Personalizzazione umanizzazione e percorsi di cura

VALERIA PRELLA

Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università di Genova

Nella mattina di domenica 20 ottobre, in occasione della XLV edizione del Congresso Nazionale SIFO, si è tenuta presso la Sala Ischia della Mostra d’Oltremare di Napoli, la Main Session dal titolo “Personalizzazione umanizzazione e percorsi di cura”.

Nel cappello introduttivo dei moderatori (Maria Ernestina Faggiano, Stefania Polvani e Maurizio Pastorello) viene esplicitato come il farmacista ospedaliero, nella cooperazione con il restante personale sanitario e quale punto di congiunzione tra il paziente e il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), garantisca la continuità assistenziale e abbia l’importante compito di istruire i pazienti al corretto uso delle terapie.

In questo senso il farmacista deve essere dotato, oltre che di technical skills, anche di non-technical skills, che gli permettano di attuare l’umanizzazione della cura e ottenere il miglior risultato possibile nella presa in carico dell’assistito. La capacità di personalizzare la cura, intesa anche come comprensione delle necessità del paziente, infatti, rientra tra le skills che il farmacista dovrebbe possedere.

È importante, infatti, che la presa in carico del paziente sia facilitata; inoltre, è altrettanto importante accertarsi che si trovi in appropriatezza: il farmacista è in prima linea nella verifica dell’appropriatezza terapeutica.

Il farmacista, ancora, nella presa in carico di pazienti cronici si occupa, tra le altre cose, anche della fase transitoria tra il ricovero e le cure domiciliari; questa transizione presenta degli ostacoli, anche di tipo emotivo, che il farmacista si trova a dover coadiuvare ad affrontare. Il caso clinico viene quindi visto come la storia di una persona che ha bisogno di cura, di una cura che sia umana.

Sandro Spinsanti, direttore dell’Istituto Giano per le Medical Humanities, nel suo intervento dal titolo “Percorsi di cura e Umanizzazione: il binomio possibile” afferma che non bisogna vedere la medicina in modo dualistico, come se fosse caratterizzata in modo esclusivo da un lato da aspetti scientifici, tecnologici e dati analitici e dall’altro da aspetti emotivi, dall’attenzione e dall’ascolto.
Questo tipo di schematismo dovrebbe essere superato: non esistono due tipi di “medicine”, ma ne esiste solo una, per cui dovrebbe essere attuata una
queerness, intesa nel senso di trasversalità, che consenta un’umanizzazione della medicina scientifica, in cui l’umanità della cura risulti parte integrante del processo assistenziale. L’umanizzazione della cura non dovrebbe essere “un di più”, ma essere intrinsecamente un modo di fare medicina.

Secondo Spinsanti la cura può essere definita secondo tre modalità.

La prima vede la cura derivata dal concetto di pietas, per cui essa sarebbe motivata dalla relazione affettiva tra due individui (che può essere di sangue o meno).

La seconda è spinta dal fatto di appartenere a una società solidale, dove non vige l’indifferenza verso l’altro che soffre e si può configurare nel volontariato. In questi casi, la cura filantropica non può essere imposta ma solo esortata.

Infine, la terza modalità di cura, è quella attuata dal nostro sistema sanitario nazionale. Sarebbe auspicabile però, che le tre modalità si interfacciassero l’una con le altre.

Il SSN definisce i livelli essenziali di assistenza (LEA) e i livelli essenziali di prestazione (LEP) – ovvero uno standard di prestazione che deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio – che, al momento, possono essere visti come modi diversi di organizzare i percorsi di cura.
In questo senso, secondo Maria Ernestina Faggiano si dovrebbe avere l’ambizione di raggiungere dei livelli essenziali di assistenza e di prestazione insieme (LEAP).

Secondo Daniela Scala, radiofarmacista presso la Medicina Nucleare AORN A. Cardarelli di Napoli, proprio grazie alle skills non tecniche del farmacista, che spesso, purtroppo, non sono acquisite nell’ambito della formazione universitaria, la prestazione sanitaria diventa più rispondente alle esigenze di cura del paziente. Tra queste expertise di tipo non tecnico si possono trovare: abilità di decision making, capacità relazionali e infine di lavoro in team.

Alcune reazioni avverse ai farmaci sembrerebbero proprio legate a errori nella comunicazione tra personale sanitario e paziente o problemi legati al decision making. Scala riporta l’esempio dell’effetto placebo. Esso è legato alla somministrazione di una “terapia” fittizia e dimostra proprio che, per l’idea di essere curati, per la fiducia che si ripone nel trattamento si ottenga un effetto psicologico positivo, delle suggestioni positive, intrinsecamente legate all’atto terapeutico. Tali suggestioni positive possono essere legate anche alla “postura narrativa” ovvero la postura relazionale, al contesto in cui il paziente si trova e alle capacità relazionali del suo interlocutore, in questo caso l’operatore sanitario, tutti fattori che fanno parte del “rituale dell’atto terapeutico”. In questo senso, la formazione dell’operatore è fondamentale.

Un modo per poter applicare l’umanizzazione della cura è la medicina narrativa, basata su una metodologia comunicativa. Essa è una metodologia di intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa che permette l’ottenimento di un percorso di cura personalizzato. La narrazione è uno strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di tutti i soggetti coinvolti nel processo di cura, quindi, oltre al paziente, anche gli operatori sanitari.
Grazie all’ascolto, alla comprensione delle esigenze di cura del paziente, la terapia prescritta dal medico viene integrata. Con la “narrazione” del paziente il farmacista può meglio comprenderne il contesto sociale ed accompagnarlo in modo più appropriato nel suo percorso terapeutico; nella narrazione sono comprese le aspettative, le paure e le ansie: in questo dialogo il farmacista restituisce la sua di narrazione, che sarà di carattere tecnico-scientifico, arricchita dall’umanizzazione e quindi dalla personalizzazione della cura.

Esistono articoli che, a tal proposito, forniscono istruzioni al farmacista su come poter applicare tale metodologia, anche perché essa può avere un’influenza positiva sul lavoro in team: tanto riceve il paziente, quanto è la soddisfazione che possono ricevere in cambio i professionisti sanitari; nell’applicazione della medicina narrativa ci sono vantaggi e risultati, sia per il paziente che per l’operatore sanitario. Grazie alla narrazione vengono raccolti, infatti, delle informazioni e degli aspetti che con una ricerca di tipo esclusivamente quantitativo non vengono colti, in quanto un approccio unicamente tecnico è insufficiente a comprendere appieno le implicazioni che la malattia può avere per i pazienti e tutte le sfumature che può assumere.

È importante però ribadire che la personalizzazione e la narrazione possono riguardare tutti i settori, seppur tra loro diversi, in cui opera il farmacista ospedaliero, in quanto egli prende in carico oltre che il paziente anche la terapia. Anche le skills tecniche sono fortemente coinvolte e lo dimostra Alessandro D’Arpino, farmacista presso l’AOU di Perugia, nel suo intervento dal titolo “Technical skills del Farmacista nella personalizzazione delle terapie”. La galenica clinica è essenziale affinché sia possibile la personalizzazione dei medicinali per ogni singolo paziente. Essa può essere definita come l’arte di personalizzare i singoli medicinali, pensati come prescrizione del medico per il singolo paziente, ovvero consiste nella trasformazione di prodotti aspecifici in prodotti specifici orientati alle caratteristiche dell’assistito. Come noto, infatti, la galenica riveste un ruolo fondamentale, per esempio nelle malattie rare, e in particolare in pediatria, dove nella maggioranza dei casi non sono disponibili prodotti commerciali che si adattino alle necessità di cura dei piccoli pazienti.

Per quanto concerne le malattie rare, purtroppo, la maggior parte di esse non hanno cure dedicate, ma il trattamento è spesso off-label, anche di tipo galenico, e trovare il soddisfacimento terapeutico può essere particolarmente complesso. Le formulazioni utilizzate presso gli ospedali italiani possono essere reperibili, per esempio, nel portale SIFO-SIFAP, che costituisce una fondamentale fonte di informazione in ambito galenico. La galenica clinica, quindi, con le opportune formulazioni, permette di rispettare le esigenze terapeutiche, cliniche e fisiologiche del paziente; in questo modo è possibile massimizzare l’efficacia terapeutica e al contempo minimizzare i rischi connessi, per esempio, con il sovradosaggio, rischio in cui si potrebbe incorrere nel caso di utilizzo di alcuni prodotti industriali progettati per adulti. In ogni caso, si deve sempre tenere conto che, se esiste un prodotto industriale a uso pediatrico, per ragioni di sicurezza è sempre da preferirsi rispetto alla preparazione estemporanea.

Nel contesto delle cure pediatriche, si ripropone più che mai il fondamentale ruolo del farmacista di istruire correttamente i caregiver (frequentemente genitori o parenti, anche anziani), che dovranno occuparsi dell’effettiva somministrazione delle terapie, spesso in un contesto domiciliare.

Di frequente, inoltre, i pazienti si trovano in politerapie ed è importante che il farmacista si ponga come facilitatore, sia per quanto riguarda la formulazione, che dovrebbe essere la più semplice possibile da somministrare, portando alla maggior compliance, sia per quanto riguarda l’assistenza alle cure domiciliari, per esempio con check-list ad hoc per i caregiver, così da verificare i corretti momenti di somministrazione.

Le competenze del farmacista emergono in particolare anche nella verifica e nella valutazione della prescrizione del medico, perché la formulazione deve essere idonea al paziente e soprattutto sicura, sia nella somministrazione sia nell’allestimento, il cui rischio associato deve essere accettabile; a tal proposito può essere sfruttato un algoritmo per la determinazione del rischio associato alla preparazione.

Nel corso degli anni, inoltre, in ambito ospedaliero la galenica si è altamente evoluta, per esempio negli allestimenti delle sacche parenterali, che vengono effettuati nel caso in cui non siano disponibili alternative industriali adatte per il paziente e, soprattutto, per quanto riguarda i farmaci antiblastici, che rivestono una quota molto consistente di tutte le preparazioni allestite in farmacia. Ancora, la meccanizzazione e l’automazione con i robot, che sono subentrati in tempi recenti, permettono un incremento della sicurezza dell’allestimento rispetto alla preparazione manuale.

Un altro esempio di terapie personalizzate in cui il farmacista è di fondamentale importanza è la terapia CAR-T nel cui team il farmacista deve essere obbligatoriamente coinvolto, pena il mancato accreditamento del centro, ma anche la terapia genica.

Marco Testa, cardiologo presso l’AOU Sant’Andrea di Roma e presidente della Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN), ha infine concluso la cascata di discorsi con il suo intervento dal titolo “Integrazione narrativa ‘ospedale-territorio’ nell’era del digitale”, presentando alcuni esempi di applicazione di medicina narrativa in un progetto pilota del Sant’Andrea, dimostrando la diversa percezione e accettabilità dei pazienti alla terapia e soprattutto alla malattia.

Nel progetto sono stati reclutati pazienti a cui sono stati impiantati dei defibrillatori sottocute. Delle narrazioni ottenute ne sono state analizzate 20. Le narrazioni sono state raccolte grazie a una piattaforma digitale, al di fuori del setting ambulatoriale (che potrebbe potenzialmente influenzare la narrativa del paziente). Tra gli scopi vi era quello di valutare come il paziente convivesse con il defibrillatore impiantabile, in considerazione dell’eventuale stato di ansia legato alla possibilità di uno shock. Durante l’intervento sono stati discussi alcuni esempi di narrazione.

La storia dei pazienti è stata analizzata in base a delle fasi: la fase attuale, la fase del futuro atteso e del futuro obiettivo (obiettivo che il medico ipotizza di raggiungere insieme al paziente). Cristina Cenci, sviluppatrice del metodo di medicina narrativa digitale in Italia, sta lavorando per l’implementazione della piattaforma con l’intelligenza artificiale, che può essere di grande utilità per l’analisi delle storie. Grazie alla piattaforma la narrazione può essere rappresentata anche graficamente, per esempio con una wordcloud, evidenziando lo stato d’animo del narratore.
La personalizzazione della cura, grazie alla medicina narrativa, viene quindi perfettamente attuata perché si considera tutto il contesto sociale e culturale del paziente, oltre a quello psicofisico: si attua quindi una “personomica”. Tale applicazione dimostra come la medicina narrativa non consista in una risonanza morbosa tra il medico e il paziente, ma nell’instaurare un collegamento che permetta di considerare il paziente nella sua completezza di persona.

TAKE HOME MESSAGE

La storia della malattia permette di identificare quali pazienti hanno più bisogno di assistenza e quale sia il modo migliore per prenderli in carico, cercando quindi di sviluppare un percorso assistenziale che sia il più possibile plasmato e personalizzato su di loro. L’integrazione di una medicina personalizzata e di una medicina umanizzata ha inevitabilmente un effetto positivo sull’efficacia della terapia, e il farmacista ospedaliero risulta, in questo contesto, di fondamentale importanza per l’attuazione di tale integrazione.