Navigando nella National Library of Medicine

Daniela Scala
AORN A. Cardarelli, Napoli
sdaniela2000@yahoo.com



Care colleghe, cari colleghi,
in questo numero torniamo alla pittura come strumento per  acquisire un’idea più completa della malattia, delle cure mediche e dell’assistenza al malato; non per trovare una spiegazione, ma per una comprensione profonda del lato umano della malattia, allo scopo di cercare di ricondurre la pratica sanitaria alle sue finalità originarie: essere medicina per la persona, per tutta la persona.
Accogliamo con piacere il contributo di un chirurgo; abbiamo già accolto contributi da professionisti della salute diversi dal farmacista includendo tra questi, non ultimo di importanza, il paziente e li ringraziamo per averci dato la possibilità di una riflessione e un dialogo di tipo “umanistico” sulla malattia, sulla medicina, sul ruolo del medico, del farmacista, dell’infermiere e di tutti gli operatori socio-sanitari.




Mariano Fortunato Armellino
Chirurgia 3 - AORN “A. Cardarelli”, Napoli
mfarmellino@yahoo.it



L’ironia e la satira permeano la produzione di Josè Perez che, diversamente da un certo sarcasmo irriverente, sono in grado di far sorridere sulla malattia e l’arte terapeutica fornendo la possibilità di guardare in maniera positiva e, in un certo qual modo più rassicurante, la realtà. Anche e soprattutto quella che viviamo ogni giorno, come pazienti e come professionisti della salute, aiutandoci ad affrontarla con più serenità collocandola nell’ambito dell’avventura umana.
Prendiamo The surgeon (1931) (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/
perez/surgery.html)
, in questo dipinto il chirurgo e la sua équipe, cambiano e riparano parti del corpo umano come se fosse una macchina, trasformando la sala operatoria in un’officina meccanica, dove i pezzi di scarto vengono accatastati a terra. Le diverse dimensioni del paziente e dei chirurghi rappresentano un richiamo alla presunzione positiva della scienza “che tutto può”. Certo i progressi tecnologici erano e sono reali, e hanno permesso di intervenire ampiamente sul corpo umano che, come illustra Perez, resta comunque un mistero più grande dell’équipe dei medici stessi.  Questo stesso progresso ha fatto sì che tutti, sia i pazienti che i medici, narrassero la storia della medicina moderna come regno della tecnologia di altissimo livello. Ma se facciamo l’errore di considerare il medico un tecnico e di conseguenza il paziente come un apparecchio da riparare, succede che il medico verrà valutato esattamene allo stesso modo di un tecnico da chiunque:  se non è in grado di “riparare”, è chiaro che si tratta di un incompetente. Di qui facili denunce per malasanità, campagne di stampa più o meno fondate, critiche istituzionali e politiche spesso ingenerose. Nella realtà il paziente non è un apparecchio guasto da riparare e il medico non è solo un tecnico esperto. Medico e paziente sono innanzitutto due persone, e l’incontro tra persone in una situazione di coinvolgimento reciproco definisce una relazione; cosa che non avviene, come è ovvio, tra un tecnico e un elettrodomestico. Da questa semplice constatazione derivano due tipi di conseguenze: il medico non sempre è in grado di individuare il “guasto”; per quanto riguarda, poi, la “riparazione”, la maggior parte dei guasti, quelli seri almeno, non risulta perfettamente riparabile con restituito ad integrum ma tutt’al più rabberciabile; in genere i guasti non capitano mai da soli, ma sono numerosi e correlati in modo complesso, così che spesso si aggiusta da una parte e si danneggia da un’altra. Una volta individuato il guasto, l’organo danneggiato, e trovati i mezzi adatti a ripararlo almeno in via provvisoria, occorre comunicare con il proprietario dell’organo in questione per proporgli gli interventi diagnostici  e terapeutici, modifiche dello stile di vita, rinunce a comportamenti a rischio: tutte cose in sé piuttosto sgradevoli. Per comunicazioni di questo tipo è necessario che tra il medico, il paziente e i suoi familiari si realizzi una relazione profonda di fiducia reciproca.
L’ironia e la comprensione di Perez non risparmiano nessuno in ambito sanitario, sia esso operatore sanitario, assistito o parente dell’assistito e in particolare le relazioni tra di essi e di essi con la morte, come risulta evidente nel quadro A Day in the Hospital (1935) (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/perez/hospital.html).  Il soggetto del quadro è il sistema sanitario nella dimensione che oggi sembra rappresentarlo maggiormente, cioè l’ospedale. Il medico è posto al centro, emblematicamente di fronte ai limiti e alle sfide a cui l’arte terapeutica deve rispondere:  si guardi l’espressione del viso nonché la postura del corpo con un braccio posto in grembo e l’altro a sorreggere la testa pesante dei tanti pensieri su come e cosa fare e non fare della e con la sofferenza umana e con tutto quello che le ruota attorno. Il malato è sul punto di morire e, accanto ai medici, che si danno un gran da fare, c’è una folla variegata, tra cui anche il mago Merlino, che si contende l’agire: queste sono le sfide, i limiti, la folla variegata che  l’arte terapeutica deve fronteggiare, ossia  aspetti culturali, sociali, politici, etici che non possono essere ignorati a fronte di un luminoso e illuminato progresso scientifico e tecnologico.
Ed è facile mettersi nei panni, o meglio nel lenzuolo, del povero paziente, magro, quasi consumato, seduto davanti al grande urologo nel The Urologist (1929)  (si veda la differenza nelle dimensioni e nella postura)  (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/perez/urology.html): sembra indietreggiare davanti alle terribili spiegazioni  che l’urologo gli elargisce considerando il suo apparato genitourinario come un semplice rubinetto; spiegazioni raccapriccianti che gli fanno torcere i piedi, stringere le ginocchia, che tenta di allontanare  con la mano in un inutile sforzo, mentre con il pensiero torna a ricordi di libagioni e baccanali, ormai perduti, come sembra testimoniare il quadro sulla parete.
Per restare nel terreno delle relazioni difficili, quelle tra chirurgo e internista, un riferimento anche all’emblematico ritratto del The Internist (1929) (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/perez/intern.html), impegnata nelle sue funzioni mentre è attorniata da prelati, religiosi, guardie e trombettieri, necessari a dar ispirazione divina, benedire e proteggere la dottoressa o a supportare e aiutare il malato nel passaggio all’”altro mondo”? La dottoressa  è simbolo di un atteggiamento materno spesso ricercato dal paziente stesso o rappresenta ancora l’opinione arcaica di una superiorità maschile? Si noti che anche in questo quadro ritornano le diverse dimensioni del malato e del medico.
O ancora The Anestesiologist (1934) (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/perez/anesthesia.html) che descrive  la rappresentazione del tempo (ancora attuale?) del medico “addormentatore” dotato dei poteri di Morfeo, spesso negletto e poco considerato, mentre consegna il  corpo inerme e indifeso della paziente nelle mani  del vero “Dio” della sala operatoria: il chirurgo!
Avendo lavorato per tanti anni nel Dipartimento dell’Emergenza, finisco questa navigazione con Emergency Room (1931) (http://www.nlm.nih.gov/exhibition/perez/emergency.html) la cui rappresentazione non è così lontana dalla realtà dove ho lavorato fino a qualche anno fa. In questo dipinto lo staff medico ha dimensioni torreggianti sulla folla di pazienti a simboleggiare il rapporto asimmetrico tra curanti e curati o forse la necessità di “governare” la diversa umanità che con i più diversi bisogni, spesso anche di natura non medica, affolla il pronto soccorso? Dove c’è bisogno del vigile per governare il traffico e dove forti sono le discrepanze tra un’ambulanza che ricorda la  I° guerra mondiale e i poster ai muri sull’educazione sanitaria. E cosa dire del cameraman pronto a filmare l’ennesimo caso di malasanità perché è quello che “fa notizia”?

To be continued…….