Indicazioni pratiche per la gestione nutrizionale di pazienti affetti da Sars-Cov-2: il ruolo di supporto del farmacista ospedaliero

Debora Severino,1 Ilaria Sconza,1 Nadia Caporlingua,2 Antonella Risoli,3 Elena Loche,4 Nicola Nigri,5 Stefano Loiacono,6
Marianna Veraldi,
7 Ruggero Lasala,8 Giuseppe Rizza,9 Riccardo Provasi,10 Alessandra Maestro,11 Emilia Falcone,12
Sara Dereani,
13 Salvatore Nurra,14 Davide Zanon,11 David Zenoni15

1Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
2SSFO Università degli Studi di Messina
3U.O.C. Farmacia Ospedaliera , P.O. “S.S. Annunziata”, Cosenza
4Policlinico Campus Bio-Medico, Roma SSFO
5Dipartimento Assistenza Farmaceutica, P.O. di Foligno, Usl Umbria 2
6AULSS 1 - Dolomiti
7Azienda Ospedaliera Universitaria Mater Domini, Catanzaro
8Farmacia P.O. Corato, ASL Bari
9Farmacia Ospedaliera, Istituto Clinico Sant’Anna, Brescia
10S.C. Assistenza Farmaceutica, ASUGI - Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina
11SSD Farmacia e Farmacologia Clinica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste
12Farmacia Ospedaliera USL Toscana Sud Est - sede Grosseto
13U.O.C. Farmacia, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata Friuli Centrale
14Servizio Assistenza Farmaceutica Territoriale - ASSL Sassari, ATS Sardegna
15U.O.C. Farmacia, ASST Nord, Milano

Le «sette cose giuste» (il paziente giusto, il farmaco giusto, la dose giusta, la via di somministrazione giusta, il tempo giusto, l’informazione giusta e la documentazione giusta) dovrebbero essere contemplate in tutte le attività ospedaliere correlate all’utilizzo di farmaci. A tal proposito è indispensabile considerare la Nutrizione Artificiale (NA) come un atto medico e una vera e propria terapia. L’attuale pandemia da COVID-19 pone sfide e minacce senza precedenti ai pazienti e al personale sanitario in tutto il mondo; si tratta di un’infezione del tratto respiratorio causata da un nuovo virus denominato SARS-CoV-2, appartenente alla famiglia dei coronavirus. Il sequenziamento genetico del virus fa ipotizzare che si tratti di un betacoronavirus strettamente legato al virus SARS. Mentre la maggior parte delle persone manifesta la malattia in maniera lieve e senza particolari complicanze, circa il 14% sviluppa una malattia grave che richiede il ricovero in ospedale e il supporto dell’ossigeno, mentre il 5% necessita di un ricovero in terapia intensiva. I casi più gravi possono presentare ulteriori complicanze come sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS), sepsi e insufficienza multiorgano. Nello specifico, i pazienti anziani e quelli con patologie concomitanti hanno prognosi peggiore e mortalità più elevata.1 La permanenza in terapia intensiva, specie se di lunga durata, è di per sé causa ben documentata di malnutrizione, con perdita di massa magra e compromissione della funzionalità muscolare, che può a sua volta tradursi in una scarsa qualità di vita, disabilità e morbilità anche dopo dimissione dalla terapia intensiva.2,3 Malattie croniche come il diabete e le malattie cardiovascolari, oltre che l’età avanzata, sono condizioni predisponenti al rischio di malnutrizione e ad una prognosi peggiore nel caso di infezione (Figura 1). Il dato della Figura 1 è stato ottenuto dall’analisi delle cartelle cliniche di 2.351 pazienti deceduti e risultati positivi al coronavirus.4




Le cause della malnutrizione, correlate sia alla terapia intensiva che alla malattia, comprendono una ridotta mobilità, cambiamenti catabolici (specie a discapito dei muscoli scheletrici), nonché un ridotto introito calorico. Lo sviluppo di processi infiammatori e sepsi può, inoltre, contribuire ulteriormente ad aggravare tutte le alterazioni appena elencate in presenza di infezioni da SARS-CoV-2. Sulla base delle osservazioni di cui sopra, la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della malnutrizione devono essere presi in considerazione nella gestione dei pazienti con COVID-19 per migliorare la prognosi sia a breve che a lungo termine. Anche per questi motivi la European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN) ha fornito delle informazioni e indicazioni pratiche per la gestione nutrizionale dei pazienti positivi a COVID-19, adottate successivamente anche dalla Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo (SINPE) e dalla Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (SINuC).

La presenza di almeno due malattie croniche nello stesso individuo può essere definita come polimorbidità ed è anche caratterizzata da un elevato rischio nutrizionale. L’identificazione del rischio e la presenza di malnutrizione dovrebbero rappresentare un primo passo nella valutazione generale di tutti i pazienti, mediante uno screening iniziale, utilizzando i criteri MUST o NRS-2002. La scala “MUST” è uno strumento di screening utilizzato per valutare il livello nutrizione di un paziente, mentre l’NRS-2002 è un test di screening specifico per i pazienti ospedalizzati, che valuta gli stessi parametri nutrizionali del MUST e, in aggiunta, il grado di severità della patologia (che si correla con un aumento dei fabbisogni nutrizionali) e l’età.

A prescindere dallo stato nutrizionale, per il paziente in grado di nutrirsi autonomamente è consigliabile monitorare gli alimenti ingeriti mediante diari alimentari per 2-3 giorni. Un apporto alimentare inferiore al 70% del fabbisogno giornaliero è da considerarsi insufficiente. Un’accurata anamnesi alimentare, oltre a valutare gli apporti qualitativi e quantitativi dei nutrienti, permette di evidenziare eventuali condizioni fisiologiche e psicologiche del paziente, che possono non emergere nell’anamnesi generale. Il trattamento nutrizionale dovrebbe iniziare tempestivamente a seguito del ricovero in ospedale (entro 24-48 h). L’eventuale ricorso alla nutrizione artificiale è un percorso che vede un ruolo attivo del farmacista nel team sanitario, sia in termini di counseling sul tipo di NA da adottare che sul monitoraggio della stessa, sia in qualità di farmacista preparatore per quei pazienti che necessitano di terapia personalizzata. In ogni caso, la scelta di ricorrere alla NA deve sottostare ad un’attenta analisi rischi/benefici considerando tutti i fattori che coesistono (dal fabbisogno nutrizionale alla gestione degli accessi).

Al fine di una corretta pianificazione, all’inizio dell’ospedalizzazione del paziente e periodicamente, con frequenza variabile a seconda della situazione clinica, è consigliabile la valutazione dei parametri ematochimici, emocromo, PCR (proteine C reattiva), proteine totali, elettroforesi sieroproteica, pre-albumina, ferritina, transferrina, sideremia, acido folico, Vit. B12, glicemia, elettroliti, AST, ALT, GGT, bilirubina totale e diretta, sodio, potassio, cloro, calcio, fosforo (Tabella 1).5

Tabella 1. Alcuni parametri utili per la diagnosi e il monitoraggio della malnutrizione calorico proteica (MPC)

Alcuni parametri utili per la diagnosi e il monitoraggio della malnutrizione calorico proteica (MPC)

Anamnesi ed esame obiettivo

Abitudini alimentari, aspetto della cute ed annessi cutanei, variazioni del BMI indesiderate, uso di farmaci e patologie concomitanti

Indici antropometrici

Spessore delle pliche cutanee (sottoscapolare, tricipitale), circonferenza del braccio, peso (attuale vs abituale). Nel paziente allettato l’altezza può essere determinata con: demispan, lunghezza dell’ulna, altezza del ginocchio

Indici biochimici

Proteine sieriche (albumina**, trasferrina, pre-albumina, retinol-binding protein) azoturia, indice di creatinuria/altezza

Indici funzionali

Forza di prensione della mano (si può stimare sia con una stretta di mano sia attraverso l’utilizzo del dinamometro) e conta dei linfociti ematici totali

** L’albumina, con un’emivita nel siero pari a 20 giorni, non risulta totalmente idonea per valutare variazioni dello stato nutrizionale nel breve termine (7-10 giorni); risulta pertanto più utile considerare sieroproteine a turnover rapido come la trasferrina (emivita 8-10 giorni), la prealbumina (2-3 giorni) o la retinol-binding protein (12 ore)

La malnutrizione non è solo rappresentata da un basso indice di massa corporea (Body Mass Index - BMI), ma anche dall’incapacità di preservare la composizione corporea sana e la massa muscolare scheletrica. Per questi motivi anche le persone obese dovrebbero essere sottoposte a screening secondo gli stessi criteri. È ormai ben noto, infatti, che l’obesità aumenta il rischio di ospedalizzazione e di morte per un’infezione da virus influenzale, poiché inibisce sia le risposte delle cellule T CD8 + specifiche contro il virus sia quelle anticorpali al vaccino influenzale stagionale.6

Un ulteriore problema da considerare è che l’infezione da COVID-19 può essere accompagnata da sintomi secondari come nausea, vomito e diarrea, i quali compromettono l’assunzione e l’assorbimento del cibo contribuendo ad alterare l’equilibrio idroelettrolitico (Figura 2).7 Per questo motivo mantenere un buono stato nutrizionale rappresenta un vantaggio per migliorare la prognosi nei pazienti affetti da COVID-19, come evidenziato anche nelle ultimissime revisioni, secondo cui lo stato nutrizionale andrebbe valutato prima di intraprendere qualsiasi terapia farmacologica.6

Ancora una volta la storia è maestra di insegnamento come dimostra un’analisi retrospettiva sui dati disponibili riguardo la pandemia di influenza del 1918, che ha rilevato come la gravità della malattia dipendesse sia dal virus che dall’ospite. Le variazioni della morbilità dell’influenza, della mortalità e dell’età d’incidenza, sono state attribuite sia alle risposte immunitarie cellulari e umorali che alla genetica e alla nutrizione.6 La malnutrizione e la carestia erano associate a una maggiore gravità della malattia e correlate alla mortalità anche nella popolazione più giovane. La malnutrizione rimane un problema per le pandemie virali del XXI secolo e oltre. Infatti, si è pensato che la malnutrizione cronica abbia contribuito alla elevata morbilità e mortalità osservata nei bambini guatemaltechi durante la pandemia di influenza del 2009.8




Il fabbisogno energetico può essere valutato utilizzando la calorimetria indiretta, se disponibile in modo sicuro, o in alternativa mediante l’utilizzo di equazioni e formule basate sul peso e sulle patologie in atto al momento del ricovero.9

Il fabbisogno di grassi e carboidrati viene adattato a quello energetico, considerando un rapporto energetico tra grassi e carboidrati compreso tra 30:70 (pazienti senza deficit respiratorio) e 50:50 (per i pazienti ventilati).

Parte dell’approccio nutrizionale generale per la prevenzione delle infezioni virali è anche l’integrazione adeguata di vitamine per ridurre il potenziale impatto negativo della malattia.10 La carenza di vitamina D è stata associata a diverse malattie virali tra cui influenza, virus dell’immunodeficienza umana (HIV) ed epatite C. Così come la vitamina A è stata definita come vitamina “anti-infettiva”, poiché molte delle difese dell’organismo contro l’infezione dipendono dalla sua adeguata assunzione riducendo la morbilità e la mortalità in diverse malattie infettive, come il morbillo, la diarrea, la polmonite correlata al morbillo, la malaria e l’infezione da HIV/AIDS.9

La pratica di integrare la dieta, in caso di aumentato fabbisogno, utilizzando supplementi nutrizionali orali (ONS) dovrebbe essere adottata ogni qual volta sia possibile, per soddisfare le esigenze del paziente. È consigliabile l’assunzione di supplementi liquidi ipercalorici-iperproteici (indicativamente 2 al giorno) in seguito a inappetenza, nausea e diarrea che compaiono in seguito a trattamenti antivirali/antimicrobici. In particolare, la terapia antibiotica è quella più comunemente utilizzata nei pazienti positivi al nuovo coronavuirus (85% dei casi), mentre minor ricorso si fa a quella antivirale (57%); ancora più raramente viene impiegata la terapia steroidea (37%). Il comune utilizzo della terapia antibiotica può essere spiegato dalla presenza di sovrainfezioni o in alcuni casi è compatibile con l’inizio di terapia empirica in pazienti con polmonite, in attesa di conferma laboratoristica di COVID-19.4 Il trattamento nutrizionale dovrebbe continuare anche dopo le dimissioni ospedaliere con ONS e piani nutrizionali personalizzati. Nel caso in cui i fabbisogni nutrizionali non possano essere soddisfatti per via orale, è necessario ricorrere alla Nutrizione Enterale (NE). La Nutrizione Parenterale (NP) deve essere presa in considerazione quando la NE non è indicata o non è in grado di raggiungere gli obiettivi nutrizionali, poiché la sola NP può causare atrofia intestinale, traslocazione batterica, ritardo dello svuotamento gastrico, aumentata secrezione gastrica, pancreatica e overgrowth batterico, nonché una difficile gestione del paziente nel setting domiciliare.

Gestione nutrizionale nei pazienti in terapia intensiva affetti da SARS-CoV-2 nel periodo pre-intubazione: ogni paziente con infezione respiratoria acuta ricoverato in terapia intensiva da più di 48 ore è da considerarsi a rischio di malnutrizione. I pazienti in terapia intensiva non intubati affetti da COVID-19, che non raggiungono il fabbisogno calorico-proteico con una dieta orale, devono essere sottoposti a trattamento nutrizionale enterale. Questo accade, ad esempio, se si prevede che l’assunzione orale sia impossibile per più di tre giorni o che sia inferiore alla metà del fabbisogno energetico per più di una settimana. Nei pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva (NIV) l’alimentazione enterale potrebbe risultare più difficoltosa a causa della presenza del tubo gastrico nasale (NGT) che può comportare:

1. perdita d’aria, con compromissione dell’efficacia della NIV;

2. dilatazione dello stomaco, che potrebbe influire sulla funzione diaframmatica e sull’efficacia della NIV.

L’applicazione inadeguata della nutrizione enterale può provocare malnutrizione nel paziente, nonché complicanze ad essa correlate. Per tali pazienti la nutrizione parenterale periferica può quindi essere un’opzione da prendere in considerazione in queste circostanze.11

Nei pazienti sottoposti a trattamento tramite cannule nasali (FNC) e cannule nasali a flusso elevato (HFNC) si può considerare appropriata l’alimentazione orale,12 nonostante ci siano pochi studi in merito all’applicazione del supporto nutrizionale durante questo tipo di trattamento. Tuttavia, alcune prove dimostrano che l’apporto calorico e proteico può rimanere basso e inadeguato e causando malnutrizione nei pazienti con HFNC.13 Per questi pazienti le raccomandazioni della European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN) consigliano un’adeguata valutazione dell’assunzione di nutrienti con la supplementazione di integratori alimentari per via orale o in associazione alla nutrizione enterale, qualora la via orale si rivelasse insufficiente. Quando HFNC o NIV siano stati applicati per più di due ore senza ottenere una corretta ossigenazione, le linee guida consigliano di intubare e ventilare il paziente. Le linee guida ESPEN sulla nutrizione in terapia intensiva possono essere applicate ai pazienti intubati e ventilati sottoposti a ventilazione meccanica a causa dell’infezione da COVID-19. C’è da considerare anche la ventilazione tramite CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) ovvero pressione positiva continua delle vie aeree, questa tecnica viene utilizzata in emergenza per reclutare un numero maggiore di alveoli polmonari, altrimenti esclusi dagli scambi gassosi. Questa modalità consente al paziente di respirare spontaneamente, è può essere necessaria per evitare l’intubazione invasiva o per prevenire la re-intubazione. In questo caso la nutrizione per os spesso non è sostenibile dal paziente, pertanto si ricorre alla nutrizione artificiale in particolare alla NE tramite SNG o SND. Per fare NE in pazienti in CPAP è necessario uno svezzamento iniziale di 3-5 giorni (a seconda del paziente e della sua criticità) e la velocità max è 60-80 ml/h. Anche in questo caso la NPT è sempre sconsigliata per almeno due motivi: se l’intestino funziona non vi sono motivi per la NPT e se i polmoni si imbibiscono di acqua e riducono ulteriormente la funzionalità respiratoria.

Nei pazienti in terapia intensiva intubati e sottoposti a ventilazione meccanica per infezione da COVID-19, la NE dovrebbe essere iniziata attraverso un sondino nasogastrico; l’alimentazione post-pilorica deve essere eseguita in pazienti con intolleranza gastrica dopo trattamento procinetico (es. metoclopramide) o in pazienti ad alto rischio di aspirazione; la posizione prona di per sé non rappresenta una limitazione o controindicazione per la NE. La NE è da preferire alla NP nella fase acuta della malattia critica (primi 5-7 giorni) con un attento monitoraggio del volume della nutrizione enterale e/o parenterale, poiché in questi pazienti deve essere utilizzata una strategia restrittiva per quanto concerne l’apporto idrico. Inoltre, la NE deve essere iniziata precocemente con una miscela polimerica standard a bassa velocità (10-20 ml/h), dopo aver raggiunto un accettabile compenso emodinamico ed in assenza di ipossiemia ed ipercapnia non controllate fino ad aumentare progressivamente la velocità di infusione, secondo la tolleranza e l’andamento degli scambi gassosi (max 20-25 kcal/kg/die).14

Fabbisogno calorico: La nutrizione isocalorica, piuttosto che quella ipocalorica, può essere progressivamente adottata dopo la fase iniziale della malattia acuta, avvalendosi della calorimetria indiretta. Se questa non è disponibile, i valori di VO2 (consumo di ossigeno) dal catetere arterioso polmonare o di VCO2 (produzione di anidride carbonica) derivato dal ventilatore, forniranno una valutazione migliore sul dispendio energetico rispetto alle equazioni predittive. Un adeguato supporto nutrizionale non può prescindere da un accurato calcolo dei fabbisogni calorici e proteici. La nutrizione ipocalorica deve essere somministrata nella fase iniziale della malattia acuta con incrementi fino all’80-100% dopo il terzo giorno. Se vengono utilizzate equazioni predittive per stimare il fabbisogno energetico, la nutrizione ipocalorica (inferiore al 70% del fabbisogno stimato) dovrebbe essere preferita alla nutrizione isocalorica per la prima settimana di permanenza in terapia intensiva a causa di segnalazioni di sovrastima del fabbisogno energetico.11

Fabbisogno proteico: durante la fase critica della malattia dovrebbero essere erogati progressivamente 1,3 g/kg di equivalente proteico al giorno: ciò ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza, principalmente nei pazienti fragili.11

Ruolo dei lipidi: È stato dimostrato che miscele enterali con un’elevata quota di lipidi e un basso apporto di carboidrati possano ridurre la produzione di CO2 e il quoziente respiratorio, facilitando pertanto lo svezzamento dalla ventilazione meccanica (manuale) e mantenendo, indipendentemente dalla ripartizione calorica, un apporto calorico totale pari o inferiore rispetto ai fabbisogni stimati. Bisogna comunque sottolineare che nei pazienti con insufficienza respiratoria acuta sarebbe opportuno evitare un’infusione troppo rapida di liquidi, per evitare un possibile edema polmonare. In queste circostanze miscele arricchite di acidi grassi omega-3 possono rivelarsi utili poiché aiutano a ridurre la risposta infiammatoria.15

Nei pazienti in terapia intensiva che non tollerano totalmente la NE, durante la prima settimana in terapia intensiva può essere valutato l’avvio della NP caso per caso. La NP non dovrebbe essere avviata fino a quando non sono state tentate tutte le strategie per massimizzare la tolleranza a quella enterale oppure come nutrizione di supporto alla enterale stessa.

Limitazioni e precauzioni: l’avvio della terapia nutrizionale deve essere eseguita con cautela nei pazienti che richiedono ventilazione meccanica e stabilizzazione. La NE è infatti controindicata:

in presenza di shock incontrollato e instabilità emodinamica e di perfusione tissutale insoddisfacenti;

in caso di ipossiemia incontrollata potenzialmente letale, ipercapnia o acidosi.

Può essere avviata una bassa dose di NE non appena lo shock viene controllato con fluidi e vasopressori o inotropi, monitorando attentamente la presenza di eventuali segni di ischemia intestinale, ipossiemia stabile o ipercapnia con acidosi compensata o permissiva.11

In caso di pazienti stabili in posizione prona, l’alimentazione enterale può essere avviata idealmente con un apporto energetico pari al 30% del dispendio energetico. La ri-alimentazione sarà quindi aumentata progressivamente, poiché l’overfeeding, anche relativo, è responsabile di un incremento dei valori di CO2 e un ritardo del weaning respiratorio, con un aumentato rischio infettivo e un incremento dei valori di glicemia. L’apporto energetico può aumentare fino al 50-70% dell’energia stimata durante il secondo giorno fino a raggiungere l’80–100% nel quarto giorno. L’obiettivo proteico di 1,3 g/kg/giorno dovrebbe essere raggiunto anche entro il terzo-quinto giorno di degenza.2

I pazienti che non necessitano più di ventilazione meccanica hanno un’alta incidenza di problemi di deglutizione e conseguente disfagia, la quale può limitare fortemente l’assunzione di nutrienti per via orale, anche in un momento di miglioramento generale delle condizioni cliniche. Il disturbo da deglutizione post-estubazione potrebbe essere prolungato fino a 21 giorni, principalmente negli anziani, dopo intubazione prolungata,16,17 il che rende questa complicanza particolarmente rilevante per i pazienti COVID-19.18 La presenza di disfagia post-estubazione grave è stata associata a conseguenze importanti tra cui polmonite ab ingestis, re-intubazione e mortalità ospedaliera, nonché difficoltà dell’assunzione di farmaci per via orale . Pertanto è raccomandabile una precoce valutazione della funzione della deglutizione associata alla modifica delle consistenze degli alimenti. Per alcuni pazienti si deve ricorrere alla NE, mentre nei casi in cui c’è un rischio di aspirazione molto elevato, può essere eseguita NE post-pilorica o, qualora quest’ultima non sia possibile, NP.11 Appare quindi chiaro che la terapia nutrizionale deve essere considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’approccio ai pazienti positivi all’infezione da SARS-CoV-2.19

Poiché molti di questi pazienti sono anziani e, sono già sottoposti a politerapia, potrebbe essere necessario l’intervento del farmacista per ricorrere alla manipolazione delle forme farmaceutiche orali solide, così come indicato dalla Raccomandazione 19 del Ministero della Salute. Per manipolazione si intende la divisione di compresse, la triturazione/frantumazione/polverizzazione di compresse e l’apertura di capsule. Sono invece esclusi dalla suddetta Raccomandazione i farmaci antineoplastici. La manipolazione, se non eseguita correttamente, può causare instabilità del medicinale, alterandone qualità, efficacia e sicurezza, nonché aumentare il rischio di errori in terapia ed effetti indesiderati per il paziente. È quindi fondamentale prendere in considerazione sia il tipo di principio attivo che gli eccipienti, che possono modificare assorbimento e biodisponibilità. Ad esempio, nelle forme farmaceutiche a rilascio modificato, gli eccipienti hanno la funzione di modulare il rilascio del principio attivo: una manipolazione di tale forma farmaceutica può quindi causare livelli plasmatici di farmaco elevati, con un maggior rischio di tossicità, specialmente per i farmaci con basso indice terapeutico.

Un altro problema riguarda l’aggiunta di farmaci alle miscele nutrizionali, che può comportare un’alterazione della biodisponibilità, con il risultato di perdere o potenziare la loro attività farmacologiche. Alcune forme liquide di farmaci possono modificare la forma ionica e il pH della miscela, con il risultato di modificarne la stabilità e la composizione. Dopo aver preso in considerazione, previa validazione da parte del farmacista, la possibilità di manipolare le forme farmaceutiche solide, queste ultime potrebbero essere somministrate attraverso sonde e stomie miscelate con liquidi, generalmente acqua. Per ridurre l’osmolarità di alcune sostanze si può usare, per esempio, il sorbitolo. Anche forme farmaceutiche disponibili in fiala per uso intramuscolare o endovenoso possono essere somministrate possono tramite sondino o stomia, previa diluizione. Quando la ricostituzione o la miscelazione di farmaci viene effettuata direttamente nei reparti, il farmacista ospedaliero dovrebbe approvare procedure scritte e assicurare che il personale coinvolto sia formato in maniera appropriata per queste pratiche, assicurando che tutte le informazioni necessarie per l’utilizzo sicuro dei farmaci, incluse quelle relative sia alla preparazione che alla somministrazione, siano accessibili al punto di cura. Poiché miscelazioni, diluizioni e ripartizioni sono tecnicamente assimilabili ad un preparato magistrale.

In questo contesto il ruolo del farmacista appare quindi fondamentale per la valutazione dei fabbisogni nutrizionali dei pazienti, la progettazione, la composizione, l’erogazione e la gestione della qualità delle formulazioni, nonché lo sviluppo e l’attuazione di un piano di cura nutrizionale personalizzato e un monitoraggio della risposta dei pazienti alla terapia nutrizionale. Altre aree di competenza dei farmacisti riguardo la NA includono la supervisione dei programmi di nutrizione domiciliare, l’educazione di pazienti e operatori sanitari sul supporto nutrizionale e la conduzione di attività di ricerca volta al miglioramento della qualità relative alla NA, le valutazioni di interazioni farmaco-dieta e vigilanza dei farmaci via SNG (Figura 3).

Ognuno di questi aspetti aiuta a ottimizzare l’erogazione di una terapia nutrizionale sicura ed efficace ai pazienti.




Appare quindi chiara la necessità di approfondire la conoscenza su questa nuova malattia COVID-19, che sta mettendo alla prova tutti i professionisti sanitari. C’è ancora tanto da imparare e molte le valutazioni ancora da fare. Ma una cosa è certa: come in tutte le grandi battaglie, per arrivare alla vittoria serve STARE UNITI e promuovere la cooperazione di team dedicati in cui il farmacista ha di certo un ruolo fondamentale.20,21

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