Antibiotici fra ricerca e uso appropriato

Fabio Ferrante

SC Politiche del Farmaco, Dispositivi Medici, Protesica ed Integrativa, ALiSa, Regione Liguria
Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università di Genova
Socio SIFO Regione Liguria

Il giorno sabato 19 ottobre dalle ore 17:00 alle ore 18:15, presso l’Auditorium Europa, si è tenuto l’incontro dal titolo “Antibiotici fra ricerca e uso appropriato”.

Elisa Sangiorgi, moderatrice della focus session, ha introdotto il discorso sottolineando come il problema della resistenza antimicrobica non sia ormai un problema emergente, ma una emergenza a livello planetario: già nel 2019 si parlava di circa 30mila morti per sepsi in Europa, di cui 11mila solo in Italia; adesso si parla di una previsione di rischio di circa 10 milioni di morti globali entro il 2025.

Ha successivamente introdotto il primo relatore della sessione Antonio Addis, Dirigente del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio. Il suo intervento, dal titolo “Modelli innovativi per l’approvazione di antimicrobici innovativi”, ha presentato un’analisi accurata delle sfide e delle necessità legate all’approvazione degli antimicrobici e ha delineato le possibili soluzioni per incentivare l’innovazione in un settore di vitale importanza, ma in grave crisi.

Nel suo intervento, Addis ha evidenziato come, nel mondo della medicina moderna, sia tanto cruciale quanto minacciata l’importanza degli antibiotici. A un incremento a livello mondiale delle infezioni resistenti agli antibiotici, situazione che crea sempre di più un bisogno crescente di nuove terapie, corrisponde una mancata risposta adeguata nelle pipeline di ricerca delle aziende farmaceutiche: molte aziende farmaceutiche hanno progressivamente abbandonato la ricerca in questo settore, considerato meno redditizio e molto più rischioso rispetto ad altre aree terapeutiche.

La carenza di antibiotici, diventata sempre più una questione urgente, è resa ancora più grave dai frequenti fallimenti in tutte le fasi di sviluppo dei medicinali, dalla fase preclinica a quella clinica. Il tasso di insuccesso per nuovi farmaci antibiotici è molto alto, il che rende ancora meno attraente quest’area terapeutica per le aziende farmaceutiche.

Tutto questo ha portato ad avere sempre meno opzioni disponibili per combattere infezioni gravi, soprattutto durante picchi epidemici. La pandemia di COVID-19 ha messo ancor più in evidenza le problematiche legate a questo argomento, accendendo un faro sui rischi associati alla scorretta prescrizione degli antibiotici, fenomeno che contribuisce a incrementare ancora di più la resistenza antimicrobica.

Tuttavia, secondo il relatore, nonostante il clamore mediatico, la conoscenza comune sul tema rimane ancora insufficiente, sottolineando come spaventare il pubblico non sia sempre la strategia di comunicazione migliore: è necessaria un’informazione chiara e mirata, che permetta alla popolazione di prendere consapevolezza riguardo alla corretta gestione degli antibiotici.

Addis ha poi esposto una proposta innovativa per migliorare la fase valutativa dei farmaci prima dell’immissione in commercio. L’attuale sistema valutativo si basa sui tre criteri base del bisogno terapeutico, il valore terapeutico aggiunto e la qualità delle prove scientifiche; questi sono sì la base essenziale da cui partire, ma non sempre riescono a rispondere efficacemente alle specifiche esigenze valutative degli antibiotici. Una possibile risposta a questo potrebbe essere l’acronimo STEDI, ovvero:

Spectrum: dare la priorità a nuovi antibiotici a spettro ristretto per ridurre la pressione su quelli a spettro ampio e limitare così la diffusione della resistenza.

Transmission: l’importanza di antibiotici capaci di agire rapidamente sulle infezioni resistenti, per ridurre il rischio di trasmissione tra pazienti.

Enablement: l’importanza degli antibiotici efficaci per consentire la realizzazione di terapie complesse e interventi come trapianti, chemioterapie e sostituzioni articolari.

Diversity: l’opportunità di ampliare la varietà di antimicrobici disponibili, per ridurre la pressione su ciascun singolo farmaco e limitare l’insorgere di resistenze.

Insurance: la necessità di mantenere una riserva di antimicrobici pronti all’uso, per far fronte a improvvisi picchi di infezioni resistenti.

Questi criteri, uniti all’attuale sistema di valutazione, potrebbero permettere una miglior e più accurata selezione di nuovi farmaci antibiotici, permettendo di avere in futuro nuovi farmaci efficaci.

Inoltre, affinché le aziende tornino a investire in questo campo, secondo il relatore sarà necessario applicare un nuovo sistema di incentivi, divisi tra incentivi di tipo “Push” e di tipo “Pull”. I primi consistono in finanziamenti e agevolazioni fiscali nella fase precedente all’immissione in commercio, mentre gli ultimi si riferiscono alla fase di post commercializzazione, al fine di sostenere le vendite dei farmaci. Tra i possibili modelli più innovativi in questo ambito, Addis cita il cosiddetto “Modello Netflix”: attualmente sperimentato in paesi come l’Inghilterra e la Svezia, questo modello prevederebbe di svincolare il ritorno economico delle aziende farmaceutiche dal volume di farmaco effettivamente utilizzato. Si tratta di un “abbonamento” fisso, tramite il quale le aziende sanitarie possono acquistare a tariffa fissa i farmaci, garantendo così alle aziende farmaceutiche un introito stabile e, al contempo, assicurando ai servizi sanitari la necessaria disponibilità di farmaci importanti per fronteggiare eventuali emergenze.

Affinché tutto questo si realizzi però, conclude Addis, è necessario un cambiamento nel contesto regolatorio, al fine di supportare suddetti modelli e incentivi e per permettere di aprire alla sperimentazione nuove vie per l’approvazione e la disponibilità di nuovi antibiotici: servono coraggio e innovazione per rispondere alle vecchie e nuove sfide poste dalla resistenza antimicrobica, ma anche per garantire che gli investimenti in questo campo quanto mai strategico e importante siano adeguatamente ricompensati.

Il secondo intervento della sessione, dal titolo “Antibiotici fra ricerca e uso appropriato”, ha visto coinvolto Alessandro Perella, Direttore della UOC Malattie Infettive emergenti ad alta contagiosità dell’Ospedale Cotugno, che ha portato un esempio pratico di Stewardship Antimicrobica. Secondo il relatore, per avere un corretto e appropriato uso degli antibiotici è necessaria, prima di tutto, una conoscenza approfondita e dettagliata del contesto epidemiologico del territorio in cui uno opera: gli antibiotici non vanno trattati come un banale elenco di farmaci da cui scegliere il migliore, ma è necessario sapere su cosa e per cosa uno li va a utilizzare. L’esperienza della Regione Campania e, in precedenza, dell’Ospedale Cardarelli, si basa su tre principi fondamentali:

prescrizione appropriata basata sulla conoscenza dell’epidemiologia locale, ovvero la consapevolezza di quali ceppi batterici siano prevalenti nel proprio territorio e le resistenze presenti;

dosi e durata ottimali;

educazione e monitoraggio, al fine di mantenere un costante aggiornamento e controllo sui trattamenti.

Perella ha esposto il progetto di Stewardship Antimicrobica che, dal 2013, ha avuto luogo presso l’Ospedale Cardarelli: il tutto è iniziato con la creazione di una piattaforma dedicata alla gestione delle infezioni, la quale ha permesso, tramite la raccolta delle informazioni relative ai pazienti, come il reparto di provenienza e le condizioni cliniche, di analizzare l’andamento delle resistenze nei vari reparti in funzione dell’utilizzo degli antibiotici negli stessi. Il progetto è culminato con l’implementazione di un algoritmo predittivo, tramite il quale l’ospedale ha potuto identificare i reparti con un alto consumo di antibiotici e, di conseguenza, una maggiore presenza di ceppi multiresistenti. Quindi, tramite un’attività di tipo proattivo, e non tramite una semplice imposizione di regolamenti e normative, questo strumento di monitoraggio ha permesso ai vari protagonisti della lotta alla multiresistenza – farmacisti, igienisti, infettivologi, chirurghi, infermieri etc. – di introdurre azioni di miglioramento basate su evidenze Real World, promuovendo un uso appropriato degli antibiotici basato sulla consapevolezza e sulla collaborazione interdisciplinare.

Dall’esperienza locale dell’Ospedale Cardarelli, continua Perella, si è passati a un’esperienza a livello regionale: al fine di avere una visione d’insieme sullo scenario epidemiologico completo del territorio campano, l’algoritmo è stato adattato per raccogliere ulteriori tipologie di dati, come quelli anagrafici, farmaceutici e microbiologici provenienti da vari ospedali e strutture sanitarie locali, anche qui per monitorare l’uso degli antibiotici e l’andamento delle resistenze in tutta la Campania. È stata inoltre implementata una dashboard, permettendo la visualizzazione dei dati aggregati, filtrati per micro o macro-parametri, a seconda delle esigenze dell’operatore: tramite questa funzione diventa quindi possibile il monitoraggio anche di singole specifiche strutture, o di particolari tipi d’infezioni in aree specifiche. L’algoritmo può altresì essere applicato anche al di fuori del contesto ospedaliero, permettendo un monitoraggio anche a livello territoriale.

Successivamente il relatore presenta il documento ufficiale redatto utilizzando i dati raccolti da queste esperienze, le “Linee d’indirizzo per l’attuazione dei programmi di Stewardship Antimicrobica e per l’implementazione locale dei protocolli di terapia antibiotica”: si tratta di un documento rivolto a tutte le ASL, Aziende Ospedaliere, Aziende Ospedaliere Universitarie e IRCCS della Regione Campania; esse contengono dei protocolli attuativi specifici, adattati alla realtà regionale, includendo anche un capitolo dedicato all’uso appropriato in ambito pediatrico e un capitolo specifico sulla corretta gestione degli esami colturali del sangue («Un uso appropriato degli antibiotici passa obbligatoriamente attraverso una buona diagnostica», ricorda Perella).

In conclusione, il relatore ha ricordato come, per un uso realmente corretto e mirato degli antibiotici, non sia sufficiente basarsi solo su dati storici o su linee guida generali, ma sia necessario un monitoraggio costante al fine di tenere d’occhio l’evoluzione epidemiologica del territorio in cui uno opera e del livello di resistenza dei batteri a livello locale: una conoscenza del proprio territorio è fondamentale per agire in modo efficace e per usare nel modo più corretto possibile le tecnologie e le risorse a nostra disposizione.

Il terzo e ultimo intervento, dal titolo “Proposta di un modello di Stewardship Antimicrobica”, è stato presentato da Fabio Tumietto, responsabile della Struttura Semplice Interaziendale per la Stewardship Antimicrobica e Controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza.

Il relatore, come prima cosa, ha introdotto l’argomento della Stewardship Antimicrobica, ricordando come tale concetto sia in continua evoluzione, dato che la sua stessa definizione è cambiata nel corso degli anni: essa non è un banale elenco di regole per l’uso dei farmaci, ma un sistema di azioni mirato a promuovere l’uso responsabile degli antimicrobici, spostando quindi l’attenzione dalla semplice prescrizione del farmaco alla costruzione di programmi e iniziative per permettere un uso cosciente e mirato.

In Italia, continua il relatore, il problema non è tanto nella quantità di antibiotici consumati, quanto nella loro qualità: il nostro paese mostra un tasso di prescrizione inferiore ad altri Paesi europei, come la Francia e la Spagna, ma, approfondendo il tipo di antibiotici prescritti seguendo la classificazione ONU “AWaRe”, prescrive in quota maggiore quegli antibiotici che andrebbero usati in modo più limitato per poter contenere il fenomeno della resistenza. Questo è valido sia in ambito territoriale che ospedaliero: in quest’ultimo caso tale dato è più comprensibile, dato che gli ospedali sono delle strutture in cui si concentrano tendenzialmente i casi più complessi; ma a livello territoriale ciò non dovrebbe accadere. Analizzando ulteriormente le prescrizioni e stratificandole in base all’età, si evidenziano due picchi ben distinti, uno nell’età pediatrica (sotto i 9 anni) e uno in quella geriatrica (oltre i 75 anni). Tramite l’analisi delle urinocolture raccolte nei pronto soccorso bolognesi, è emerso un dato inquietante sulla fascia di età pediatrica: circa il 25-30% dei bambini sotto i 9 anni ha mostrato resistenza all’associazione di amoxicillina e acido clavulanico. Tumietto sottolinea poi come sarà semplice per il batterio, entrando in contatto con la realtà ospedaliera, andare ad ampliare la propria resistenza, magari sviluppando una beta lattamasi a largo spettro o, nel peggiore di casi, una resistenza ai carbapenemi.

Uno degli aspetti critici sollevati dal relatore è il riscorso a un’eccessiva prescrizione empirica, spesso basata su dati epidemiologici generali e non sulle reali condizioni del paziente.

Nel modello proposto da Tumietto è essenziale l’estensione del supporto e della consulenza anche agli ospedali più piccoli, i cosiddetti ospedali di prossimità, al fine di garantire una qualità di gestione degli antibiotici equiparabile a quella dei grandi ospedali, evidenziando la necessità di un approccio omogeneo per tutta la rete ospedaliera.

Il relatore ha inoltre sottolineato come la durata della terapia rappresenti un fattore quanto mai cruciale: nel caso specifico della polmonite, ha mostrato come, nei casi senza particolari complicanze, la terapia antibiotica possa essere spesso ridotta, evitandone il proseguimento a casa senza aumentare il rischio di ricaduta, in accordo anche a recenti studi internazionali, i quali indicano che una durata eccessiva della terapia possa anzi essere tra i fattori principali per una riattivazione della malattia. Grazie all’analisi dei dati estrapolati dalle cartelle cliniche elettroniche e a un programma di audit nelle unità operative con più casistiche, l’unità operativa di Tumietto ha documentato come, nella città di Bologna, la durata media delle terapie antibiotiche per polmoniti superi spesso i 7-8 giorni, fino anche a un massimo di due settimane, quindi in contrasto con le più recenti raccomandazioni precedentemente riportate.

Il relatore ha anche evidenziato come sia necessaria una “transizione di cura”: molti programmi di Stewardship Antimicrobica, riporta Tumietto, sono ancora troppo “ospedalocentrici”. Gran parte della resistenza antimicrobica si costruisce sul territorio, dove si ha circa l’80-85% delle prescrizioni. Essa poi viene successivamente concentrata e amplificata dagli ospedali, per esempio tramite la mancata osservazione di norme igieniche di base, come il lavaggio delle mani degli operatori sanitari. Si rende quindi essenziale portare la Stewardship anche a livello territoriale, coinvolgendo medici di base e strutture di assistenza primaria. Tuttavia, il territorio risulta spesso carente delle risorse presenti invece in ospedale, inclusa la figura del farmacista ospedaliero, il quale potrebbe fornire un importante supporto, in quanto professionista del governo del farmaco, su un corretto controllo dell’uso dei farmaci.

Tumietto conclude esponendo un progetto, partito prima nella città di Bologna, e successivamente anche a livello regionale, per il proseguimento delle terapie anche al di fuori dell’ambito ospedaliero: andando a estremizzare il decreto ministeriale 77/2022, il quale consente l’uso di farmaci ospedalieri anche al di fuori degli ospedali, sfruttando due risorse fondamentali quali l’assistenza domiciliare integrata per i pazienti non autonomi e/o deambulanti e gli ambulatori delle case di cura, è possibile, in un lasso di tempo di poche ore, garantire la prosecuzione di terapia ai pazienti, rendendo anche possibile una eventuale dimissione anticipata.

In contesto in cui l’antimicrobico resistenza rappresenta una crescente minaccia alla salute pubblica, il messaggio è quindi chiaro: è necessario un impegno collettivo e strutturato per utilizzare i farmaci in modo consapevole, limitando le resistenze e garantendo la protezione dei pazienti.