del ruolo sociale della donna hanno fatto sì che essa abbia acquisito comportamenti “non salubri”, come l’abitudine al bere e al fumo. Il risultato è stato quello di un aumento nella popolazione femminile delle malattie un tempo prevalenti nel genere maschile 2.
• Le donne sono più numerose nella popolazione anziana; per esempio, nel nostro Paese il 54% dei soggetti di età compresa tra i 65 e i 74 anni è di sesso femminile, mentre dai 75 anni in poi la proporzione sale al 63%2. Da ricordare anche che gli uomini spesso guadagnano anni di vita in salute mentre le donne acquisiscono anni di vita in disabilità.
• Gli eventi fisiologici della vita della donna (mestruazioni, gravidanza, menopausa) sono stati e sono eccessivamente medicalizzati. Ricordiamo che un recente studio effettuato su un database amministrativo della Regione Emilia-Romagna evidenzia che il 70% delle partorienti ha assunto almeno un farmaco con obbligo di prescrizione, mentre il 48% ha assunto un farmaco diverso da vitamine e sali minerali. Il maggior consumo si osserva al terzo trimestre3 ed è importante anche sottolineare che una 1 donna su 100 ha assunto un farmaco con potenziale effetto teratogeno3.
• Le donne, per attenuare il disagio derivante dal loro ruolo nella società, si rivolgono al medico mentre gli uomini ricorrono maggiormente a mezzi al di fuori del SSN (vedi consumo di alcol).
• Le donne sono maggiormente vittime di violenza, basti pensare che il 23,7% e il 18,8% della popolazione femminile italiana ha subito violenza sessuale o fisica4.
• L’attitudine della donna a prestare maggiore attenzione al proprio stato di salute e la maggiore consapevolezza della propria condizione patologica, soprattutto in caso di malattie croniche non fatali5.
• Alcune ricerche internazionali hanno evidenziato che il maggior consumo di farmaci nelle donne possa essere l’espressione di una maggiore tendenza del medico a trattare le donne piuttosto che gli uomini con lo stesso quadro clinico, avendosi così un sovra-trattamento delle donne e un sotto-trattamento degli uomini6.
Se andiamo ad analizzare quanto succede nel nostro Paese, utilizzando i dati contenuti nel rapporto OsMed7 che contiene i dati del consumo e della spesa pubblica di farmaci erogati a carico del SSN tramite l’assistenza territoriale (farmaci di classe A), è evidente che si ha un maggior consumo sia come DDD/1000 abitanti die che in termini di spesa lorda pro capite (in euro) nelle donne. Tuttavia, si osservano comportamenti differenti in rapporto all’età; infatti, le donne sono maggiori consumatrici di farmaci rispetto agli uomini, soprattutto nelle fasce di età comprese tra i 15 e i 54 anni, mentre nella fascia di età pre- post-menopausale la differenza si riduce con un’inversione del trend dai 55 anni in poi.
Al di fuori dell’età pediatrica, si riscontrano delle differenze in funzione delle diverse categorie dei medicinali. Le donne in età fertile consumano più antimicrobici, farmaci per il sistema ematopoietico, preparati ormonali (ricordiamo che nei dati presentati nel rapporto OSMED-2008, la maggior parte degli OC non sono presenti perché a carico del cittadino), mentre in tutte le fasce di età consumano più antineoplastici e antidepressivi, mentre i farmaci per l’apparato cardiovascolare e i prodotti dermatologici sono prescritti in maniera maggiore dagli uomini in tutte le fasce di età. Con l’avanzare dell’età, negli uomini, aumenta in maniera notevole il consumo dei farmaci per l’ipertrofia prostatica benigna. La situazione italiana è analoga a quanto avviene in altre parti del mondo 8-10.
IL PREGIUDIZIO DI GENERE E SOTTORAPPRESENTAZIONE
NELLA SPERIMENTAZIONE
Cause: il bias di genere
Il bias di genere, ancora oggi esistente nella ricerca farmacologica, trova le sue origini tanto in una non corretta metodologia della ricerca, quanto nel permanere di un pregiudizio ad excludendum delle donne basato sulla:
cecità di genere (gender blindness), ossia sull’assunto che, al di fuori della sfera sessuale, l’uomo e la donna fossero molto simili;
fattori di tipo etico, suggeriti dal timore che le donne sottoposte a sperimentazione possano andare incontro a gravidanza, compromettendo la salute del feto o del nascituro a causa dell’eventuale insorgenza di effetti teratogeni (tragedia del talidomide)11;
fattori di tipo economico, poiché la ricerca di genere sarebbe più complessa e più costosa a causa delle importanti e continue variazioni dei parametri fisiologici della donna, dovuti anche alle fluttuazioni ormonali, la cui complessità ciclica mal si adatterebbe ai modelli standard tradizionali degli studi sperimentali12. La cosiddetta “variabilità femminile” è, invece, una chiara espressione della complessità della realtà clinica;
fattori socio-culturali, rappresentati dalla resistenza delle donne a partecipare a studi clinici, generata, probabilmente, da difficoltà connesse al loro ruolo nella società, quali il tempo richiesto per la partecipazione e una scarsa attenzione da parte dei reclutatori alle necessità pratiche e/o psico-logiche femminili13.
La partecipazione delle donne agli studi randomizzati a doppio cieco sarebbe, invece, opportuna e necessaria perché la loro esclusione, derivante da un atteggiamento che potremmo definire protezionistico, non risolve gli eventuali problemi di sicurezza ed efficacia, ma semplicemente ritarda la loro soluzione al periodo successivo all’introduzione del farmaco sul mercato. Infatti, l’estrapolazione alle donne dei risultati della ricerca condotta sugli uomini, come ha sostenuto il Medical Research Council del Canada nel 1998, minimizza l’utilità della stessa ricerca.
Lo scarso arruolamento delle donne si associa a una ricerca preclinica prevalentemente condotta su animali maschi, aggravando così la carenza di conoscenza del “femminile” e conseguentemente pone il problema se i risultati ottenuti su animali maschi siano estrapolabili alle donne.
Il bias di genere non sempre riguarda la donna, ma può investire anche la sfera maschile. In alcune aree patologiche a netta prevalenza femminile, come emicrania o depressione, il pregiudizio riguarda gli uomini, ai quali non viene diagnosticata la malattia oppure non è prescritto un trattamento adeguato14. Particolarmente rilevante è l’esempio della depressione che è spesso causa di ideazione e comportamenti suicidari, e il numero dei suicidi, nella maggior parte dei Paesi occidentali, compresa l’Italia, è maggiore tra gli uomini, forse anche a causa di una ridotta diagnosi di depressione negli uomini15.
Arruolamento
La sottorappresentazione delle donne nelle sperimentazioni cliniche è un problema noto da tempo e soprattutto negli Stati Uniti e in alcuni Paesi del Nord Europa si è cercato di superarlo. In effetti, negli ultimi cinque anni, si è assistito a un incremento dell’arruolamento delle donne soprattutto nelle sperimentazioni di fase III. Però le donne sono sottorappresentate nell’oncologia non genere-specifica dove si attestano al 38,8%16,17 oppure nell’area cardiovascolare18.
Si osserva, invece, che l’arruolamento delle donne rimane ancora fortemente carente nelle fasi precoci (fase 1 e fase 2) della sperimentazione clinica, anche se si registra un leggero trend positivo come illustrato nella Tabella 119. Anche se l’aumento è di lieve entità, esso è sicuramente importante perché è proprio nelle fasi I e II che si studia la farmacocinetica e che si trova la dose, che si mettono in evidenza gli effetti avversi dose-dipendenti, che si raccolgono i primi dati sull’efficacia. A parità di dose di farmaco, le differenze farmacocinetiche possono produrre risposte marcatamente differenti e genere-specifiche20; è pertanto indispensabile che le donne siano arruolate in queste fasi. Tale esclusione potrebbe persino aver limitato e ridotto l’identificazione di farmaci utilizzabili in maniera specifica per il genere femminile21.
Analisi di genere e prospettive
L’arruolamento delle donne nei protocolli sperimentali è, quindi, una condizione necessaria ma non sufficiente per arrivare all’equità della cura: è infatti necessario anche che il disegno degli studi clinici preveda un’analisi di genere, e sempre nel disegno appare opportuno considerare le varie categorie di donne. Nel disegno degli studi è necessario considerare l’interazione età-genere poiché le differenze di genere possono essere età-dipendenti, ed esse sono già presenti durante lo sviluppo embrionale 11. È opportuno inoltre che, quando le differenze emergono, siano prodotte raccomandazioni genere-specifiche.



Attualmente, infatti, molte delle linee-guida sono basate su studi condotti prevalentemente negli uomini adulti e ciò concorre a una minore appropriatezza della cura nelle donne rispetto agli uomini. Infatti, questo studio evidenzia che solo il 75% delle donne anziane riceve una terapia appropriata contro l’83% degli uomini22.
Come vedremo meglio nel paragrafo successivo, è arrivato anche il momento di calcolare la dose media del farmaco in funzione del peso o della superficie corporea (in genere una donna pesa 10 kg di meno ed è più bassa di 10 cm rispetto all’uomo).
È quindi senz’altro opportuno sensibilizzare l’industria farmaceutica alla problematica di genere poiché al momento gli studi finanziati con fondi pubblici arruolano più donne rispetto a quelli finanziati dai privati16. È opportuno sensibilizzare le autorità regolatorie su questa problematica anche per cercare di armonizzare la normativa internazionale ed è senz’altro urgente che aumenti l’arruolamento delle donne nelle fasi precoci della ricerca clinica anche in considerazione del fatto che il consumo dei farmaci è maggiore nelle donne e che le donne spesso sono più soggette a politerapia23 e che presentano reazioni avverse più frequenti e più gravi24.
DIFFERENZE DI GENERE IN FARMACOLOGIA
Differenze farmacocinetiche
Le differenze biologiche tra i due sessi sono notevoli e queste influenzano molti parametri farmacocinetici e ciò in parte dipende anche dagli ormoni e dall’età.
Assorbimento e biodisponibilità
Il pH gastrico e la motilità gastro-intestinale sono ridotti nelle donne rispetto agli uomini e ambedue sono influenzati dagli ormoni, pertanto variano durante il ciclo mestruale e la gravidanza25. La riduzione di 0,5 unità pH osservata nelle donne aumenta l’assorbimento di medicamenti basici (benzodiazepine, antidepressivi) e modifica la velocità della dissoluzione delle forme farmaceutiche che hanno una dissoluzione pH dipendente26. Mentre, la diminuita motilità intestinale potrebbe richiedere un prolungamento dell’intervallo tra cibo e farmaco.
Le differenze di genere nell’assorbimento si estendono ad altri sistemi importanti per l’assorbimento dei farmaci come il sistema polmonare e la cute. Il sistema polmonare è sessualmente dimorfico25; e ciò, anche in assenza di dettagliati e puntuali studi specifici, ci porta a ipotizzare un differente assorbimento dei farmaci come è stato descritto per la ciclosporina; infatti essa, quando somministrata per via inalatoria, è meno assorbita nelle donne che negli uomini27.
La via transdermica è molto utilizzata (cerotti); ma solo pochi studi hanno focalizzato la loro attenzione sulle possibili differenze di genere con questa via di somministrazione. Purtroppo essi non permettono nessuna conclusione; tuttavia, viste le differenze di genere esistenti a livello cutaneo, non appare improbabile la possibilità di differenze genere specifiche.
Metabolismo
Il metabolismo è sessualmente dimorfico sia per quanto riguarda gli enzimi di fase 1 sia per quelli di fase 2 e dipende dal singolo enzima coinvolto.
In breve, la CYP3A4, che metabolizza circa il 50-60% dei farmaci, è: 1) più manifesta nelle donne essendo l’espressione tessuto-specifica28; 2) indotta dagli xenobiotici (rifampicina, fenobarbitale, corticosteroidi, estrogeni, testosterone, cibi, rimedi botanici, contaminati ambientali) in maniera genere-specifica29. In linea generale, molti substrati di CYP3A4 hanno una maggiore clearance di circa 15-30% nelle donne anche dopo correzione per il peso corporeo, il che implica la possibilità di interazioni genere-specifiche. Infine, sono possibili interazioni dinamiche per gli stessi substrati con la P-glicoproteina, un trasportare che facilita l’efflusso dei farmaci dalle cellule, e quindi regola la disposizione e la concentrazione intracellulare dei medicamenti genere-dipendenti, perché l’espressione epatica della P-glicoproteina è minore nelle donne30. Quindi, queste ultime accumulano più farmaco a livello epatico dove può essere metabolizzato più rapidamente.
La CYP2D6 è più attiva e più espressa nel fegato dell’uomo, il che comporta una maggiore clearance nell’uomo specialmente se siamo di fronte agli “extensive metabolizer”31. Questo enzima metabolizza farmaci importanti come antiaritmici (encainide, flecainide, mexiletine, propafenone), beta-bloccanti e antidepressivi11. È per questo che i livelli ematici di flecainide sono più alti nelle donne rispetto agli uomini e ciò si accompagna a maggiore frequenza di effetti avversi32. Fra i beta-bloccanti, il metoprololo e il propranololo presentano livelli maggiori nella donna, e differenze ancora maggiori si osservano nelle donne che prendono OC11. Per altri, come il carvedilolo, nebivololo, alprenololo, non si osservano significative differenze33, altri ancora come l’atenolo non sono substrati dell’enzima. Le differenze appena elencate sono anche alla base delle maggiori reazioni avverse viste con beta-bloccanti substrati della CYP2D6 nelle donne34.
Le CYP2C9 e la CYP2C19 sembrano avere un declino età dipendente maggiore del 25% nelle donne in confronto agli uomini35.
Le CYP2E1 e la CYP1A2 sembrano essere più espresse nell’uomo mentre la CYP1A6 e la CYP2B6 sappiamo essere più attive nella donna che non nell’uomo29. Specifiche differenze di genere sono presenti anche con gli enzimi di fase; infatti, la sulfotransferasi, la glutatione-S-transferasi e la UDP-glucuronsil-transferasi sono più espresse nelle donne11.
La presenza di induttori e di inibitori degli enzimi e di polimorfismi genetici impedisce di arrivare a conclusioni generali, per cui diventa necessario studiare ogni singola molecola, se non il singolo enantiomero, considerando addirittura ogni singolo periodo della vita11,36. Inoltre, le differenze nel metabolismo possono dipendere dall’etnia del soggetto, dall’uso di associazioni estroprogestiniche, dalle condizioni del paziente. L’uso massiccio da parte delle donne di estrogeni e progestinici rende indispensabile conoscere le interazioni fra questi e gli altri medicinali. Interazioni che possono aumentare e o diminuire l’attività degli ormoni oppure possono diminuire o aumentare l’attività del farmaco associato. La numerosità di queste interazioni e la possibilità di scoprirne di nuove consigliano un aggiornamento costante, per esempio sul sito http://www.fpnotebook.com/Gyn/Pharm/OrlCntrcptvDrgIntrctn.htm. Infine, si ricorda che gli enzimi metabolizzanti i farmaci sono presenti anche in altri organi e che il metabolismo dei farmaci potrebbe variare nei singoli organi in funzione del genere.
In conclusione, è arrivato il momento di iniziare a pensare che la biodisponibilità del farmaco possa dipendere dal genere senza dimenticare che tali differenze potrebbero essere funzione del singolo farmaco, dell’età, della via di somministrazione utilizzata e della politerapia.
Distribuzione
La dimensione corporea è fondamentale per calcolare il dosaggio medio di un farmaco, dosaggio che fino a ora è stato calcolato sulle dimensioni di un maschio caucasico di 70 kg (una donna, lo ricordiamo, in media pesa 10 kg di meno). Il corpo femminile e maschile differiscono anche per la composizione. Infatti, quello femminile ha una quantità superiore di massa grassa (25%) e una minore quantità di massa muscolare (10%) e di acqua totale (15-20%) avendo anche organi più piccoli25,36. I precedenti parametri variano con l’età. Infatti, il grasso cresce dal 33% delle donne adulte e fertili al 48% delle donne in menopausa, negli uomini si passa invece dal 18% al 36%36, mentre l’acqua e il volume degli organi diminuiscono. Inoltre, l’acqua extracellulare e gli elettroliti variano in funzione del ciclo mestruale; infatti, l’acqua è massima durante la fase follicolare e ovulatoria25. Per ridurre, almeno in parte, le differenze dovute alla dimensione e alla composizione corporea si potrebbe normalizzare la dose dei medicamenti per il peso corporeo o per la superficie corporea.
Per quanto riguarda i farmaci del sistema cardiovascolare ci sono raccomandazioni relativamente alla normalizzazione del peso per: la digossina, per alcuni antiaritmici, per l’eparina e i trombolitici. Purtroppo esse non sono sempre applicate nella pratica clinica28.
Riassumendo, le donne hanno un volume di distribuzione minore per quanto riguarda i farmaci idrofili mentre il contrario si realizza con i farmaci lipofili e questo appare importante e rilevante per i farmaci a basso indice terapeutico. Le differenze di dimensione potrebbero essere in parte corrette somministrando una dose corretta per il peso corporeo o per la superficie.
Eliminazione
Le differenze di genere coinvolgono anche l’escrezione renale. La velocità di filtrazione glomerulare e il flusso sanguineo renale sono più bassi nella giovane donna che non nell’uomo giovane. La velocità di filtrazione renale rimane più bassa (10%) nelle donne anche dopo la correzione per il peso. A questa differenza si attribuisce, per esempio, la differente clearance della digossina che risulta essere del 12%-14% più bassa nella femmina che nel maschio.
La velocità della filtrazione glomerulare e il flusso renale decadono con l’età in maniera maggiore nell’uomo che non nella donna e all’età di 70 anni essi sono uguali nei due sessi37. Ciò suggerisce che l’eventuale correzione della dose e/o del regime terapeutico deve essere fatta attraverso algoritmi che considerano la clearance della creatinina, l’età, il sesso, la creatinina sierica; tali algoritmi sono disponibili on line sul sito http://www.kidney.org o http://www.nkdep.nih.gov (per SI units).
Poco si sa sulle GD a livello dei trasportatori renali e di altri organi, ma i pochi lavori sull’argomento sembrano suggerire differenze anche a questo livello. 
Differenze farmacodinamiche
Le differenze farmacodinamiche sono difficili da individuare e risultano in parte mediate dagli ormoni sessuali, in parte dai geni e in parte dall’ambiente. I recettori intracellulari e di membrana degli ormoni sessuali sono presenti in molti tessuti, ossa, vasi, cervello, fegato, ecc. e partecipano alla regolazione di molte funzioni come il sistema redox cellulare e il destino cellulare38,39, il dolore, la memoria, l’apprendimento, interagendo, per esempio, con i recettori degli oppioidi, della glicina, del GABA, del glutammato40,41. Senza contare che alcuni derivati del progesterone, i cosiddetti neurosteroidi, svolgono un ruolo chiave nelle attività promosse dall’attivazione dei recettori GABA-A42. È evidente che le modificazioni ormono-dipendenti hanno un’alta probabilità di essere
età-dipendenti e ciclo-specifiche, essendo condizionate anche dalla gravidanza e dal puerperio. Per esempio, durante la gravidanza si ha una concentrazione particolarmente alta di neurosteroidi
42.
La cellula maschile è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma X e un cromosoma Y. Quella femminile ha due cromosomi X, uno di questi viene inattivato durante lo sviluppo dell’embrione. Questo fa sì che i geni del cromosoma X (X-linked imprinted genes) di origine materna saranno più espressi nei maschi, mentre nelle femmine saranno presenti anche quelli di origine paterna43; inoltre, il silenziamento del cromosoma X è spesso imperfetto e ciò porta a una diversa espressione di geni foriera di differenze44.
Infine, sia l’ambiente esterno (fattori ambientali, sociali) sia quello interno (nutrienti, dieta, composti chimici) possono influenzare in maniera genere-specifica l’attività di regolazione dei geni, ed è proprio grazie all’epigenetica che possiamo capire come il sociale impatta sul bio, modificandolo stabilmente.
Le differenze di tipo farmacodinamico sono alla base della maggiore suscettibilità delle donne verso la sindrome del QT lungo, delle fratture dai tiazolidonici, ecc. (vedi oltre).
FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA CARDIOVASCOLARE
È molto difficile avere delle chiare indicazioni sull’efficacia terapeutica dei farmaci cardiovascolari perché in questa aerea le donne sono state assolutamente sottorappresentate e lo sono tuttora19,45,46. Questo ha prodotto molti punti interrogativi relativamente all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci cardiovascolari nella donna45-47 e non poteva che essere così perché gli studi effettuati sugli animali maschi e sugli uomini sono stati traslati alle donne senza considerare le loro specifiche differenze fisiologiche e patologiche. Per notizie più dettagliate sui farmaci cardiovascolari, si consiglia di leggere le review appena citate.
Ma appare paradigmatico che nel 2009 non si sappia ancora con certezza se le statine funzionano nella prevenzione primaria delle donne48-53. Le statine sono generalmente considerate sicure48, però, al di là della tossicità epatica, è stato calcolato che l’1-5% dei soggetti trattati soffrano di disturbi muscolari (dolore, debolezza, crampi accompagnati da un aumento delle creatine chinasi) che possono portare anche al drop-out54 e questo sembra essere più frequente nelle donne che negli uomini55. Inoltre, alcuni autori sostengono che, nella pratica clinica, la miopatia potrebbe essere molto più frequente (33%) di quanto sospettato. Dall’altra parte, la Food and Drug Administration ha evidenziato che tra il novembre 1997 e il maggio 2004 gli effetti avversi (ADE) causati dalla simvastatina sono stati 49.350, di cui 416 decessi48. Quindi prima di esporre le donne agli effetti collaterali da statina forse sarebbe opportuno essere sicuri sull’efficacia nella prevenzione primaria.
Nelle giovani donne, inoltre, è necessario tenere presente un probabile effetto teratogeno, essendo stati evidenziati disturbi neurologici gravi e disturbi agli arti in bambini nati da donne che nel corso della gravidanza avevano assunto statine. Attualmente, non vi è dubbio che per quanto riguarda la prevenzione secondaria le statine risultano attive anche nelle donne11. Dove peraltro sarebbe opportuno scegliere la statina da somministrare considerando le differenze farmacocinetiche delle stesse anche se non esclusivamente per evitare interazioni pericolose. Infatti, alcune statine quali la lovastatina, l’atorvastatina e la simvastatina sono metabolizzate dalla CYP3A4 (maggiore nelle femmine), quindi in presenza di inibitori di questo enzima si possono avere maggior ADE54, altre come la rosuvastatina sono substrato della CYP2C19, mentre altre ancora come la pravastatina non sono substrato delle CYP. È da considerare anche che le statine lipofile hanno un volume di distribuzione maggiore nelle donne.
FARMACI CHE AGISCONO SUL SISTEMA NERVOSO
Tante le differenze di cui potremo parlare ma ci limitiamo a due esempi significativi: gli antidepressivi e gli analgesici.
Antidepressivi
La depressione, tra i 14 e i 44 anni, costituisce la prima causa di disfunzionalità nelle donne, che sono le maggiori consumatrici di farmaci antidepressivi. Tra gli antidepressivi, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) sono quelli più usati. Gli ADE da SSRI sono abbastanza comuni e sono più frequenti e più gravi nelle donne56. Essi sono associati alla cosiddetta reazione serotoninergica soprattutto se assunti insieme ad altri farmaci che interferiscono con la serotonina, per esempio i triplani, sindrome che, se non viene curata, può evolvere in coma, acidosi metabolica, rabdomiolisi, insufficienza renale e morte. Gli SSRI sono stati recentemente associati nelle donne a stroke emorragico fatale57. Mentre i triciclici e gli SSRI sono associati a morte cardiaca improvvisa e ciò merita studi approfonditi58 e a un aumento di tutte le cause di morte57. In linea con questo, è l’osservazione che l’uso di SSRI possa contribuire ad aumentare i costi per l’ospedalizzazione59.
È importante ricordare che antidepressivi sono metabolizzati dalle CYP, in particolare la CYP2D6; possono però intervenire altri enzimi in funzione della singola molecola. Essi possono anche inibire le CYP; in particolare, la fluoxetina e la paroxetina sono forti inibitori della CYP2D6, mentre la sertralina e il citalopram, la venlafaxina, la mirtazapina e la reboxetina sono inibitori deboli. Altri, come la fluvoxamina, inibiscono marcatamente le CYP1A2 e CYP2C19. Queste conoscenze possono impedire interazioni importanti quando è necessario somministrare altri farmaci e indicano che ci può essere un metabolismo genere specifico soprattutto per i substrati della CYP2D6. Per esempio, ci domandiamo se l’efficacia del tamoxifene, nella prevenzione delle recidive del tumore della mammella, mediata da un metabolita prodotto dalla CYP2D6, rimane in corso di co-terapia con inibitori della CYP2D6 60.
I bambini nati da donne trattate nel secondo e terzo trimestre con SSRI hanno una maggiore probabilità di sviluppare ipertensione polmonare e ciò si associa a preoccupazioni precedenti legate all’uso di SSRI in gravidanza (irritabilità, difficoltà a nutrirsi e più raramente difficoltà respiratoria). Ricordiamo, infine, che la paroxetina è stata recentemente riclassificata da classe C a D perché l’esposizione nel primo trimestre di gravidanza sembra essere associata a rischio di malformazioni cardiache.
Analgesici
Classicamente gli analgesici si dividono in oppioidi e non oppioidi. I primi esercitano la loro azione mediante tre sottotipi recettoriali: μ, k e δ e gli agonisti sembrano avere una maggiore efficacia nelle donne rispetto agli uomini61. Gli uomini si autosomministrano dosi maggiori di morfina (circa 2,4 volte) rispetto alle donne. Le donne hanno una maggiore probabilità di sviluppare depressione respiratoria (www.iasppain.org). Inoltre, le donne, sembrano presentare maggiore analgesia con gli agonisti dei recettori k (pentazocina, butorfanolo) al punto che numerosi autori sostengono che l’uso degli agonisti k nelle donne possa rappresentare una valida alternativa alla morfina61.
Le donne vanno più facilmente incontro a depressione respiratoria in seguito a terapia con analgesici oppioidi11. In effetti, i risultati di 8 studi clinici indicano che la dose di morfina necessaria per avere una risposta analgesica è minore nelle donne (60%) rispetto a quella necessaria per gli uomini11. Tali differenze non riguardano solamente gli agonisti dei recettori mu, ma si estendono agli agonisti dei recettori K come pentazocina, nalbufina e butorfanolo che risultano più efficaci nella donna11 che nell’uomo.
È evidente, al momento attuale, che le problematiche di sicurezza con i trattamenti farmacologici sono di particolare rilevanza nel sesso femminile.
Per quanto riguarda gli analgesici non oppioidi, differenze sono state accertate con l’ibuprofene che, a parità di concentrazioni plasmatiche, è più efficace negli uomini61. Questi dati fanno sospettare differenze di tipo farmacodinamico62. Tutto ciò suggerisce che vi possono essere differenze di genere fino a oggi insospettate anche nel trattamento con gli antinfiammatori non steroidei61.
GLI EFFETTI AVVERSI (ADE)
Cause
Le donne hanno un rischio maggiore (1,5-1,7 volte) di sviluppare ADE63. Gli stessi autori hanno anche evidenziato che il 59% dei ricoveri ospedalieri dovuto a ADE è a carico dalle donne. Alla maggior gravità e alla maggiore frequenza delle ADE concorrono tutta una serie di fattori come:
una particolare suscettibilità femminile (vedi torsades de point, delle fratture da tiazolidindioni, lupus erythematosus da procainamide, da idralazina, sanguinamento da trombolitici, ecc.)11;
la politerapia, che è più frequente nelle donne, perché come abbiamo già detto consumano più farmaci11;
l’età: ci sono più donne anziane che uomini anziani;
possibilità di sopradosaggio: il dosaggio individuato per soggetti di sesso maschile di 70 kg, quindi con possibilità di sovradosaggio nel sesso femmile specialmente per le donne piccole;
la depressione: questa patologia è associata a un maggior rischio di ADE64 e la depressione è più frequente nelle donne che negli uomini65;
il diverso atteggiamento del medico66.
Sono state descritte ADE che sembrano essere esclusivo appannaggio del sesso femminile, come le fratture degli arti in seguito a terapia con tiazolidindioni67. La genesi di questo ADE non è ancora chiarità, però sembra gli estrogeni vi giochino un ruolo importante68.
Nella prassi, più frequentemente si osserva che certi tipi di ADE hanno una prevalenza maggiore nelle donne che negli uomini. È questo il caso della sindrome del QT lungo acquisita, che talvolta può andare verso il torsades de point, una grave aritmia che può essere anche fatale. Ciò dipende dal fatto che, dopo la pubertà, la ripolarizzazione cardiaca è più lunga di circa 20 msec nella donna69. Fra l’altro, essa è indotta da più di 100 molecole fra di loro molto eterogenee (per essere sempre al corrente, consultate il sito http://www.torsades.org) fra cui spiccano gli antiaritmici, gli antipsicotici, gli antidepressivi, gli antibiotici macrolidi (per es., l’eritromicina), gli antifunginei azolici, ecc.
Il rischio aritmogeno può aumentare se si associano due farmaci che possiedono entrambi la capacità di prolungare l’intervallo QT. Però, può anche accadere che un farmaco che prolunga il QT venga associato a un altro farmaco che inibisce il metabolismo del primo farmaco.
Quindi prima di prescrivere un farmaco che induce un prolungamento del tratto QT, si dovrebbe considerare: a) la disponibilità di alternative terapeutiche ugualmente efficaci ma con un miglior profilo di sicurezza; b) la storia personale o familiare (per es., una storia di episodi di sincope in età infantile o giovanile, casi in famiglia di morte improvvisa in giovane età); c) evitare nei pazienti in trattamento con farmaci che allungano il QT, se possibile, la co-somministrazione di farmaci che possano a loro volta indurre lo stesso effetto o che inibiscano il metabolismo del farmaco in questione. Il cuore femminile, poi, è più sensibile ai chiemoterapici in genere e non solo alle antracicline, sviluppando più facilmente insufficienza cardiaca dopo il trattamento con chemioterapici 70.
È inoltre noto, dal 1980, che le donne sanguinano di più in corso di terapia eparinica71 ed essere donna comporta una maggiore frequenza di porpora trombocitopenica, una patologia su base immunitaria più frequentemente indotta dall’eparina ad alto peso molecolare72.
Le alterazione del metabolismo indotte da farmaci con conseguenti fratture si trovano più frequentemente nel sesso femminile in corso di terapia con eparina e anticoagulanti orali11.
CLASSI DI FARMACI GENERE-SPECIFICI PER LA DONNA
La maggior parte delle donne italiane vive oltre un terzo della propria vita in menopausa e spesso vive la menopausa come una malattia e non come un cambiamento naturale e fisiologico. Perciò, la terapia ormonale sostitutiva (TOS) è stata proposta a milioni di donne sulla base di dati provenienti da studi osservazionali e per di più brevi. Dopo la comparsa di due studi indipendenti di buona qualità come il Women’s Health Initiative (WH) e il Milion Women Study si è avuto una riduzione di questa terapia. Infatti, i due studi hanno evidenziato che la TOS:
• non solo non riduce il rischio cardiovascolare ma, al contrario, lo aumenta, soprattutto nel primo anno di trattamento, così come il rischio di infarto, di tromboembolismo venoso (TEV) e di ictus ischemico, indipendentemente da altri fattori, e il rischio aumenta in rapporto all’età e alla durata del trattamento73;
• eleva il rischio di carcinoma invasivo della mammella74,75 essendo il rischio maggiore con l’associazione estro-progestinica rispetto alla solo estrogenica o a quella con titolone76,77; dopo cinque anni dall’interruzione della terapia, il rischio di carcinoma torna agli stessi livelli delle donne che non hanno praticato la TOS;
• non protegge dal rischio di aterosclerosi periferica78;
• non migliora o non previene il deterioramento delle funzioni cognitive in donne di età superiore ai 65 anni, nelle quali al contrario è stato dimostrato un aumentato del rischio di demenza79,80;
• non ha effetti protettivi rispetto all’incontinenza urinaria, anzi si osserva un aumento della comparsa di incontinenza da sforzo e mista nelle donne sane, e peggioramento di tutti i tipi di incontinenza nelle donne già precedentemente incontinenti81;
• riduce i sintomi della menopausa, con forte miglioramento della sintomatologia vasomotoria e dei disturbi del sonno82,83;
• riduce il rischio per il carcinoma colon-retto82,83;
• previene l’osteoporosi, con riduzione del numero di fratture totali e delle fratture dell’anca82,83.
I risultati di tali studi contrastano con i dati della ricerca sponsorizzata84 e hanno portato l’EMEA a rivalutare il rapporto beneficio/rischio per le indicazioni autorizzate. Da questo nuovo calcolo sono nate delle raccomandazioni che possono essere così riassunte: tale rapporto per la TOS è da considerarsi favorevole solamente nel trattamento dei sintomi della menopausa (sintomi vasomotori quali sudorazione e vampate di calore, disturbi vaginali legati a secchezza delle mucose, quali dispareunia, disturbi del sonno) e il trattamento deve essere fatto con la dose efficace minima e per un periodo breve di tempo. Mentre, per la prevenzione dell’osteoporosi, deve essere considerata un’opzione di seconda scelta, dopo accurata valutazione del rapporto individuale beneficio/rischio, per il trattamento di donne intolleranti ad altre terapie di prevenzione dell’osteoporosi e per coloro in cui le altre terapie sono controindicate o non hanno prodotto alcun beneficio. Quindi, nelle donne sane che non mostrano i sintomi della menopausa la TOS non andrebbe impiegata poiché il rapporto rischio/beneficio è generalmente non favorevole. Le conclusioni della revisione hanno riguardato tutti i prodotti a base di estrogeni o di tipo combinato estro-progestinico impiegati nella TOS.
AZIONI INTRAPRESE IN ITALIA
Recentemente in Italia si è incominciato a prendere atto dell’esistenza del problema grazie anche all’azione di alcune società scientifiche e all’azione delle poche persone che si occupano della salute e medicina di genere, che non è la medicina delle donne. Ma è qualcosa di più complesso, perché la medicina e la salute di genere non si occupano solo del corpo, ma anche delle influenze dell’ambiente inteso nel senso più ampio sulla salute. 
In Italia, qualcosa è stato fatto, però tutto è avvenuto in maniera sporadica, quasi lasciato alla volontà dei singoli. In breve, nel 2005, è stato, infatti, istituito presso il Ministero della Salute il Tavolo di Lavoro “Salute delle donne e farmaci per le donne”, cui hanno partecipato l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR) e la Società Italiana di Farmacologia (SIF), coordinato dal Sottosegretario Elisabetta Alberti Casellati. Nel 2007 è stato istituita, dall’allora Ministro della Sanità Livia Turco, la Commissione sulla Salute delle Donne. I lavori della commissione si sono conclusi con la pubblicazione del Rapporto “Stato di salute delle donne in Italia”, che raccomanda di raccogliere i dati di genere sulla salute e proporre approfondimenti metodologici di rilevazione e analisi statistica, proporre percorsi di formazione specifica a livello universitario e per gli operatori del SSN e di promuovere programmi di ricerca in una prospettiva di genere. Nell’ambito dei programmi di finanziamento promossi dal Ministero della Salute, nell’anno 2007, è stata inserita l’area strategica salute della donna e sono stati finanziati progetti di ricerca nel campo della medicina di genere. L’AIFA, nell’ambito dei tre bandi 2005-2007, dei programmi di ricerca scientifica indipendente, ha finanziato alcune tematiche dedicate a progetti di ricerca sui farmaci che fornissero contributi rilevanti alla farmacologia di genere sia per patologie cliniche caratteristiche della donna, sia per problemi clinici legati a specifiche fasi del ciclo della vita femminile, come la gravidanza e la menopausa.
Molto importate appare l’azione intrapresa dal Comitato Nazionale di Bioetica che ha elaborato, nel 2008, un documento dal titolo “La sperimentazione farmacologica sulle donne”. Altrettanto importante è l’indagine conoscitiva svolta dalla 12a commissione permanente del Senato (Igiene e Sanità), presieduta dal Sen. Antonio Tomassini, che in molte sue parti evidenzia la necessità di considerare il determinante genere per programmare nuovi interventi sanitari.
Per preparare gli esperti, l’Università di Sassari, nel 2006, ha poi istituito un dottorato di “Farmacologia di Genere” e nel 2009 sono uscite le prime due dottorande. Sempre l’università di Sassari partecipa a un consorzio europeo che ha lo scopo di fare il primo master europeo di genere.
Infine, nel 2010-2011, l’Agenas ha istituito gruppi di lavoro per linee guida di genere nelle malattie cardiovascolari e respiratorie. Inoltre, nel 2011, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha istituito un gruppo di Lavoro “Farmaci e Genere”.
Ovviamente, è stata creata una serie di eventi per diffondere la problematica, ma quello che ancora manca sono le azioni costanti che hanno lo scopo di applicare i concetti nella medicina di genere nella realtà clinica. L’area è talmente grande e ancora talmente da esplorare, che è necessario attivare anche precise linee di ricerca sia preclinica sia clinica anche per aderire alle raccomandazioni dell’OMS. Senza queste azioni sarà impossibile arrivare all’equità della cura. È altrettanto importante sottolineare che non si arriva solo all’equità della cura, ma attraverso la farmacologia di genere si arriva anche all’appropriatezza della cura. Fare farmacologia di genere significa anche poter indurre un notevole risparmio sulla spesa farmaceutica non più basata sul mero taglio, ma mediante l’appropriatezza.
GLOSSARIO
AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco): è l’organismo di diritto pubblico che opera sulla base degli indirizzi e della vigilanza del Ministero della Salute, in autonomia, trasparenza ed economicità. Scopo dell’AIFA è garantire, in raccordo con le Regioni, l’unitarietà nazionale del sistema farmaceutico nazionale, promuovere l’impiego sicuro e appropriato dei medicinali, favorire la ricerca e lo sviluppo e tenere rapporti con le altre Agenzie Internazionali.
Assistenza farmaceutica territoriale (o assistenza farmaceutica convenzionata): indica l’erogazione di farmaci a carico del SSN tramite farmacie pubbliche o private, con esclusione quindi dell’erogazione ospedaliera e della distribuzione diretta da parte di strutture sanitarie pubbliche alternative a quelle convenzionali.
ATC (classificazione Anatomica Terapeutica Chimica): sistema internazionale di classificazione dei farmaci curato dal Collaborating Centre for Drug Statistics Methodology dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La classificazione assegna, sulla base dell’uso terapeutico principale, un codice univoco articolato in cinque livelli gerarchici corrispondenti rispettivamente a gruppo anatomico principale su cui il farmaco agisce (I livello), gruppo terapeutico (II livello) sottogruppo chimico/farmacologico/terapeutico (livelli III e IV) e singolo principio attivo (V livello).
AUC (Area Under the Curve): area sotto la curva concentrazione plasmatica-tempo. Dipende dall’entità di assorbimento, dal volume di distribuzione e dalla velocità di eliminazione del farmaco.
Biodisponibilità: percentuale o frazione della dose di farmaco somministrata che entra effettivamente nel circolo sistemico ed è in grado di distribuirsi a tutto l’organismo.
Clearance: volume di sangue virtualmente ripulito, nell’unità di tempo, dai processi di eliminazione.
Cmax: massimo valore di concentrazione plasmatica del farmaco.
CYP (Citocromo P450): superfamiglia enzimatica di emoproteine coinvolte nella detossificazione dell’organismo, essendo in grado di agire su una gran numero di differenti substrati, sia esogeni (farmaci e tossine di origine esterna) sia endogeni (prodotti di scarto dell’organismo).
DDD (Defined Daily Dose, dosi definite giornaliere): valori di riferimento standard, utilizzati per misurare i consumi di farmaci in accordo con le raccomandazioni dell’OMS. Rappresentano la dose media giornaliera di mantenimento per un farmaco, nella sua indicazione principale in pazienti adulti. Il numero di DDD si esprime abitualmente in DDD/1000 abitanti die, che indica il numero medio di dosi di farmaco consumati.
Farmacologia di genere: branca della farmacologia volta a indagare e definire, dove presenti, le differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci con lo scopo di superare il pregiudizio di genere che ha caratterizzato in passato la ricerca farmacologica, sia preclinica sia clinica.
Fase I: gli studi clinici di fase I hanno lo scopo di valutare la dose massima del farmaco in studio tollerata dall’uomo e gli effetti collaterali. Sono condotti generalmente su un numero limitato di volontari sani.
Fase II: negli studi clinici di fase II viene valutato se il farmaco funziona sufficientemente bene per essere testato in fase III e forniscono maggiori informazioni sugli effetti collaterali e come gestirli e sulla dose efficace. È arruolato un numero limitato (100-300) di pazienti affetti dalla patologia per la quale il farmaco è stato sviluppato.
Fase III: negli studi clinici di fase III è arruolato un numero molto maggiore di soggetti (>1000) e ha lo scopo di determinare se il farmaco è efficace e sicuro confrontandolo con la migliore terapia farmacologica al momento disponibile.
Fase IV: gli studi di fase IV servono a valutare l’efficacia e la sicurezza dopo l’immisione sul mercato e quindi nelle reali condizioni di impiego.
Food and Drug Administration (FDA): agenzia federale statunitense cui sono affidati compiti di tutela della salute pubblica attraverso la sorveglianza dell’efficacia e della sicurezza dei medicinali a uso umano e a uso veterinario e della sicurezza e controllo degli alimenti.
Gender bias: gli effetti di un errore sistematico (bias) causato dal pregiudizio legato al genere.
Gender blindness (cecità di genere): distorsione legata alla convinzione che l’uomo e la donna siano biologicamente e fisiologicamente molto simili.
Genere: l’insieme delle differenze uomo-donna basate sulla cultura.
Metanalisi: tecnica clinico-statistica che permette di analizzare una serie di studi condotti sullo stesso argomento, consentendo una sintesi quantitativa dei risultati e permettendo di superare la scarsità di dati e quindi la scarsa potenza degli studi, oppure superare la discordanza dei risultati.
Reazione avversa (o Adverse Drug Reaction, ADR): è la reazione, nociva e non intenzionale, a un medicinale impiegato alle dosi normalmente somministrate nel paziente a scopi profilattici, diagnostici o terapeutici o per ripristinarne, correggerne o modificarne le funzioni fisiologiche. Si distingue in reazione avversa grave e reazione avversa inattesa. La reazione avversa grave: se provoca il decesso di un individuo, o ne mette in pericolo la vita, ne richiede o prolunga il ricovero ospedaliero, provoca disabilità o incapacità persistente o significativa o comporta un’anomalia congenita o un difetto alla nascita. Reazione avversa inattesa: la reazione avversa di cui non sono previsti nel riassunto delle caratteristiche del prodotto la natura, la gravità o l’esito. Definizione OMS di reazione avversa: qualsiasi risposta a un farmaco che sia dannosa e inattesa e che sopravvenga alle dosi comunemente usate nell’uomo a scopo di profilassi, diagnosi o terapia (WHO Technical Report Series No. 425, 1969).
Sesso: l’insieme delle differenze uomo-donna basate sulla biologia.
Volume di distribuzione (o volume apparente di distribuzione): volume di liquido che sarebbe necessario per contenere tutto il farmaco presente nell’organismo alla stessa concentrazione in cui si trova nel sangue o nel plasma. È dato dal rapporto fra la quantità di farmaco nell’organismo all’equilibrio di distribuzione e la sua concentrazione plasmatica. Dipende dalla lipofilia del farmaco, dal suo legame con le proteine plasmatiche e dall’affinità per esso dei tessuti di deposito.
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