Sintesi di sessioni plenarie, parallele, workshop

La ricerca sperimentale ed epidemiologica
Moderatore:Franca Goffredo

Dalla sessione plenaria inaugurale sono emersi numerosi spunti di riflessione e direi anche messaggi molto forti, come di solito accade all’apertura di un congresso, che in qualche modo hanno anticipato e lanciato spunti per le tematiche che sono state approfondite nelle varie sessioni. Il tema è coinvolgente quando si parla di: salute, innovazione, nuove conoscenze ma anche eticità, economicità, equità. La sessione ha approfondito nella prima parte la ricerca sperimentale ed epidemiologica, del perché della ricerca nelle popolazioni, nelle popolazioni mirate e infine gli studi di farmacoepidemiologia e farmacoeconomia. I relatori che hanno guidato i partecipanti in questo percorso sono di provata esperienza. Il tema introduttivo è stato affrontato dal dott. Aldo Maggioni, cardiologo di grande esperienza per il coordinamento degli studi GISSI e direttore dal ’94 del Centro Studi dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Il dott. Maggioni nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di identificare bisogni, pianificare interventi, l’importanza e la particolarità degli studi osservazionali, randomizzati, di outcome. È emerso come sia di importanza pianificare correttamente gli studi clinici, definendo l’obiettivo che permette di rispondere a bisogni o domande considerate rilevanti. Gli studi di outcome ci permettono di osservare l’impatto che un trattamento provoca nel momento in cui viene trasferito nella popolazione normale, meno selezionata.
Dagli studi di popolazione agli studi nelle popolazioni mirate, particolari. Le problematiche degli studi oncologici, legati soprattutto all’utilizzo dei nuovi farmaci biologici, le target therapies, sono state affrontate dal dott. Filippo De Braud, Direttore dell’Unità di Farmacologia Clinica e Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), nonché componente della Commissione Tecnico-Scientifica dell’AIFA e responsabile delle sperimentazioni cliniche. Il dott. De Braud ha egregiamente illustrato, con alcuni esempi dall’oncologia, le difficoltà nell’interpretazione dei risultati in termini di efficacia per molecole la cui attività, pur evidente, non risulta essere così clinicamente rilevante quando distribuita su una popolazione non selezionata di pazienti, molti dei quali risultano non responder al trattamento. I nuovi farmaci sono caratterizzati da una maggiore selettività rispetto al passato; tuttavia, a causa della mancanza di conoscenze o di una non completa conoscenza di quelli che sono i bersagli e i meccanismi in gioco, vengono somministrati a una popolazione poco selezionata; situazioni più vantaggiose si vedono invece nei GIST e nei tumori della mammella, nei quali è possibile una maggiore selezione dei pazienti che potranno avere benefici da un particolare trattamento. Da qui la necessità di identificare anche le caratteristiche biologiche della malattia.
La relazione successiva, della collega Marilena Romero, responsabile del Centro Studi SIFO presso il Consorzio Mario Negri Sud e Responsabile del Laboratorio di Farmacoepidemiologia sempre al Negri Sud, nota ai soci SIFO per la promozione fra gli stessi di studi di epidemiologia, ha approfondito gli aspetti appunto della farmacoepidemiologia portando anche alcuni esempi tratti dalle esperienze fatte in tal senso.
Il collega Andrea Messori, responsabile del Laboratorio SIFO di Farmacoeconomia presso l’Ospedale Careggi di Firenze, ha affrontato gli aspetti farmacoeconomici, coniugando efficacia ed economicità e concludendo la sessione. Andrea Messori ci ha introdotto all’approccio del “value for money”, già concretamente applicato in molti Paesi come Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Svezia, per un uso appropriato del denaro pubblico. La spesa viene approvata purché il ritorno di salute sia adeguato e proporzionato. Ancora, sono state illustrate le esperienze di Paesi come il Regno Unito, nel campo dei farmaci, come modello di riferimento: dal Pharmaceutical Price Regulation Scheme (PPRS), nato nel 1956, alla metodologia applicata dal NICE, riferimento d’obbligo. Infine, Andrea Messori ha concluso la sua interessante relazione sottolineando alcuni problemi ancora aperti.

Neurologia.
Le malattie neurodegenerative: tra efficacia, equità ed economia
Moderatori: Andrea Messori, Vito Lepore

Franca GoffredoIl programma originale della sessione prevedeva una moderazione attiva da parte di Vito Lepore (neurologo, Università di Bari e Capo Laboratorio Epidemiologia Assistenziale dell’Istituto Mario Negri Sud) e Andrea Messori (SIFO) e due interventi da parte di Mario Melazzini (Presidente della Associazione Italiana Lotta alla Sclerosi Laterale Amiotrofica, nonché oncoematologo) e di Isa Simone (Clinica Neurologica di Bari).
L’assenza, tempestivamente comunicata, di Mario Melazzini ha indotto i due moderatori a una radicale revisione delle forme e dei modi con cui condurre la sessione. In particolare, si è deciso di dare un più ampio spazio al dibattito con i colleghi in considerazione del maggior tempo resosi disponibile per la discussione.
Tre relazioni preordinate hanno aperto la sessione. Vito Lepore ha iniziato approfondendo gli elementi di specificità e problematicità dell’area neurologica. Si tratta di un’area che si distingue, nella fase diagnostica, per il forte assorbimento di tecnologia e di risorse (anche umane e professionali) e, nella fase terapeutica, per la disponibilità di trattamenti caratterizzati da ridotta finestra terapeutica, efficacia tuttora assai limitata e, molto spesso, alto costo. I principali scenari-modello sono di due tipi e riguardano, da un lato, le patologie ad alta prevalenza (per es., demenze, ictus) e, dall’altro, le patologie a bassa prevalenza e/o le malattie cosiddette rare (per es., sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica).
Isa Simone ha esaminato in estremo dettaglio il caso della sclerosi laterale amiotrofica. Nella sua esposizione sono state presentate sia le evidenze di letteratura sia le esperienze realizzate nel centro regionale pugliese durante gli ultimi anni. Particolare attenzione è stata dedicata ai risultati ottenibili con le varie terapie oggi disponibili nonché al costo per paziente; quest’ultimo dimostra una spiccata variabilità legata alle differenze inter-individuali e allo stadio di progressione della malattia.
Andrea Messori ha ripreso le varie problematiche discusse in sessione plenaria a proposito del principio del “value for money” e ha approfondito le esperienze inglesi riguardanti la rimborsabilità degli interferoni nella sclerosi multipla e dei farmaci anti-Alzheimer. Si è esaminata la cronaca delle recenti deliberazioni del National Institute of Clinical Excellence a proposito di queste due aree terapeutiche e il vivacissimo dibattito in materia che ne è seguito e che è stato interamente pubblicato dal BMJ.
Infine, la discussione plenaria ha visto numerosissimi interventi da parte dei colleghi i quali hanno trattato, da un lato, i temi più strettamente neurologici e, dall’altro, i princìpi del “value for money” nonché le modalità di applicazione del criterio costo-efficacia al caso delle malattie rare.

Andrea Messori


Valutazione delle prove di efficacia dei Dispositivi Medici
Moderatori: Paola Marini, Patrizia Berto

La sessione è iniziata con l’intervento del dott. D’Avenio del Laboratorio di Ingegneria Biomedica, Dipartimento Tecnologie e Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che ha illustrato le problematiche connesse alla ricerca pre-clinica (in vitro e in vivo) sui Dispositivi Medici (DM), con particolare riferimento al coinvolgimento delle strutture dell’ISS. Dopo una iniziale presentazione delle direttive europee sui DM, che forniscono il percorso e i requisiti essenziali da seguire ai fini della loro commercializzazione, vengono illustrati dal relatore i molteplici aspetti di tipo medico, biologico, ingegneristico, etc. delle prove pre-cliniche in vivo condotte su animali, e mirate alla minimizzazione dei rischi. Particolarmente critica è la scelta del modello animale, che va effettuata valutando le caratteristiche dei biomateriali, del prodotto finito e della fisiopatologia dell’animale. Un’altra vasta classe di prove pre-cliniche è data dalle prove in vitro, che riguardano molteplici aspetti del DM (studi immunologici, chimici, biomeccanici, emodinamici, etc.). Concludendo, il dott. D’Avenio ha evidenziato come la valutazione pre-clinica di un DM dovrebbe contemplare tutti gli aspetti legati alla sicurezza e permettere l’aggiornamento del progetto definitivo, con tutti i rischi mitigabili stimati e minimizzati (per quanto tecnicamente ed economicamente possibile), ai fini della successiva sperimentazione sull’uomo.
È seguito poi l’intervento della collega Sabrina Trippoli, del Servizio di Farmacia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi (AOUC), relativo alla valutazione delle evidenze scientifiche e farmacoeconomiche di un nuovo DM. La relatrice ha dapprima illustrato i criteri di selezione dei DM secondo il regolamento della Commissione Aziendale per i Dispositivi Medici (CAD) della AOUC. Tale commissione discute l’introduzione in ospedale di nuovi DM sulla base dell’efficacia, della sicurezza e del rapporto costo-efficacia, poiché un’applicazione moderna dell’analisi costo-efficacia prevede di utilizzare questa metodologia per la definizione del prezzo dei prodotti innovativi. In questo senso è stato presentato un esempio della metodologia che viene applicata ai DM in discussione alla CAD dall’inizio del 2007. La stima del prezzo si basa su un’applicazione dell’analisi costo-efficacia che prevede di quantificare il beneficio clinico di un prodotto innovativo e di convertire poi tale beneficio clinico in un controvalore economico, quindi in una stima del prezzo che può essere riconosciuto al prodotto in questione. Per quantificare il beneficio clinico dei DES (stent medicati a rilascio controllato di farmaco) nei confronti dei BMS (stent metallici nudi) sono stati utilizzati vari articoli pubblicati sul New England Journal of Medicine dell’8 marzo 2007 (vol. 356). Per i BMS è stato usato il prezzo di 500 euro e il valore di 7070 euro come DRG (Diagnosis Related Group) medio per il trattamento di una rivascolarizzazione. A partire dai dati clinici sui DES e dai dati di costo dei BMS è stato possibile ricostruire un’ipotesi di prezzo per i DES che considera sia l’utilizzo entro indicazioni che una certa quota di uso off-label. Attualmente l’AOUC acquista i DES a un prezzo di circa 1600 euro (stent con sirolimus) e circa 1100 euro (stent con paclitaxel). Secondo la logica illustrata dalla relatrice, è stato quindi calcolato che se in sede di gara dove è stata trasferita questa proposta di prezzo, ai DES fosse applicato un prezzo di 948 euro, questo comporterebbe per l’AOUC un risparmio di circa 800.000 euro per il secondo semestre 2007.  
La collega Chiara Filippi ha presentato il bollettino UVEF “Informazione sui dispositivi medici”, un’esperienza di informazione indipendente condotta dal Servizio di Farmacia dell’Azienda Ospedaliera di Verona (AOVr). UVEF, Unità di Valutazione dell’Efficacia del Farmaco del Centro di riferimento della Regione Veneto (delibera n. 1829 del 13/07/2001), dal 2001 fornisce agli operatori sanitari una valutazione analitica delle fonti scientifiche in campo farmacologico. Lo strumento di divulgazione delle decisioni assunte dalla Commissione Tecnica Regionale è il Bollettino di Informazione che, a partire dal 2003, ha riservato una rubrica ai DM. Vista l’importanza che i DM hanno acquisito negli ultimi anni, nel 2006 UVEF ha iniziato ad ampliare il proprio “spettro d’azione” dedicando regolarmente un allegato al tema dei Medical Devices intitolato “Informazione sui dispositivi medici”. Il nuovo bollettino, interamente dedicato ai DM, è nato con l’obiettivo di promuovere un processo di valutazione dei DM basato su elementi scientifici documentati e su valutazioni di ordine economico.
Sono stati quindi illustrati gli “strumenti di lavoro” attraverso cui la redazione svolge il lavoro di ricerca e approfondimento delle informazioni scientifico-economiche, che consistono nella consultazione delle principali riviste scientifiche e delle banche dati bibliografiche primarie quali Medline, Embase, Cinahl, e secondarie come la Cochrane Library, oltre a siti internet di società scientifiche, siti di carattere istituzionale (Ministero della Salute italiano, Food and Drug Administration, NICE, ecc.) e siti di organizzazioni internazionali di Health Technology Assessment (HTA). La valutazione dell’impatto economico viene svolta dalla redazione attraverso l’analisi degli studi economici pubblicati e di tutti i costi diretti e indiretti connessi all’uso del device con particolare riferimento alle alternative disponibili e, ove possibile, al rimborso del DRG. Da quando l’informazione sui DM si è separata da quella dei farmaci acquisendo un proprio spazio, sono stati pubblicati 4 numeri: il primo, di introduzione ai successivi, presenta una panoramica sullo stato dell’arte dei DM; il secondo è un numero monografico dedicato agli stent medicali e gli ultimi due organizzati secondo specifiche rubriche che approfondiscono le diverse tematiche riguardanti i DM. A titolo esemplificativo, sono state presentate due schede di valutazione relative a una medicazione all’argento e a uno stent coronarico medicato. Come annunciato dalla relatrice, la redazione del bollettino già con il prossimo numero sarà implementata con figure professionali di supporto (clinici, infermieri, ingegneri clinici) ed esperti di farmacoeconomia, evolvendosi in un comitato di redazione multidisciplinare e assumendo sempre di più le caratteristiche di un gruppo che fa HTA. Proprio perché le evidenze scientifiche non sono ritenute indispensabili ai fini della commercializzazione di un dispositivo medico e dal momento che le informazioni sui DM sono veicolate principalmente dai produttori e fornitori, è indispensabile che chiunque operi nel campo dei DM possa disporre di informazioni provenienti da fonti indipendenti per orientarsi, decidere, valutare. Con la rivista “Informazione sui dispositivi medici” UVEF si propone di contribuire alla diffusione e condivisione delle conoscenze di base, in particolare dei dati di efficacia e sicurezza che supportano l’uso dei DM.
Il dott. Gianfranco Veraldi, responsabile della Chirurgia vascolare della I Divisione Clinicizzata dell’AOVr, ha introdotto la patologia, i trattamenti e le complicanze dell’Aneurisma dell’Aorta Addominale (AAA). Dopo un iniziale inquadramento della patologia, sono state descritte le metodiche di riparazione dell’AAA, che sono l’intervento chirurgico tradizionale (Open Repair, OR) e il trattamento endovascolare meno invasivo (EndoVascular Aneurysm Repair, EVAR). La riparazione chirurgica consiste nella sostituzione della sacca aneurismatica con una protesi vascolare. Mediante laparotomia mediana xifo-pubica si accede al peritoneo posteriore che viene inciso e quindi isolata la parete anteriore dell’aneurisma. L’aorta viene clampata e la protesi posizionata e suturata per sostituire la parte di aorta dilatata. La procedura endovascolare rappresenta una terapia alternativa meno invasiva che consiste nell’inserimento all’interno della sacca aneurismatica di un’endoprotesi vascolare che viene avanzata tramite un catetere lungo le arterie femorali, dall’inguine verso l’aorta. Risalita in sede aortica, l’endoprotesi viene aperta e agganciata alla parete dell’aorta, escludendo così l’aneurisma dal flusso ematico. Non tutti i pazienti sono candidati al trattamento endovascolare stante la necessità di disporre di un segmento di aorta a monte dell’aneurisma adatto per l’aggancio intraluminale dell’endoprotesi e di un’anatomia idonea dei vasi di veicolazione e di ancoraggio distale. La selezione avviene sulla base di precisi criteri d’inclusione. Sono state in seguito analizzate le evidenze disponibili in letteratura sulla sicurezza ed efficacia del trattamento EVAR rispetto all’OR o rispetto a nessun trattamento, e in particolare, 3 trial prospettici e randomizzati, EVAR I, EVAR 2 e DREAM. A fronte di un vantaggio iniziale sulla mortalità a 30 giorni e pur riducendo la mortalità correlata all’aneurisma, l’EVAR presenta maggiori complicanze e reinterventi nel medio periodo. Concludendo, dall’analisi delle evidenze disponibili, il dott. Gianfranco Veraldi e la collega Paola Marini, che ha presentato la valutazione economica effettuata sui dati del controllo di gestione della AO di Verona, hanno evidenziato come si possa affermare che EVAR non rappresenti a tutt’oggi il “gold standard” nel trattamento dell’AAA. Il trattamento endovascolare è indicato solo in pazienti ad alto rischio chirurgico (ASA 3 e 4), mentre in pazienti con buona spettanza di vita (> 4 anni) “fit for surgery”, l’OR è sicuramente preferibile. I pazienti “unfit for surgery”, infine, si giovano più della semplice osservazione che del trattamento mediante EVAR.

Paola Marini, Patrizia Berto


Assistenza territoriale e continuità di cura
Moderatori: Gianemilio Giuliani, Claudio Cricelli

I piani sanitari nazionale e regionali pongono sempre più attenzione ed enfasi circa il ruolo del territorio nei processi assistenziali. Se l’ospedale è il luogo dove si affronta la fase acuta della malattia, il territorio è la sede che si fa carico della continuazione domiciliare delle terapie nei confronti di pazienti in ospedalizzazione domiciliare, pazienti in ADI e dei pazienti affetti da patologie croniche e da fasi acute di minor intensità.
Il termine “innovazione” sul territorio va riferito non solo ai farmaci innovativi, ma anche agli aspetti tecnologici, informatici, organizzativi e metodologici che consentono di recuperare in efficienza con un utilizzo più razionale delle risorse disponibili e di migliorare l’efficacia e la sicurezza degli interventi in termini di esiti. Gli argomenti scelti per la trattazione rispondono quindi a criteri di “rilevanza” economica, etica (per es., paziente oncologico) e di equità (per es., LEA non ugualmente garantiti in tutte le Regioni), ma offrono solo una rappresentazione parziale della complessità del territorio.
La ricerca epidemiologica e farmacoeconomica è sempre alla base dell’innovazione; infatti, solo la conoscenza degli esiti e dei costi reali dei trattamenti farmacologici consente di evidenziare sia le alternative terapeutiche più appropriate, sia i bisogni meno espressi in termini di numerosità. I risultati di queste ricerche sono, quindi, anche molto utili per fornire elementi per l’impostazione di una corretta programmazione sanitaria all’insegna dell’efficacia, dell’etica e dell’equità. Il dott. Carlo Lucioni, nella sua relazione “Uso dei data base sanitari ai fini della ricerca epidemiologica e farmacoeconomica…” ha illustrato attraverso alcuni esempi di studi gli aspetti metodologici delle ricerche al fine di rilevare sia l’appropriatezza d’uso dei farmaci (particolare riferimento alle statine), sia le possibili ricadute nella programmazione sanitaria.
La seconda relazione (Giuliani) riguardava i farmaci non coperti da brevetto, che non possono certo essere considerati innovativi, ma lo sviluppo di questo settore rappresenta il presupposto per garantire la sostenibilità di un SSN che, attraverso un migliore e più appropriato utilizzo delle risorse, può rendere disponibili a tutti anche le molecole più innovative.  
Pur rappresentando solo il 19% dei principi attivi in prontuario, oltre il 49% per numero di confezioni in commercio e nell’anno 2006 hanno coperto il 19% del valore della farmaceutica convenzionata e il 30% dei volumi prescrittivi totali (dati Sfera); sono dati ormai non più molto lontani dalla realtà dei principali Paesi europei. Complessivamente, il settore dei farmaci non coperti da brevetto può essere assunto, nell’ambito dell’assistenza farmaceutica, come paradigma di efficacia, equità ed etica. Infatti, l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci maturi è documentata dall’uso consolidato in terapia da lunghissimo tempo. L’equità e l’etica sono associate alla più facile accessibilità a questi farmaci anche nei Paesi economicamente svantaggiati per fronteggiare, gravi patologie (AIDS) e nell’escludere a molecole “mature” dei vantaggi di elevati livelli di rimborso anche dopo la scadenza brevettale, cercando inoltre di allineare e uniformare le normative nazionali di protezione dei brevetti verso un mercato mondiale basato sulla concorrenza.
Il dott. Claudio Cricelli e il dott. Ovidio Brignoli, rispettivamente Presidente e Vicepresidente di SIMG, hanno introdotto gli aspetti innovativi dell’organizzazione delle cure primarie sul territorio. Il dott. Cricelli si è soffermato sul contenuto del collegato alla finanziaria che ridisegna l’assistenza sanitaria territoriale e che introduce le UAT, le unità assistenziali territoriali, che rappresentano il livello organizzativo di aggregazione dei medici di MG a livello di distretto, attraverso le quali verranno fornite le prestazioni sanitarie ai cittadini. Il dott. Brignoli ha sottolineato l’importanza di una chiave di lettura integrata delle prestazioni (prescrizioni farmaceutiche, ricoveri, prestazioni ambulatoriali) dei medici di MG nell’ambito della reportistica delle ASL come guida e riferimento per il recupero di appropriatezza, non solo in termini di prescrizione farmaceutica, ma del complesso delle attività di assistenza al paziente.
Il dott. Gianlorenzo Scaccabarozzi, membro della Commissione LEA presso il Ministero della Salute, nella sua relazione “Assistenza domiciliare al paziente oncologico: i bisogni, la qualità e l’efficacia degli interventi”, ha posto il problema della crescente domanda di forme complesse e avanzate di cura che richiedono il trasferimento sul territorio di cure intense e specifiche, diverse da quelle della fase acuta della malattia, perché diversi sono gli obiettivi di salute. Le nuove risposte assistenziali ai cittadini fragili, con malattie progressive e inguaribili, richiedono infatti un forte incremento di flessibilità organizzativa e la ricerca di nuovi strumenti gestionali che assicurino l’appropriatezza delle cure, la sostenibilità dei modelli, il gradimento dei cittadini, la qualità professionale e l’efficacia degli interventi.
Il quinto intervento aveva l’obiettivo di mettere a confronto le scelte nell’ambito dell’assistenza integrativa di due Regioni di diverso orientamento politico. Le colleghe Liliana Burzilleri (Lombardia) e Ester Sapigni (Emilia-Romagna) hanno presentato gli aspetti organizzativi e i costi delle rispettive Regioni per una tipologia di assistenza che presenta serie criticità sulla sostenibilità economica nel soddisfacimento dei crescenti bisogni di una popolazione anziana in espansione.
Nell’ultimo intervento, il dott. E. Guffanti ha trattato l’assistenza al paziente in insufficienza respiratoria cronica che viene gestito a livello ospedaliero per gli aspetti diagnostici e per il trattamento delle complicanze e a livello domiciliare (in prevalenza) per la terapia farmacologica e l’ossigenoterapia con ossigeno liquido. L’assistenza a questi pazienti, spesso anziani, spesso soli e in difficoltà a utilizzare le apparecchiature, a volte poco inclini ad assecondare le terapie prescritte, comporta la necessità di verifiche frequenti per la prevenzione e il trattamento delle complicanze dell’insufficienza respiratoria. I costi di questa tipologia di assistenza sono particolarmente elevati e il numero di pazienti trattati è in costante aumento.
La sessione parallela si è aperta alle 16:30 davanti a una vasta platea che ha completamente riempito la sala C (capienza 350 posti). Gli argomenti della sessione erano indirizzati prevalentemente ai farmacisti dei Servizi Territoriali delle ASL, che hanno risposto positivamente in termini di partecipazione e di resistenza a un programma particolarmente denso. Le sette relazioni, oltre alle introduzioni dei moderatori, si sono succedute con tempi contingentati per poter concludere entro le 18:30, ma hanno suscitato l’interesse della platea. Alcuni degli argomenti trattati erano infatti abbastanza inconsueti nella storia dei congressi SIFO, ma sono fondamentali e abituali per i farmacisti dei servizi territoriali delle ASL.

Gianemilio Giuliani


Terapia cellulare somatica
Moderatori: Cesarina Curti, Cristina Pintus

Il tema conduttore di questo Congresso propone di discutere di innovazione e salute pubblica a partire dalla ricerca che viene effettuata sui prodotti e avendo sempre presente la normativa, senza sottovalutare la valenza delle quattro parole chiave: efficacia, equità nell’accesso alle cure, etica delle scelte e valutazione della compatibilità economica. In questa sessione discuteremo di terapia cellulare somatica; questo tema si inserisce perfettamente nel “mandato” del Congresso in tutte le sue articolazioni perché è uno degli ambiti di sviluppo della medicina dei prossimi anni.
Il settore dei medicinali per terapie avanzate, tra le quali si colloca la terapia cellulare somatica, presenta un notevole fermento di iniziative e vede in Italia varie strutture operanti a livelli di eccellenza, sia per le attività di ricerca sia nell’ambito delle attività cliniche. Diverse cell factories sono già autorizzate e operative e molte altre sono in via di attivazione in molte Regioni.
In questo panorama, la farmacia ospedaliera è chiamata a entrare in campo. Secondo la normativa, infatti, questi prodotti sono “farmaci”: quindi, come recentemente si è verificato per i radiofarmaci, esistono di fatto numerosi punti di contatto tra la farmacia e le unità operative produttrici e/o utilizzatrici e/o che effettuano ricerca clinica con terapie cellulari. Anche se molti aspetti sono tuttora in fase di definizione, è indubbio che tra i momenti più significativi, e in alcune realtà italiane già presenti, si pongono le attività di consulenza tecnica per l’acquisizione, la vigilanza, le attività svolte dal farmacista come componente ex officio del Comitato Etico, la collaborazione alla gestione dei farmaci sperimentali, se pur variamente articolata secondo le situazioni.
Il settore è nuovo, altamente tecnologico e specialistico; per questo i moderatori, convenuto che non sarebbe stato possibile proporne una panoramica esaustiva, hanno ritenuto opportuno articolare questo primo approccio come un momento di approfondimento formativo che aiutasse a meglio conoscere alcuni degli aspetti che più facilmente, già da ora, incrociano l’attività della farmacia, per favorire un approccio efficiente a problematiche che rappresenteranno uno degli ambiti di attività dei farmacisti nei prossimi anni.
In premessa la dott.ssa Cristina Pintus, Dirigente presso l’AIFA dell’Ufficio rapporti con l’EMEA e con le altre Agenzie dell’UE, ha proposto, in una sintetica e chiara relazione, cosa si intende per terapia cellulare. Dal punto di vista biologico si tratta di cellule adulte (somatiche) ed embrionali (l’uso di queste ultime non è però consentito in Italia), primitive e quindi capaci di differenziarsi in altri tipi di cellula del corpo: esse sono così potenzialmente utili per la rigenerazione di sistema nervoso centrale, cervello, midollo spinale, muscoli, ossa, cartilagine, cellule beta del pancreas, etc. Dal punto di vista regolatorio, in base al D.Leg.vo 24.04.06 n. 219 sono prodotti medicinali, che rientrano in una classe specifica denominata “Medicinali per terapie avanzate”, di cui fanno parte i medicinali per terapia genica e quelli per terapia cellulare somatica. Con l’imminente Regolamento europeo si aggiungerà una nuova classe di terapie avanzate: i cosiddetti prodotti di ingegneria tessutale. Questa classe è borderline con altri settori (farmaci e dispositivi medici, prodotti del sangue, cellule e tessuti non ingegnerizzati) e vengono prodotti in strutture pubbliche o private specificamente autorizzate, che generalmente hanno carattere specialistico (per es., produzione di cute e condrociti, terapie geniche per malattie oncologiche e orfane).
La dott.ssa Pintus si è poi addentrata nella presentazione del regolamento europeo per le terapie avanzate. Questo regolamento è stato redatto con la massima cura al fine di assicurarne la compatibilità con le altre normative comunitarie vigenti in materia e per garantire il primato della sicurezza del paziente e l’assenza di divari normativi. Visto il livello di specializzazione e innovazione delle terapie avanzate, il Comitato dei Medicinali dell’EMEA si avvarrà di un comitato specifico per consulenze specializzate a supporto delle sue valutazioni. L’applicazione del regolamento consentirà ai pazienti dell’UE di sottoporsi ai nuovi trattamenti prodotti industrialmente, lasciando nel contempo liberi gli Stati membri di regolamentere, sul proprio territorio nazionale, la produzione e l’impiego negli ospedali.
Sino all’entrata in vigore del Regolamento europeo, rimangono in vigore le diverse disposizioni nazionali che regolamentano i prodotti medicinali e che danno indicazioni riguardo all’AIC, alla sperimentazione, alla produzione, ai requisiti dei laboratori pubblici produttori, alle tipologie di impieghi clinici di medicinali per terapia cellulare somatica considerati consolidati.
La dott.ssa Rosaria Giordano, Direttore Tecnico della Cell Factory “Franco Calori”, autorizzata da poco dall’AIFA, del Dipartimento di Medicina Rigenerativa della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano, ha proposto quale deve essere l’iter di un protocollo clinico di terapia cellulare somatica. La sperimentazione con prodotti per terapia cellulare richiede una prima fase preclinica, orientata alla raccolta di informazioni necessarie per la traslazione in campo clinico, cui segue una fase di convalida del processo produttivo che deve essere svolta a partire dall’analisi dei rischi legati al processo di manipolazione cellulare. I risultati di queste due fasi insieme al protocollo clinico proposto costituiscono parte integrante del dossier che dovrà essere sottoposto all’iter autorizzativo della Commissione nazionale per la fase I operante presso l’Istituto Superiore di Sanità e, successivamente, al parere del Comitato Etico Locale. Ovviamente, la preparazione del prodotto per uso sperimentale dovrà poi essere attuata nel rispetto delle GMP.
Infine, il dott. Martino Introna, Direttore del Programma Scientifico del Laboratorio di Terapia Cellulare e Genica G. Lanzani, Presidio Matteo Rota degli Ospedali Riuniti di Bergamo, struttura pure recentemente autorizzata dall’AIFA alla produzione di terapie cellulari, ha presentato la loro esperienza di realizzazione e attivazione di un’officina di produzione di preparati cellulari sterili iniettabili che opera secondo GMP. È stato molto interessante confrontare dove e quanto differisca operare in GMP nell’ambito di un laboratorio ospedaliero rispetto a quanto avviene in uno stabilimento farmaceutico che produce farmaci tradizionali.
La sessione è stata seguita con attenzione dai colleghi partecipanti e ha sollevato interrogativi e discussione soprattutto con riferimento alle problematiche esistenti in questo momento di passaggio normativo. Pur nella consapevolezza che le norme in essere sono spesso non specifiche, frammentarie e diverse nei differenti Paesi, in attesa dell’applicazione del regolamento europeo è necessario che, nell’acquisizione di questi farmaci, a esse venga fatto riferimento per garantire che anche per i prodotti di terapie cellulari somatiche siano rispettati i principi di qualità, sicurezza ed efficacia.

Cesarina Curti

La ricerca della SIFO
Moderatori: Giovanna Monina, Marilena Romero


La ricerca della SIFO ha avuto ampio spazio al Congresso di Rimini, con una sessione plenaria e una parallela interamente dedicate a questo tema, nell’ambito delle quali sono stati presentati e discussi alcuni tra i progetti di ricerca più significativi e/o strategicamente importanti della SIFO.
Il presentare e discutere dei progetti che la SIFO sta portando avanti ha significato dare un segno di continuità con il Congresso di Genova e testimoniare il risultato dell’impegno assunto in quella occasione e ribadito nell’editoriale “post-congresso” pubblicato a nome di Giovanna Scroccaro, Marilena Romero, Rossella Rossi1. In tale editoriale ci si riprometteva di «ripensare alle strategie concrete da mettere in opera per dare alla SIFO una capacità di presenza e impatto, specie in alcuni settori della sanità dove le competenze e i ruoli della SIFO coincidono con questioni aperte, complesse, controverse, sia a livello conoscitivo che operativo», ribadendo che la «ricerca è un elemento costitutivo della identità professionale della Società…».
Nell’introdurre la sessione plenaria dedicata alla ricerca, si è evidenziato come i numerosi abstract presentati, 402 per l’esattezza, costituiscano dei momenti di cristallizzazione-documentazione delle attività del farmacista ed è sembrato opportuno partire da una loro analisi per valutarne le capacità e/o testimonianze di ricerca. Di fatto, benché l’eterogeneità degli argomenti trattati e la molteplicità delle esperienze presentate siano espressione lodevole della nostra operatività, l’attività di ricerca è ancora poco presente. Nella quasi totalità dei casi i lavori si riferiscono a esperienze relative a: ruoli-funzioni che normalmente competono al farmacista; attività, salvo qualche eccezione, abbastanza routinarie anche se producono percorsi di ottimizzazione delle procedure e dei servizi.
In un Congresso che si propone di parlare di Innovazione e Salute Pubblica non può non essere considerata la ricerca, che è parte fondamentale dell’innovazione, e lo è ancor di più per una innovazione che vuole (deve) garantire salute pubblica. Ricerca in tal senso significa, prima di tutto, capacità, ma anche responsabilità per chi opera in Sanità, di assicurare una maggiore efficacia, una migliore cura-assistenza trovando risposte efficaci per i problemi “aperti”, per le situazioni complesse, problematiche. Per ottenere questo bisogna munirsi di strumenti, bisogna allacciare “alleanze”, creare collaborazioni e soprattutto identificare le situazioni per le quali sono necessarie più conoscenze.
Le esperienze di ricerca della SIFO che sono state presentate durante la sessione sono proprio una testimonianza di questa volontà della Società di essere parte attiva in percorsi di ricerca che producano conoscenze in grado di determinare innovazione e miglioramento delle cure. Nello specifico sono stati esposti, da parte dei responsabili, i seguenti progetti/programmi:
– progetto SIFO-IMS che si propone di produrre, attraverso l’analisi dei consumi ospedalieri, un primo livello conoscitivo dei principali “problemi” presenti in un campione rappresentativo di ospedali italiani. L’esempio presentato ha riguardato l’analisi dell’impiego di farmaci “innovativi” o comunque di nuova immissione sul mercato farmaceutico;
– programma SIFO/Ministero Salute sugli Errori di terapia che ha l’obiettivo di verificare la trasferibilità nella quotidianità assistenziale delle raccomandazioni prodotte dal ministero per la prevenzione degli errori. Si tratta di un valido esempio di collaborazione della nostra società con il ministero non finalizzato a favorire la trasmissione delle raccomandazioni ma a realizzare programmi di verifica che assicurino qualità di cura;
– progetti “Riace-Rischio assoluto cardiovascolare”2, “OMG-Epidemiologia della patologia osteoartrosica”3, “ISD-Studio italiano sulla Depressione in MMG”4 relativi a sorveglianze mirate per problemi e/o popolazioni che la SIFO ha sviluppato (sta sviluppando) in stretta collaborazione con le diverse figure professionali coinvolte, come modelli di studio di “situazioni” ancora problematiche, incerte. In particolare, il primo si propone di definire il profilo di rischio cardiovascolare complessivo in un campione rappresentativo di pazienti, approcciando lo studio del problema da diversi punti di vista: analisi dei data base amministrativi, sorveglianza mirata per pazienti da parte della medicina generale e della specialistica; il secondo consiste in una osservazione, sia trasversale che longitudinale, di pazienti con osteoartrosi in carico della medicina generale, mentre il terzo (in fase di avvio) si propone di esaminare la gestione (percorso diagnostico-terapeutico) dei pazienti con depressione o disturbo depressivo da parte sempre della medicina generale.
Con la presentazione, in questa sessione plenaria, dei progetti più significati e peculiari, la SIFO ha voluto dare testimonianza della sua attività di ricerca, mettendone in evidenza un aspetto di fondamentale importanza che è il suo svilupparsi, e l’essere radicata, nella quotidianità.
Ed è proprio la capacità di far sì che la ricerca diventi componente “normale” della nostra quotidianità di lavoro, il carattere di innovatività della ricerca SIFO, perché è nella e dalla quotidianità che si identificano i problemi e i bisogni di cura, di assistenza, di conoscenza così come gli errori, le “non appropriatezze”, a partire dai quali bisogna pianificare programmi di sorveglianza, di studio, di analisi per trovare le risposte più adattate e più efficaci.
In questa prospettiva la SIFO fa ricerca, ed è una ricerca che presenta delle modalità di sviluppo e di realizzazione originali, che affronta temi importanti e d’attualità e quindi con una notevole componente di innovatività. Per far sì che la ricerca  SIFO non perda questa connotazione, ma anzi che la sviluppi sempre più a garanzia di una salute pubblica a cui assicurare interventi efficaci in un ottica di economia, etica, equità (come cita il titolo del congresso), la SIFO e i farmacisti che ne fanno parte devono:
non smettere mai di farsi domande e di prestare attenzione, nel quotidiano dell’assistenza, alle situazioni: clinicamente rilevanti, assistenzialmente problematiche e “umanamente” (non solo e non tanto scientificamente) etiche;
partecipare alla definizione di linee-guida, di procolli terapeutici alla stesura di prontuari, etc. Trattasi di un’attività di fondamentale importanza perché permette di tener conto delle reali esigenze locali rispetto alle quali fornisce (cerca di fornire) risposte efficaci e pertinenti, adatte al contesto-situazione specifica, ma bisogna avere altrettanto presente che queste sono iniziative di partenza e non di arrivo, sono strumenti di lavoro da utilizzare e non da “incorniciare”;
essere consapevoli di avere una “rete di ricerca” che è in grado (ha la possibilità) di coinvolgere e aggregare altri operatori sanitari, creando in tal modo gruppi collaborativi interdisciplinari attraverso i quali sviluppare programmi di ricerca e assicurare una reale condivisone nella cura del paziente;
sentirsi parte effettivamente di tale rete non (o non solo) partecipando alla fase di raccolta dati di programmi di ricerca ma, consapevoli del valore della ricerca multicentrica per dare visibilità a popolazioni-contesti-bisogni locali, condividendone fino in fondo i propositi e collaborando attivamente a tutte le fasi progettuali dall’ideazione fino alla divulgazione dei risultati e utilizzazione dell’esperienza.

Giovanna Monina, Rossella Rossi
Bibliografia
1. Scroccaro G, Rossi R, Romero M. SIFO: una Società che investe in ricerca. Giornale Italiano di Farmacia clinica 2006; 20: 355-6.
2. Monte S, Romero M, Tognoni G. Progetto RIACE: epidemiologia del rischio assoluto cardiovascolare. Bollettino SIFO 2007; 53: 50-3.
3. Scurti V, Romero M, Tognoni G. Verso un’epidemiologia multidisciplinare partecipata: il caso dell’OMG (Epidemiologia della gestione della patologia Osteoartrosica in Medicina Generale). Assistenza Infermieristica e Ricerca 2007; 26: 77-83.
4. Anecchino C. Studio italiano sulla depressione in medicina generale (Italian Study on Depression-ISD): una proposta di formazione e ricerca. Bollettino SIFO 2007; 53: 102-4.


Le Agenzie nazionali si confrontano su efficacia, equità, etica ed economia
Moderatori: Maria Font, Pietro Folino Gallo

L’equità, l’efficienza e il raggiungimento dei bisogni dei pazienti sono i principali obiettivi della politica sanitaria in generale e di quella farmaceutica. Il contenimento dei costi non è un obiettivo in se stesso ma è lo strumento che le autorità sanitarie usano per gestire il mercato farmaceutico e per riuscire a bilanciare bisogni e domande contrastanti. Tuttavia, nel contesto europeo, la maggioranza dei Paesi ha visto aumentare la spesa sanitaria rispetto al PIL, cioè si investe di più in Sanità e, malgrado sia quello farmaceutico uno dei mercati più regolati, la spesa farmaceutica, rispetto alla spesa sanitaria complessiva, è aumentata nella maggioranza di Paesi dell’UE. Tra le cause di questo incremento, un maggior volume di prescrizione e l’impatto dei nuovi farmaci. Di conseguenza, la maggioranza dei Paesi ha implementato politiche di contenimento dei costi il cui impatto sull’efficienza, sulla qualità delle cure e sulla prescrizione è scarsamente valutato. Ciononostante, i governi e le autorità sanitarie cercano soluzioni a partire dalle esperienze avviate in altri Paesi.
Il titolo di questa sessione rende esplicito quindi il bisogno di confronto sugli aspetti che un’adeguata politica farmaceutica dovrebbe garantire, ovvero: come conciliare un equo accesso ai farmaci a costi sostenibili? Questi problemi sono affrontati in modi diversi nei vari Paesi e in questa sessione – che conta, con la presenza dei rappresentanti di tre agenzie, la dott.ssa Sabine Vogler di un Istituto di ricerca austriaco appartenente al Ministero della Sanità, la dott.ssa Dolores Montero dell’agenzia spagnola e il dott. Antonio Addis, che rappresenta l’agenzia italiana – parleremo del confronto sui diversi approcci all’innovatività e i suoi limiti e di alcuni progetti europei in corso che interessano le agenzie.  
La dott.ssa  Montero, dell’Agenzia spagnola dei medicinali, spiega l’organizzazione in Spagna per quanto riguarda l’Autorizzazione dell’Immisione in Commercio dei medicinali (AIC) che è responsabilità dell’Agenzia spagnola dei medicinali, mentre il pricing e la rimborsabilità sono competenza della Direzione Generale di Farmaci e Prodotti sanitari. La gestione della prescrizione è a carico delle Regioni Autonome.
La politica farmaceutica mira, in condizioni ideali, a garantire l’accesso ai medicinali, incentivare l’innovazione e a ottimizzare le risorse. Per quanto riguarda l’accesso ai medicinali, i programmi per l’uso compassionevole e i processi di finanziamento dei farmaci orfani sono gli aspetti più rilevanti commentati. I primi includono i medicinali ancora in fase di sperimentazione e l’uso off-label. I farmaci in fase di sperimentazione sono gestiti attraverso l’approvazione di un protocollo, i secondi attraverso l’approvazione del comitato terapeutico ospedaliero; tuttavia, entrambe le modalità hanno dei problemi in quanto possono ritardare lo svolgimento della sperimentazione oppure ritardare o prevenire la richiesta dell’AIC per questa nuova indicazione da parte delle ditte (uso off-label). Per quanto riguarda l’incentivazione dell’innovatività, l’Agenzia spagnola riconosce come innovativo il farmaco che apporta un valore terapeutico aggiunto. Tuttavia, sono necessarie più informazioni al momento della presa di decisioni, per esempio è necessario disporre di studi che considerino outcome più importanti per il paziente e non end point surrogati.
Per ottimizzare le risorse sono state avviate varie iniziative: prezzi di riferimento, taglio dei prezzi, controllo dei profitti. Dalla parte della domanda: efficacia relativa, linee-guida, programmi di pharmaceutical care, educazione alla salute.
Un’altra iniziativa è stato l’avvio a luglio 2006 di un programma di finanziamento per la ricerca indipendente con un finanziamento di 20 milioni di Euro per finanziari progetti di ricerca indipendenti in 5 aree prioritarie: Farmaci orfani non d’interesse commerciale, Resistenze antibiotiche, Ricerca in pediatria, Ricerca clinica sulla sicurezza in condizioni reali d’uso dei farmaci e studi comparativi su farmaci e strategie terapeutiche di forte impatto sul Sistema sanitario nazionale intesi a migliorare l’efficacia clinica.
Il dott. Antonio Addis, in rappresentanza dell’AIFA, ha illustrato le caratteristiche dell’Agenzia. L’AIFA è responsabile delle competenze che riguardano l’approvazione dei medicinali, del pricing e della rimborsabilità. Le tre attività s’inquadrano in un contesto più ampio che ha lo scopo di migliorare l’appropriatezza  d’uso dei medicinali nella pratica clinica.
A questo scopo il dott. Addis ha spiegato l’esperienza di promozione della ricerca indipendente avviata già da due anni, il cui fine è quello di favorire la produzione di conoscenze che contribuiscano a dare risposta per la salute pubblica in aree non altrimenti sperimentate. Sono state definite tre aree prioritarie: la prima per malattie rare e in pazienti non risponder; la seconda sperimentazione di confronto tra farmaci e la terza per studi osservazionali di farmacoepidemiologia. L’esperienza italiana su questa iniziativa è stata accolta molto positivamente e alcune altre agenzie, come quella spagnola, hanno già avviato una simile esperienza.
Il secondo punto illustrato dal dott. Addis riguarda la sorveglianza della qualità d’uso dei medicinali attraverso il monitoraggio intensivo di questi (per es., quella di determinati farmaci oncologici) tra altre categorie di farmaci che l’AIFA ha deciso di monitorarne l’uso nella pratica, quale il progetto Psocare.
La dott.ssa Vogler del Gesundheit Österreich GmbH, Geschäftsbereich ÖBIG (Istituto di ricerca austriaco appartenente al Ministero della Sanità) ha presentato il progetto europeo PPRI. Questo progetto è stato creato per rispondere al bisogno di informazione aggiornata sul prezzo dei medicinali e sulla rimborsabilità e per disporre d’informazione condivisa e di scambio di esperienze. Il progetto è stato fondato dalla Commissione Europea, DG SANCO e il Ministero di Salute austriaco dall’aprile 2005 con la collaborazione dell’OMS Europa. È una rete di 48 istituzioni partecipanti tra cui la Banca Mondiale e l’EMEA.
Finora il progetto ha prodotto report nazionali su pricing e rimborsabilità. Fornirà anche un glossario, una lista da 21 indicatori e un’analisi comparativa. È disponibile più informazione nel web (http://oebig.ppri.at). La dott.ssa Vogler ha riportato alcuni degli aspetti rilevati all’interno del progetto PPRI quali le varie strategie per controllo della spesa farmaceutica tra cui il taglio dei prezzi, il controllo dei prezzi alla distribuzione, il taglio dei margini o gli sconti, le liste di rimborsabilità e il prezzo di riferimento, attuato in 18 dei 25 Paesi considerati.
Per quanto riguarda la rimborsabilità, la quota di mercato rappresentata dei farmaci rimborsati varia a seconda dei Paesi. L’Italia è uno di quelli con una maggior percentuale, che raggiunge il 73%. La quota a costo dei pazienti è diminuita rispetto al 1995 in quasi tutti i Paesi dell’UE. A causa delle limitate risorse, le autorità regolatorie devono implementare misure di contenimento dei costi, il che ha un effetto negativo sull’accesso ai farmaci. Le politiche di contenimento che incidono sui volumi e sui prezzi sono più efficaci. La promozione dei generici è una misura da considerare. Il monitoraggio dei consumi è un altro strumento importante, come lo è anche il settore ospedaliero, quindi sarebbero auspicabili più iniziative indirizzate alla gestione della continuità assistenziale.
Al termine della Sessione sono stati posti alcuni quesiti.
La maggior parte delle domande sono state rivolte al dott. Addis; fra queste, è stato richiesto se ci sono modi che permettano di evitare di rimborsare i farmaci non registrati in Italia e senza evidenze di efficacia, denegati dalla commissione di valutazione dell’ULSS mentre il giudice del lavoro approva l’importazione e la rimborsabilità di tali farmaci. Il dott. Addis ha risposto che attualmente non ci sono modi di evitarlo. Un’altra domanda riguardava gli studi osservazionali/Registro dell’uso di farmaci attualmente obbligatori, la difficoltà di registrare i tanti dati attualmente richiesti per un buon numero di terapie e la necessità di avere dati di ritorno.

Maria Font

Dispositivi medici in cardiologia e cardiochirurgia
Moderatori: Maria Barbato, Annamaria Donato

L’uso di tecnologie sempre più sofisticate per la costruzione dei Dispositivi Medici (DM) porta all’immissione in commercio di un numero elevato di DM sempre più innovativi e critici. È questo il caso dei numerosi DM utilizzati in cardiologia e cardiochirurgia. In questa sessione parallela, si è approfondita la conoscenza di alcune tipologie di DM utilizzate nella terapia dello scompenso cardiaco. Infatti, la terapia chirurgica delle cardiopatie, qualunque sia la loro eziologia, prevede l’utilizzo di tecniche diverse, scelte con criteri e strategie che tendono a coniugare efficacia ed equità di trattamento.
La prima relazione è stata tenuta dal collega Adriano Cristinziano, Farmacista Dirigente presso l’UOSC di Farmacia dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale ad Alta Specializzazione Monaldi di Napoli, che ha illustrato le caratteristiche dei DM impiantabili utilizzati per la terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT), in particolare pace-maker e defibrillatori impiantabili.
La seconda relazione è stata tenuta dal dott. Ciro Cavallaro, responsabile dell’UOSS di Aritmologia ed Elettrofisiologia presso l’UOSC di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale ad Alta Specializzazione Monadi di Napoli, che ha illustrato l’impiego e il funzionamento dei suddetti dispositivi anche con l’ausilio di diversi filmati, molto apprezzati dalla platea. I dispositivi per la terapia di risincronizzazione sono apparecchi multiprogrammabili per la diagnosi e il trattamento della aritmie. Vengono posizionati chirurgicamente sottocute o sottomuscolo nella zona pettorale con elettrocatetere impiantato nel ventricolo e talora nell’atrio. I pazienti, cui è stato impiantato un tale device, necessitano di un controllo clinico continuo, che può essere effettuato anche tramite collegamento informatico senza trasportare il paziente in ospedale. L’impianto e la scelta dei vari tipi di pace-maker e defibrillatori impiantabili presenti sul mercato segue linee-guida ben definite dalle società scientifiche e dall’OMS, dato il loro notevole impatto sulla spesa sanitaria ospedaliera.
La relazione successiva dal titolo: “Uno sguardo al futuro: valvole e cuore artificiale” è stata tenuta dalla collega Maria Cecilia Cetini, Farmacista Responsabile della UOSS di Dispositivi Medici Specialistici presso l’UOSC di Farmacia dell’ASO S. Giovanni Battista di Torino, che ha illustrato le varie tipologie di valvole e di dispositivi per assistenza ventricolare (Ventricular ­Assist Device-VAD) comparandone le caratteristiche tecniche ed evidenziando che la notevole quantità di dispositivi presenti nasce dall’esigenza di offrire a ognuno dei pazienti la soluzione più adatta, tenendo conto di tutti gli aspetti clinici, economici e di affidabilità nel tempo.
L’ultima relazione è stata tenuta dal prof. Mauro Rinaldi, Direttore dell’Unità Struttura Complessa di Cardiologia e Clinica Universitaria dell’ASO S. Giovanni Battista di Torino, che ha illustrato il funzionamento e l’impiego dei DM utilizzati nella riparazione valvolare mediante tecniche di plastica o sostituzione di protesi, biologiche o meccaniche. Dalla relazione e dagli esaustivi filmati si è evidenziato che la grande quantità di protesi valvolari in commercio nasce dalla necessità di adattare le loro caratteristiche alle esigenze del paziente. Infatti, le protesi meccaniche hanno una buona durata nel tempo ma richiedono terapia anticoagulante, mentre le protesi biologiche non necessitano di terapia anticoagulante ma hanno durata limitata nel tempo (circa15-20 anni) per cui vengono utilizzate soprattutto nei pazienti più anziani.
Il prof. Rinaldi ha parlato, inoltre, di tecniche mini-invasive, utilizzate anche nei casi in cui il rischio operatorio è più elevato (re-interventi), che assicurano un vantaggio sia ai pazienti, permettendo loro di ridurre la degenza postoperatoria, che al Sistema Sanitario Nazionale con una riduzione della spesa. Inoltre, sono stati illustrati i numerosi devices in grado assistere il cuore (VAD) o sostituirlo completamente (Total Artificial Heart-TAH) che offrono un’occasione a tutti quei pazienti che non possono beneficiare del trapianto cardiaco.
La sessione è stata seguita attentamente da un gran numero di colleghi che affollavano l’aula e tutte le relazioni sono state particolarmente gradite ai partecipanti e da loro ritenute molto interessanti, chiare ed esplicative. Nella discussione finale è stato approfondito l’aspetto relativo alla sicurezza di tali dispositivi molto invasivi e critici e dell’importanza della vigilanza postmarketing in funzione di eventuali incidenti.
In conclusione, i dispositivi oggi utilizzabili in cardiologia e cardiochirurgia sono numerosissimi e in continuo aumento: il razionale alla base di ogni scelta deve essere il corretto equilibrio tra affidabilità ed economicità.
 
Maria Barbato, Annamaria Donato



Approfondimenti in onco-ematologia
Moderatori: Angelo C. Palozzo, Marco Venturini

In oncologia, l’approccio integrato di un team nel quale siano presenti diverse figure professionali, rende più efficace la cura, più sicuro il trattamento e migliora la qualità di vita del paziente. La recente normativa (L. 626 e relative LG, e le NBP della FUI XI), che affida alle farmacie la centralizzazione delle terapie oncologiche, anche se ancora parzialmente disattesa, offre l’opportunità di realizzare una dose unitaria per paziente e di avviare una più specifica collaborazione con i professionisti sanitari.
Nella sessione ci si è posti l’obiettivo di verificare se le farmacie ospedaliere siano in grado di rispondere alle esigenze tecniche, di ricerca e organizzative necessarie a ottenere l’integrazione con le strutture che trattano i pazienti affetti da tumore.
In oncologia, è rilevante il ruolo della ricerca ed è dunque necessario che il farmacista-oncologo non si limiti al mero atto distributivo dei farmaci sperimentali, ma sia professionista coinvolto in tutte le fasi, dalla partecipazione al comitato etico all’applicazione delle GCP, come si dimostra dalla prima relazione della collega Emanuela Omodeo Salè dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano: “Il farmacista e l’applicazione delle Good Clinical Practices in oncologia”.
Dal recepimento della Direttiva Europea 2001/20/CE con il D.Lgs 211/03, il numero di sperimentazioni cliniche in Italia è aumentato costantemente, passando da 579 (anno 2003) a 730 (anno 2006). In questo contesto nasce la necessità per le strutture ospedaliere di investire professionalità e risorse nel settore della gestione delle sperimentazioni cliniche. In questi anni allo sperimentatore si sono affiancate figure professionali specializzate nella gestione del protocolli di trattamento sperimentali quali l’infermiere di ricerca e il data manager, ma, soprattutto negli studi internazionali, è sempre più richiesto il coinvolgimento del farmacista ospedaliero.
La competenza del farmacista nella gestione dei trial è ancora più importante nell’area oncologica dove sono concentrati il 34% dei protocolli approvati con una percentuale di studi non-profit che si attesta al 56,3% del totale. In questi ultimi, in particolare, spesso non si dispone di un adeguato monitoraggio, situazione a rischio per la qualità dei dati e quindi per la validità delle conclusioni scientifiche dello studio. La sicurezza dei soggetti coinvolti nella sperimentazione e la qualità dei dati sono descritti nelle Good Clinical Practice (GCP), recepite in Italia con il DM del 15/07/1997, che richiamano il ruolo del farmacista in due specifici paragrafi:
– 4.6.3: modalità di gestione del farmaco e dei dati relativi al farmaco;
– 5.13.2: informazioni che lo sponsor deve fornire al personale coinvolto nella sperimentazione.
Il ruolo del farmacista è richiamato anche per i comitati etici (Independent Ethics Committee), nell’Institutional Review Board (IRB) e nelle attività di monitoring. Inoltre, molte sperimentazioni cliniche spontanee richiedono la preparazione di galenici (farmaci orfani, farmaci non presenti sul mercato).
Nell’esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia è stato possibile distinguere l’attività del farmacista in quattro aree principali:
1. Area tecnico/scientifica: partecipa al CE; allestisce farmaci da impiegare in sperimentazione; prende parte alle attività di farmacovigilanza.
2. Area burocratica: mette a disposizione la documentazione relativa al trial per visite di monitoraggio; gestisce documentazione varia (manufacturing, labelling, drug accountability, ecc.).
3. Area economica: gestisce le modalità di rimborso e fornitura dei farmaci; contabilizza le risorse impegnate; stipula contratti specifici per la rietichettatura per conto terzi.
4. Area logistica: gestisce il farmaco sperimentale (ordini, stoccaggio, movimentazione, distruzione).
Per migliorare la gestione dei dati e renderli facilmente fruibili al monitor, è stato sviluppato un sistema informatico basato su Access® che permette di registrare il movimento dei farmaci sperimentali ed eseguire query e report per studio, per paziente, per lotto di farmaco. Il limite di questo strumento “artigianale” è la non convalida per la tutela della privacy e per la tracciabilità degli interventi, anche se in effetti sono pochi i software per le sperimentazioni a raggiungere questi obiettivi di eccellenza.
Grazie alla sua specifica formazione, il farmacista può intervenire in molte delle carenze oggi osservate nelle sperimentazioni cliniche, soprattutto negli IRCCS e nei policlinici universitari con intensa attività oncologica.
Nella successiva comunicazione orale (“Risk management in oncologia”), il collega Gerardo Miceli Sopo dell’Ospedale Pertini (Roma ULSS B) ha richiamato l’importanza della centralizzazione delle attività in farmacia nella riduzione del rischio di errori nei trattamenti oncologici. Dei 713 errori riscontrati dalla centralizzazione, il 58,6% coinvolgeva l’uso di solventi incompatibili con i chemioterapici, il 12,4% concentrazioni incompatibili con la stabilità della preparazione, il 18% errori di dosaggio, il 6,5% tempi di somministrazione errati e il 4,5% protocolli incompleti.
Nella breve discussione che ne è seguita si è ribadita la necessità di documentare le attività svolte e integrarle nel sistema qualità della struttura.
La tavola rotonda è stata introdotta da una breve esposizione dal collega Angelo C. Palozzo, moderatore e referente nazionale per l’area di oncologia della SIFO, di una recente rilevazione sullo stato della centralizzazione delle attività di manipolazione dei medicinali oncologici presso le farmacie ospedaliere. In Italia sono presenti circa 1265 ospedali (dato MinSal, 2007) o assimilati (di cui il 57% a carattere privato). Secondo una survey recentemente eseguita per conto della SIFO, questi ospedali ospitano circa 566 farmacie ospedaliere e 424 oncologie mediche. In 121 farmacie è stato istituito un UFA (21%), e altre 21 operano con un farmacista responsabile nel reparto di oncologia. In altri 15 centri il farmacista è coinvolto come consulente, anche se non responsabile del processo di preparazione.
La presenza sempre più diffusa di farmacie che operano direttamente in campo oncologico ha promosso un audit tra farmacisti e oncologi, con un progetto che è stato seguito dalla società di formazione T&C. La dott.ssa Viviana Cancellieri della T&C ha descritto i risultati del progetto, nella sua relazione “La metodologia ed i risultati ottenuti dagli incontri regionali”. Ne è scaturito un profilo di “farmacista oncologo”, in termini di attività, competenze e strumenti, in essere o suggeriti per la sua affermazione e una proposta di standard gestionali per aree critiche. In termini organizzativi si è convenuto sulla necessità di garantire sia la centralità delle cure (Dipartimento Oncologico), sia la centralizzazione degli allestimenti (Dipartimento Farmaceutico). In tal modo si garantisce omogeneità dei percorsi di cura, con una terapia personalizzata, in un sistema ad alta efficienza e clinicamente efficace/sicuro.
L’appropriatezza di terapia è stata dibattuta tra farmacisti e oncologi nel percorso atto a garantire il raggiungimento degli obiettivi della terapia (corretta associazione farmaci-paziente), al controllo degli effetti collaterali (giuste dosi, terapie ancillari), ai dati rilevati dalla letteratura (informazione indipendente), al controllo dei costi (sequenza dei trattamenti, controllo degli scarti di produzione).
Nel commentare i risultati del confronto, il collega Giangiuseppe Console, dell’Istituto Oncologico di Bari (“La visione strategica dei risultati ottenuti”), ha posto in evidenza la necessità di un maggiore impegno in questo settore da parte dei colleghi ospedalieri. Molte delle attività descritte sono, infatti, obblighi normativi (per es., la centralizzazione delle manipolazioni) ed è compito dei direttori di farmacia, nell’interesse dei pazienti e degli operatori, fornire risposte a queste esigenze organizzative. Secondo Console anche le istituzioni preposte alla formazione, e in particolare l’Università con la Facoltà di Farmacia, non sono riuscite a rispondere ai nuovi bisogni sanitari richiesti dalla professione. In assenza di risposte a queste esigenze, la figura del farmacista clinico in Italia stenta a decollare e in futuro la formazione che gli è congeniale potrebbe essere garantita non più dalla facoltà di Farmacia ma da quella di Medicina.
A queste “provocazioni” sono seguiti interventi dell’uditorio, che hanno confermato le difficoltà di operare dove le istituzioni, o peggio gli stessi colleghi farmacisti o gli oncologi, non rispondono alle esigenze organizzative, con conseguenti, evidenti inefficienze di sistema.
Il dott. Marco Venturini, oncologo e membro del consiglio direttivo dell’AIOM, è infine intervenuto sia in veste di moderatore sia per esporre “il parere del clinico e le proposte di collaborazione” della società che rappresenta. Il dott. Venturini ha ricordato che l’AIOM ha sempre sottoscritto la necessità di collaborazione interdisciplinare e in particolare il rispetto delle competenze farmaceutiche. Il dibattito si è in seguito sviluppato sul ruolo degli organismi nazionali (AIFA), regionali e locali nel definire i livelli di assistenza proponibili, con i conseguenti vincoli finanziari. L’oncologia è un settore a rapida evoluzione, ha affermato il sanitario, ed è richiesto un particolare impegno in termini di risorse e competenze, per ottenere risultati apprezzabili in campo terapeutico.
Al termine del tempo disponibile, troppo breve per sviluppare i numerosi stimoli portati dalle relazioni, si sono formati “capannelli” di discussione fra colleghi. Si sono presi accordi per attività progettuali sia in ambito SIFO (errori di terapia), sia per progetti di collaborazione con l’AIOM (libro bianco, condivisione di protocolli di terapia). Ancora una volta è emersa la necessità di un contatto non sporadico tra farmacisti che operano in oncologia, per rendere omogenei comportamenti e informazioni su tutto il territorio nazionale.

Angelo C. Palozzo


 Malattie Rare
Moderatori: Michele Lattarulo, Domenica Taruscio

La sessione è stata moderata dal collega Michele Lattarulo, direttore della Farmacia dell’Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari e componente del Gruppo di Lavoro AReS Puglia per le Malattie Rare (MR), e dalla dott.ssa Domenica Taruscio, responsabile del Centro per le MR dell’Istituto Superiore di Sanità. Tre i relatori che si sono avvicendati con grande sensibilità: la dott.ssa Giuseppina Annicchiarico, pediatra e portavoce delle Associazioni dei Malati, la prof.ssa Paola Facchin, responsabile del Registro MR della Regione Veneto, e il dott. Baldovino del Centro di Coordinamento della Rete Regionale Piemontese per le MR.
Dopo una breve introduzione e la presentazione dei relatori da parte di Michele Lattarulo, la dott.ssa Taruscio ha introdotto il tema delle MR, sottolineando che rappresentano una sfida per la ricerca scientifica e per la Sanità pubblica, dal momento che sono circa 30 milioni i pazienti che soffrono di MR in Europa e circa 1,5 milioni solo in Italia. Dopo aver illustrato le definizioni dei problemi legati alle MR (dalla prevalenza alla numerosità delle MR, dalla diagnosi al trattamento, al sostegno socio-sanitario fino alle informazioni utili per i cittadini), la dott.ssa Taruscio ha sottolineato che non esiste una definizione universale di MR. In Europa (e quindi anche in Italia) si definisce rara una patologia che colpisce non più di 5 cittadini su 10.000, negli USA tale valore è 7,5 su 10.000 cittadini, mentre in Giappone 4 su 10.000. La dott.ssa Taruscio ha quindi illustrato le iniziative internazionali e nazionali che sono state attuate in questo settore. Tra le iniziative internazionali, ha citato l’Orphan Drug Act pubblicato nel 1983 negli USA, che prevede una serie di incentivi per le industrie farmaceutiche (per es., esclusività di mercato fino a 7 anni) che sviluppano farmaci per MR (farmaci orfani). Una normativa simile è stata approvata in Europa nel 2000 con il Regolamento CE 141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio di Europa. Scopo del Regolamento europeo è l’istituzione di una procedura comunitaria per l’assegnazione della qualifica di medicinali orfani e l’offerta di incentivi per la ricerca, lo sviluppo e l’immissione in commercio di farmaci orfani, oltre che l’esclusività di mercato per 10 anni allo sponsor. A livello di Sanità pubblica, in Europa il Programma Comunitario di Sanità Pubblica ha inserito le MR fra le priorità sin dal 1998.
In Italia, il Piano Nazionale Sanitario (PSN) 1998-2000 identificava le MR come un tema prioritario e così pure i PSN successivi. Da un punto legislativo, le MR sono state affrontate dal DM 279/2001 che, al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti da MR istituisce la Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle stesse malattie. Essa è costituita da presidi accreditati, appositamente individuati dalle Regioni mediante delibere regionali. Il Decreto istituisce presso l’Istituto Superiore di Sanità il Registro Nazionale Malattie Rare con l’obiettivo generale di consentire la programmazione nazionale e regionale degli interventi e al fine di effettuare la sorveglianza delle MR. Inoltre, nel DM sono elencate le MR che sono esenti dalla partecipazione al costo della spesa sanitaria (allegato 1 del DM 279/2001). La dott.ssa Taruscio sottolineando la rilevanza strategica del Registro Nazionale, a cui hanno già aderito numerose Regioni, ha evidenziato il ruolo della sorveglianza dei “sistemi complessi” che caratterizzano le MR e delle strategie di intervento con un “approccio intersettoriale” basate sulla prevenzione, ricerca, qualità della vita e valutazione dei servizi erogati definendone i principali attori. Ha sottolineato, infine, l’importanza del Tavolo di coordinamento e monitoraggio delle malattie rare e il recente accordo siglato in maggio 2007 fra lo Stato, le Regioni e le province autonome.
Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il Ministero della Salute ha attivato un programma di ricerca nazionale nell’ambito dell’accordo di collaborazione scientifica Italia-USA sulle MR, finanziando, nel 2004, in totale 54 progetti di ricerca e nel 2007 ben 82. Per quanto riguarda i farmaci orfani, da tre anni l’AIFA ha avviato un programma di finanziamento per la ricerca indipendente; fra le tematiche sono incluse le MR e i farmaci orfani. Infine, dal 2001 è attivo il Centro Nazionale Malattie Rare all’Istituto Superiore di Sanità le cui attività relative a progetti scientifici e iniziative di sanità pubblica, inclusa la collaborazione con la Consulta Nazionale delle Associazioni delle MR sono disponibili sul sito www.iss.it/cnmr.
Diverso l’approccio al tema da parte della collega Giuseppina Annicchiarico che con la sua relazione ha posto maggiormente l’accenno sui principali problemi che colpiscono i pazienti affetti da MR come la mancanza di informazione e comunicazione, l’isolamento psicologico, la consapevolezza delle scarse conoscenze scientifiche da parte della comunità medica, la mancanza di attenzione, a volte, da parte delle autorità sanitarie nazionali (con conseguenti carenze diagnostiche e di trattamento). Il ruolo delle associazioni per i diritti dei malati, ovvero la loro “missione”, è il rilievo delle criticità a 360°, dalla diagnosi ai trattamenti, includendo ricerca e integrazione sociale; inoltre, sulla base delle esperienze che esse hanno acquisito, possono funzionare come partner delle istituzioni sanitarie, nazionali ed europee. Poiché l’industria farmaceutica è poco interessata alla ricerca di farmaci per MR, bisognerebbe sviluppare, incrementare e favorire la cooperazione tra centri di ricerca già coinvolti in studi per trattamenti e terapie di MR, esplorare tutti i possibili utilizzi del WEB, per condividere e diffondere informazioni come strumento essenziale nel settore delle MR. Le associazioni per i malati devono riuscire a stimolare una sintesi costruttiva tra la scienza e la coscienza umana.
Il dott. Simone Baldovino ha presentato l’esperienza della Regione Piemonte; dopo aver ricordato che la normativa europea definisce rara una malattia che presenti un valore soglia di prevalenza di meno di un paziente ogni 2000 abitanti, ha evidenziato le grande variabilità di tale prevalenza tra le varie MR. Si è soffermato anch’egli sulla rilevanza strategica del DM 279/2001 a seguito della quale la Regione Piemonte, analizzando tutte le SDO e le attività ambulatoriali connesse con le MR, ha potuto conoscere la loro distribuzione sul territorio regionale e individuare le Aziende Sanitarie maggiormente coinvolte e le malattie a più alta richiesta diagnostico-assistenzaile. Ciò ha consentito, quindi, una riorganizzazione sanitaria regionale con la presa in carico del paziente nel punto a lui più vicino, con la collaborazione dei Centri di Riferimento. Il dott. Baldovino ha illustrato la normativa regionale che ha consentito tale percorso per circa 700 MR. Si è, quindi, soffermato sulle azioni intraprese in campo farmaceutico con le quali sono stati resi disponibili tutti i farmaci necessari per le MR, compresi quelli in fascia C, i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati, i farmaci impiegabili per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata o a dosaggi non convenzionali (previo consenso informato) e la preparazione di preparati galenici con caratteristiche salvavita. Grande rilievo ha posto alla diffusione dell’informazione e allo sviluppo della formazione sul tema delle MR.
La prof.ssa Paola Facchin ha chiuso il ciclo dei relatori parlando dei problemi riguardanti la programmazione degli interventi per le MR per poter avere il trattamento nel più breve tempo possibile, ma anche riuscire a governare il sistema con il controllo della spesa che ne deriva e monitorarne i risultati, e dei problemi riguardanti una non omogeneità sul territorio nazionale per quel che riguarda l’erogazione dei farmaci di fascia C e dei DM. Ha parlato del Progetto della Regione Veneto, con l’identificazioni dei Centri di Riferimento (centri di eccellenza) per gruppi di MR omogenee. I Centri di Riferimento sono collegati da Reti Verticali a tutti i servizi, ma anche a Reti Orizzontali dove il paziente vive. Il collante di tutto, secondo la professoressa, è rappresentato dall’informazione che deve essere “unica” e “condivisa” da tutti i professionisti e deve essere creata appositamente per dare un “servizio”. Ha evidenziato la difficoltà di consultazione dell’elenco delle MR del DM 279/2001, che suddivide le malattie in diversi gruppi, 500 circa, con 2138 malattie codificate. Una delle problematiche affrontate è stata quella dell’individuazione dei Centri di Riferimento, per la quale nel Veneto è stata data priorità alla casistica a fronte di più candidature. Ha quindi descritto il progetto del registro regionale con il quale è stato creato un unico centro computerizzato che ha collegato tutti i Centri Accreditati, tutti gli Ospedali, tutti i Distretti Sanitari e tutti i Servizi Farmaceutici. Per tale progetto, il Centro di Riferimento, dopo aver formulato la diagnosi, iscrive il paziente nel Registro e ne rilascia la prevista certificazione; il Distretto rilascia l’esenzione e il Servizio Farmaceutico Territoriale eroga i farmaci e le dietoterapie. La cartella clinica del paziente è in Rete e rappresenta un riassunto sui controlli effettuati e sulla sua storia. Per quanto riguarda i dietetici, l’elenco viene aggiornato trimestralmente e viene definita, per ciascuna malattia, l’elenco dei prodotti utilizzabili. Per i farmaci si attua una revisione sistematica della letteratura per principio attivo e per patologia, e si concerta un consenso tra i diversi Centri della Rete, per ciascuna specifica patologia per garantire uniformità di comportamento.
Dopo gli interventi dei relatori, sono state presentate tre comunicazioni orali ritenute particolarmente rilevanti e coerenti con i temi trattati scelte tra i poster presentati al Congresso. Anna Maria Calvani ha presentato l’attività galenica della Farmacia dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze tesa a garantire la produzione dei farmaci “orfani” per lo scarso interesse da parte delle Aziende Farmaceutiche che, spesso, ritirano dal commercio detti farmaci per i costi insostenibili a fronte di una domanda quasi inesistente. Rilevante diviene, quindi, il ruolo della Farmacia Ospedaliera per la qualità delle cure dei pazienti affetti da MR.
Anna D’Agata ha presentato l’esperienza del suo gruppo nell’ASL 3 di Catania con pochi ma significativi pazienti evidenziando le criticità dell’assistenza e le difficoltà sia degli operatori che dei pazienti nel rispetto delle norme nazionali e della Regione Sicilia.
Ermenegildo Ansanelli ha descritto il percorso integrato prescrittivo-erogativo attuato nell’ASL Napoli 1 che ha potuto concretizzare anche un monitoraggio non solo delle malattie e dei pazienti ma anche della tipologia delle prescrizioni e dei centri prescrittori consentendo un approccio di programmazione.
La sessione, che ha visto la partecipazione di più di 400 colleghi, ha destato grande interesse con un animato dibattito conclusivo incentrato sulle criticità emerse sulla disomogeneità dei comportamenti tra le varie Regioni e all’interno di una stessa Regione. Perplessità sono state espresse da parte dei partecipanti sui rapporti tra Distretti, Servizi Farmaceutici e Farmacie Ospedaliere che spesso comportano disagi a una categoria di malati già duramente colpita dalla sorte. Particolare interesse ha destato la problematica degli “off-label” la cui recente normativa ha reso più complesse le procedure per i farmaci destinati alle MR.
I Moderatori, in conclusione, hanno concordato con i vari relatori sulla necessità di una sempre maggiore e costruttiva collaborazione tra i vari professionisti, le Società Scientifiche, le Istituzioni e le Associazioni dei Malati.

Michele Lattarulo, Domenica Taruscio


Formazione e Ricerca: alcune iniziative SIFO
Moderatori: Franco Lombardo, Franco Rapisarda

Tale sessione è da considerare di approfondimento e/o completamento della sessione plenaria del mattino dedicata alla “Ricerca della SIFO”. La progettualità della SIFO, infatti, è molteplice e articolata con programmi di ricerca e di formazione, molti dei quali non hanno trovato spazio nella sessione del mattino. In particolare, l’attività di formazione si ritiene sia un aspetto fondamentale per una società che – proprio perché attraverso la realizzazione dei progetti di ricerca, testimonia un ruolo attivo dei farmacisti nel processo di produzione delle conoscenze – si preoccupa di dare continuità a tale capacità, investendo nella formazione, specie delle nuove generazioni.
I programmi presentati in questa sessione sono stati, quindi, sia di ricerca sia di formazione. Relativamente alla ricerca, sono stati illustrati alcuni progetti collaborativi e multidisciplinari, di cui il farmacista è il proponente, che riguardano diverse problematiche assistenziali e di cura quali: il dolore, le allergopatie, le infezioni funginee severe in oncologia e più in generale le terapie oncologiche.
Il dolore è appunto l’argomento a cui si sta dedicando lo studio, in via di realizzazione, “Epidemiologia clinico-assistenziale del dolore in ospedale (ECAD_O). Si tratta di un programma di sorveglianza, realizzato dal farmacista in collaborazione con i clinici e gli infermieri, con il proposito di valutare la gestione del dolore in ospedale, identificando i casi problematici e complessi al fine di capire meglio e trovare le risposte più adeguate. I centri che hanno aderito al programma sono 48 per un totale di 146 reparti di diverse specialità: chirurgia, medicina, ortopedia e oncologia.
L’allergopatia viene valutata nel progetto ARGA, Allergopatie Respiratorie: studio di monitoraggio delle linee-guida GINA (Global INitiative for Asthma) e ARIA (Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma). È uno studio, finanziato dall’AIFA, che si sviluppa in 4 sottoprogetti relativi all’analisi dell’applicabilità delle linee-guida, alla valutazione dell’appropriatezza prescrittiva, alla registrazione di reazioni avverse/interazioni, all’impatto di programmi educativi/formativi. L’ambito assistenziale coinvolto è quello della medicina generale. Partito nella Regione Lazio, si prevede il coinvolgimento di 100 ASL distribuite su tutto il territorio nazionale.
Le infezioni funginee severe sono oggetto di studio del progetto SFIM (Severe Fungal Infection Management) promosso dalla Società Europea di Farmacia Clinica (ESCP), ma pianificato e coordinato dalla componente SIFO di tale società. Si tratta di una sorveglianza sui pazienti in trattamento con farmaci antimicotici sistemici, al fine sia di rilevare i criteri diagnostici che sottendono la decisione a trattare, verificandoli con quelli riportati nella consensus internazionale, sia valutare il decorso (esito) clinico di tali pazienti. Lo studio, che ha coinvolto 6 Paesi europei, ha terminato la fase di raccolta dati.
Nell’ambito oncologico, i progetti invece sono due: uno riguarda l’analisi delle prescrizioni con specifica attenzione all’impiego “off-label” di tali farmaci, sapendo che questo ha delle importanti ripercussioni sia a livello sanitario-assistenziale che economico; l’altro si propone di rilevare gli errori che si verificano o si possono verificare nella pratica quotidiana di gestione (allestimento, preparazione, prescrizione, somministrazione) dei farmaci antiblastici, con il proposito di prevenirli ma al tempo stesso di creare una cultura di attenzione al problema.
Relativamente alla formazione, ben sapendo che le attività della SIFO in questo settore sono tante, si è deciso di presentare due programmi ritenuti particolarmente importanti e strategici per la Società quali: gli standard tecnici e il farmacista di reparto e di distretto. Il programma sugli standard tecnici, che ha visto coinvolti molti colleghi oltre che professionisti esperti, è iniziato nel 2003 e ha richiesto un lavoro intenso e metodologicamente rigoroso. L’obiettivo è quello di mettere a disposizione dei Soci, e non solo, dei documenti che definiscono le specifiche tecniche e i requisiti minimi strutturali, organizzativi e tecnologici per l’esecuzione delle attività e la gestione dei processi dei Servizi farmaceutici ospedalieri e territoriali. Attualmente sono stati prodotti i documenti definitivi relativi ai seguenti processi: galenica oncologica, galenica nutrizionale, galenica magistrale e officinale, informazione sui farmaci, dispositivi medici e terapie, monitoraggio dell’uso dei farmaci in ospedale, vigilanza sui farmaci e sui dispositivi medici. Sono in fase di completamento: monitoraggo dell’uso dei farmaci sul territorio; consulenza tecnica per gli acquisti; accettazione, immagazzinamento e distribuzione dei farmaci. I documenti prodotti sono disponibili sul sito (http: //www.sifoweb.it/attivita_scientifica/progetti_studio.asp).
Quello del farmacista di reparto e di distretto è un ambito di sviluppo futuro della professione, su cui la SIFO intende investire con un programma che parte dalla formazione per passare a una fase operativa di sperimentazione e poi a una finale di verifica dell’effettiva realizzabilità-validità del progetto. La prima iniziativa è stata la realizzazione di un workshop, a cui hanno partecipato esperti di settore, il cui obiettivo principale è stato quello di definire, esaminando anche le esperienze esistenti in Italia, quali sono gli ambiti operativi e quali le funzioni-occupazioni di un farmacista di reparto o di distretto.

Marilena Romero

Workshop: la nuova stagione dei Prontuari regionali e aziendali
Moderatori: Mauro De Rosa e Marisa Dell’Aera

Il workshop si è aperto con l’intervento di Mauro De Rosa, Presidente del Congresso, che ha ripercorso le tappe più significative dell’evoluzione dei Prontuari: da mero elenco di medicamenti da adottare in ospedale, comprendente anche farmaci privi di efficacia o con scarsa o nulla documentazione, al profondo cambiamento risalente agli anni ’70-80 con l’elaborazione dei primi PTOR, che insieme a quelli Aziendali, basandosi su una valutazione critica e una selezione documentata dei farmaci, supplivano alle carenze dei processi di selezione dei farmaci a livello centrale, alla svolta del 1994 con l’introduzione del Prontuario Farmaceutico Nazionale che ha comportato l’esclusione di una serie di farmaci non ritenuti di sicura e documentata efficacia terapeutica. Più recentemente – ha aggiunto Mauro De Rosa – il Prontuario cambia “veste” svincolandosi da una logica esclusivamente ospedaliera per diventare occasione di dialogo con la medicina generale, strumento per la continuità ospedale-territorio, fino a diventare il perno centrale di tutti i progetti relativi alla sfera del farmaco dalla sua selezione alla promozione del suo utilizzo appropriato, al monitoraggio del suo uso. Attività queste – ha puntualizzato a seguire Marisa Dell’Aera dell’AOU Policlinico di Bari – che incrociano le prove di efficacia che vanno ricercate, selezionate e lette criticamente. Di qui la necessità di acquisire competenze nella lettura critica delle evidenze scientifiche, quella lettura critica, “critical appraisal” oltreoceano, inserita di recente nei percorsi di formazione universitaria in Francia e di cui la SIFO già nel 1978 ne sottolineava l’importanza. Pertanto – ha proseguito Marisa Dell’Aera – il Prontuario non può essere gestito senza il supporto, sia pure a diversi livelli, di un centro di documentazione e informazione sul farmaco per: valutare l’effettiva essenzialità/innovatività/equivalenza terapeutica di un nuovo farmaco, tracciare appropriati percorsi di utilizzo di alcuni farmaci a rischio di inappropriatezza, individuare le sottopopolazioni di pazienti nei quali ottimizzare il rapporto costo-efficacia nel caso di farmaci molto costosi, rivedere l’utilizzo di alcuni farmaci rispetto a degli standard evidence-based (DUR). Ma quali i livelli di intervento dei Prontuari regionali e aziendali? Nicola Magrini, Direttore del CEVEAS di Modena, evidenzia l’opportunità di una lista più allargata rispetto a una ristretta per il Prontuario locale, collocandosi il PTOR più come strumento di indirizzo e di orientamento per i Prontuari aziendali al fine di evitare disparità e difformità tra le diverse aziende. E a tal proposito è intervenuto Enrico Tendi, dell’AOU Careggi di Firenze, riportando gli esiti dei primi incontri del tavolo AIFA sui Prontuari regionali. È seguito un vivace dibattito che ha posto in risalto l’opportunità di un sito su cui condividere le valutazioni già effettuate in altre realtà, l’evoluzione troppo rapida delle conoscenze scientifiche, l’opportunità di un centro di documentazione e informazione sul farmaco a livello regionale piuttosto che a livello locale e la necessità di confrontare i diversi Prontuari in termini di: percorsi di selezione dei farmaci, modulistica utilizzata, rapporti con Prontuario Regionale, segreterie scientifiche e centro/i di documentazione sul farmaco.

Marisa Dell’Aera


I Dispositivi Medici in chirurgia generale e specialistica
Moderatori: Giulio Monti, Mario Taffurelli

Le tecniche innovative nell’ambito della chirurgia non sempre rappresentano un reale vantaggio rispetto a trattamenti già esistenti. Il costo spesso è elevato e non sempre comprensibile. Risulta quindi indispensabile un’attenta valutazione sull’utilizzo appropriato, eticità d’impiego e non di meno il rispetto delle regole di economicità.
La collaborazione tra gli attori dell’attività sanitaria, tra i quali naturalmente i farmacisti, risulta imprescindibile nell’analisi dell’appropriatezza e nella valutazione dell’efficacia d’impiego. Le scelte, le valutazioni, gli indirizzi, le linee-guida, le analisi sui DM sono costantemente momento di confronto e di discussione con le varie categorie sanitarie, non dimenticando che in questo ambito il farmacista rappresenta chi compiutamente ha una valutazione d’insieme sugli elementi che consentono di operare la scelta più equa dei DM da introdurre nell’attività clinica.
Sull’argomento sono state presentate le seguenti relazioni:
– dalle suturatici alla laparoscopia: necessità o moda? – dott. Bruno Cola (Bologna);
– emostatici locali e sigillanti ad uso chirurgico: clinica e appropriatezza d’uso – dott. Massimo Seccia, dott.ssa Danila Peverini;
– l’impatto dell’innovazione in chirurgia pediatrica: Chirurgia generale superstite – dott. Mario Lima;
– termoablazione con radiofrequenza: efficacia clinica ed aspetti tecnologici – dott.ssa Carla Serra.
1. La relazione si è sviluppata al fine di produrre un’analisi critica sull’impiego delle suturatrici meccaniche rispetto alla tecnica manuale.
Il primo elemento di riflessione viene posto sulla necessità che chi si accinge all’uso di nuove tecnologie conosca ciò che usa, e sia consapevole della responsabilità dell’utilizzo.
Il Tecnology Assessment ha la funzione di raccogliere informazioni sui risultati clinici, vantaggi per il paziente e valutazione sui costi. Esistono già molti studi che consentono di confrontare la tecnica manuale, almeno in alcuni tipi d’intervento (sul colon retto) rispetto all’uso di suturatrici meccaniche, da cui risultano pochi o nulli vantaggi. La società francese di chirurgia ha predisposto delle linee-guida sulle indicazioni d’uso delle suturatrici e dei fili di sutura.
Da uno studio all’interno dell’unità di chirurgia, diretta dal relatore, è emerso un risparmio in tempo di appena 7 minuti tra l’uso delle suturatrici rispetto ai fili di sutura.
Le valutazioni cliniche espresse consentono di trarre alcune considerazioni:
– tendenza consolidata alla formazione solo sull’uso delle suturatici e non sull’uso dei fili di sutura;
– necessità di validare dei protocolli d’uso nel rispetto dell’appropriatezza;
– gli interventi in video laparoscopia sono più lunghi rispetto agli interventi in open;
– gli interventi sul colon in video laparoscopia richiedono una grande esperienza.

2. Le UUOO Chirurgia Generale e d’Urgenza e Farmaceutica della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP) si sono prefisse l’obiettivo di una razionalizzazione nelle indicazioni e di un’appropriatezza d’uso di Farmaci e DM nell’ambito di alcune branche chirurgiche principali.
È stata sviluppata un’analisi dettagliata delle tipologie di emostasi con uso e di quelle esistenti sul mercato. È stata elaborata una classificazione secondo l’origine e la loro proprietà principale, emostatica o sigillante e le indicazioni già validate.
Predisposizione di un prontuario dei Farmaci e DM Emostatici locali e Sigillanti a uso chirurgico.
La ricerca è stata sottoposta alla Commissione Terapeutica Aziendale e di Area Vasta, concordando la predisposizione di uno studio osservazionale che coinvolge i reparti di Chirurgia, Urologia, Ostetricia e Neurochirurgia.
Sono state predisposte delle schede di richiesta e utilizzo per i prodotti oggetto dello studio, che ogni reparto utilizzatore dovrà riempire prima e dopo l’uso.
L’avvio e lo sviluppo di questa analisi hanno consentito agli utilizzatori di avere un quadro più chiaro delle varie tipologie di prodotti in commercio, orientandosi nell’impiego a quelli che hanno indicazioni già validate o con studi valutativi.
Lo studio è finalizzato alla ricerca, all’interno delle varie tipologie sopra riportate, di un protocollo di utilizzo a secondo dell’applicazione clinica, mirata a un’appropriatezza di utilizzo con consapevolezza dell’efficacia ed economicità.

3. La presentazione del nuovo centro di chirurgia mininvasiva ad alta definizione a sistemi intergrati ha permesso di percorre un breve viaggio nel mondo dell’evoluzione tecnologica in campo chirurgico pediatrico.
L’applicazione di tecniche mini-invasive in caso di traumi o patologie infantili è piuttosto recente: le ridotte dimensione di organi e tessuti nei bambini, oltre alla necessaria perfetta conoscenza dell’anatomia da parte del chirurgo, ne avevano rallentato lo sviluppo. È stato possibile estendere l’applicazione della chirurgia mini-invasiva solo attraverso le più recenti e innovative tecnologie che prevedono l’utilizzo di microcamere introdotte direttamente nell’addome del paziente.
Attraverso una visione più ampia del campo operatorio si eseguono interventi più sicuri e si evitano incisioni deturpanti che rimangono a vita.
Le tecniche mini-invasive applicate sul bambino consentono di trattare patologie che sino a ora veniva trattate in modo tradizionale. In particolare, il trattamento dell’atresia dell’esofago in toracoscopia e dell’atresia delle vie biliari in laparoscopia.
La chirurgia mini-invasiva è sempre più videochirurgia, che per poter essere esercitata necessita di sempre nuove tecnologie. Ciò ha portato il vecchio layout della sala operatoria a non essere più adeguato alle nuove esigenze. La realizzazione della sala operatoria integrata ad alta definizione ha consentito di ottimizzare gli spazi: consentono al chirurgo la massima visibilità con schermi al plasma, sicurezza per il paziente, attività di didattica in diretta con collegamento nell’aula didattica con schermi integrati e realizzazione di video conferenze.

4. La termoablazione mediante radiofrequenza (RFA) è una tecnica di distruzione tessutale in situ che utilizza l’energia termica generata dalla corrente elettrica alternata ad alta energia prodotta da un generatore, per creare una necrosi coagulativa.
Usi clinici: epatocarcinoma (HCC). La chirurgia rimane la tecnica di scelta per la terapia dell’epatocarcinoma. Tuttavia, pochi pazienti sono candidati alla chirurgia a causa delle dimensioni del tumore, del numero delle lesioni, della sede ma soprattutto per la presenza di una cirrosi così avanzata da controindicare l’intervento. Sono stati pubblicati numerosi studi sull’impiego della RFA nell’HCC, che si è dimostrata tecnica affidabile ed efficace. Alla luce dei dati attualmente disponibili, la RFA è una tecnica che offre prospettive terapeutiche interessanti nel trattamento del nodulo di HCC non operabile ed è metodica utilizzata anche nei pazienti in attesa di trapianto epatico .
Metastasi da carcinoma del colon retto. La resezione chirurgica rimane il gold standard per il trattamento anche delle lesioni metastatiche da carcinoma del colon retto. Tuttavia, gli avanzamenti tecnologici della RFA e le sue caratteristiche di mini-invasività la rendono una valida alternativa nel paziente non operabile o una terapia da affiancare alle altre opzioni terapeutiche (chemioterapia, chirurgia) con lo scopo di aumentare la sopravvivenza a lungo termine di tali pazienti. I risultati che provengono da studi piccoli in singoli centri sono incoraggianti, ma per definire il ruolo della tecnica in tale settore sono necessari studi multicentrici e su larga scala.
Applicazione in altri distretti: osteoma osteoide, metastasi ossee, tumore mammella, tumori solidi renali, lesioni maligne polmonari, tumori tiroidei.
La RFA consente, quindi, di agire sui tumori inoperabili in via percutanea con controllo ecografico, affiancando l’attività del chirurgo; il trattamento è breve e viene effettuato in controllo del risultato terapeutico a distanza di 1 mese per mezzo di TC o RM.
Le osservazioni dei partecipanti sono state molto lusinghiere tanto che per alcuni è risultata una delle sessioni più interessanti del Congresso. L’abilità oratoria e la capacità dei relatori di rapportarsi con i presenti ha reso la sessione particolarmente stimolante.
Purtroppo, il ritardo accumulato dalle sessioni precedenti ha allungato i tempi, tanto da concludere gli interventi solo a tardissima serata con molti dei numerosi partecipanti in avvio che avevano già lasciato l’aula.

Giulio Monti


Accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo
Moderatori: Maurizio Bonati, Giuseppe Ostino

In questi ultimi tempi si assiste a un interesse da parte di società scientifiche sanitarie all’attivazione di iniziative di solidarietà internazionali. La SIFO per parte sua “[…] ha già sviluppato in passato ipotesi collaborative per alcuni progetti di cooperazione e sviluppo, dedicandosi in particolare alla formazione di farmacisti dei PVS (Paesi in Via di Sviluppo) che poi tornavano ad operare in patria. La SIFO si pone l’obiettivo di recuperare e sviluppare la sua tradizione di solidarietà con i PVS in relazione alle esigenze di cooperazione e solidarietà internazionali in cui il nostro Paese è impegnato” (Documento programmatico SIFO 2004-2008, punto 10).
Sulla base di queste premesse, nel mese di settembre 2006 venne inviata a tutti i soci una lettera di invito a dichiarare l’eventuale interesse a partecipare a iniziative di solidarietà internazionali. All’invito diedero la loro disponibilità ben 50 colleghi.
Memore di questo segnale, il Comitato Scientifico del Congresso di Rimini decise di inserire, prima volta nella storia della Società, una Sessione espressamente dedicata all’“Accesso ai farmaci nei PVS”. La partecipazione è stata notevole: più di 80 colleghi.
Nella sessione erano previsti gli interventi di Gianni Tognoni (Centro Studi SIFO) “Trenta anni dopo la lista essenziale dei farmaci: le prospettive”; di Nicoletta Dentico (OMS, Ginevra, Svizzera) “Nuovi e vecchi farmaci per le malattie dimenticate”; di Valerio Reggi (OMS, Ginevra, Svizzera) “La contraffazione dei farmaci e il diritto alla salute”; due esempi di esperienze pratiche: Emanuela Omodeo Salè “Progetto per l’allestimento e l’approvvigionamento di farmaci nella Guinea Conakry” e Daniela Scala “Esperienze di Cooperazione Internazionale tra l’Ospedale A. Cardarelli di Napoli e l’Ospedale C. Nicolle di Tunisi”.
Ne è risultata un’ampia carrellata sugli aspetti di maggiore rilevanza e interesse:
– L’accesso ai farmaci essenziali resta un privilegio di pochi.
Sebbene disporre di farmaci efficaci, sicuri e di qualità sia un diritto alla salute per tutti, questo è ancora largamente inevaso per la maggioranza della popolazione globale. Servono più risorse per la ricerca, per lo sviluppo e l’accesso ai farmaci nei Paesi con risorse limitate. Sono necessari nuovi farmaci, ma anche “vecchie” medicine in numero adeguato ai bisogni e per malattie dimenticate che interessano milioni di pazienti, per la quasi totalità del Sud del mondo. Il farmaco “essenziale” infatti è quello che “soddisfa i bisogni della gran parte della popolazione e quindi dovrebbe essere reso disponibile in ogni momento, in quantità adeguate e nei dosaggi appropriati ad un prezzo che la comunità e l’individuo possano permettersi”.

– Mancanza di farmaci innovativi e di studi per farmaci per patologie diffuse nei PVS.
Oggi stiamo registrando un incremento di investimento nella ricerca farmaceutica, ma contemporaneamente notiamo un declino nella capacità vera di innovazione. Si continua a investire nelle aree che garantiscono profitto, ma senza un vero rinnovamento. Questo ha un impatto drammatico sulle cosiddette “malattie dimenticate”. Il mercato farmaceutico esclude in maniera significativa malattie come la malaria, la tubercolosi e le malattie tropicali che colpiscono in modo prevalente, se non esclusivamente, i poveri. Gli investimenti non mancano, eppure negli ultimo 20 anni, dei 1556 prodotti immessi sul mercato solo 21 (1,3%) hanno tentato di dare risposte alle malattie tropicali e alla tubercolosi, patologie che rappresentano l’11% delle malattie del mondo.
Un esempio per tutti. La malattia del sonno, quasi debellata alla fine degli anni ’70, registra una recrudescenza che ci riporta ai livelli del 1928. Per combattere la malattia del sonno i medici usano prevalentemente il melarsoprol, derivato dell’arsenico, letale per il 5% dei pazienti. Negli anni ’80 fu scoperta l’eflornitina, grazie a un progetto di ricerca contro il cancro. Meno efficace contro il cancro, si scoprì che l’eflornitina funzionava efficacemente contro la malattia del sonno. Purtroppo, l’azienda americana che la produceva perse presto interesse alla produzione di questo principio attivo, che veniva prevalentemente venduto all’OMS per i programmi di lotta alla malattia del sonno, una malattia che non garantisce profitti, e dopo cinque anni la produzione cessò. Nel 2001 ne venne ripresa la produzione perché, usato come ingrediente in un nuovo cosmetico, rallentava la crescita della peluria sul viso delle donne. Purtroppo l’eflornitina, nella forma attuale, è molto difficile da somministrare: 4 infusioni al giorno di due ore ciascuna, per 21 giorni. L’impegno è ora quello di semplificare la terapia.

– Farmaci contraffatti: problema di dimensione mondiale.
La lotta contro i farmaci contraffatti rappresenta una necessità che richiede la collaborazione di molte istituzioni e della società civile. Ognuno ha un ruolo da giocare, ma è ovviamente necessario che alla base di tutto ci sia la libera circolazione dell’informazione e la discussione franca dei problemi. Occorre prima di tutto sensibilizzare coloro, che devono prendere decisioni a livello più alto, affinché si approvino misure legislative adeguate e, in particolare, che si realizzino misure efficaci di controllo dell’esportazione e dei circuiti distributivi, partendo dal presupposto che i farmaci non sono una merce come tutte le altre e che, per questa ragione, la protezione della salute pubblica deve avere precedenza sul libero commercio.
– Necessità di un coinvolgimento globale.
Sono auspicabili iniziative che coinvolgano tanto le istituzioni quanto la società civile attraverso organizzazioni di tutte le figure professionali in ambito sanitario, organizzazioni di consumatori e pazienti e certamente i professionisti dell’informazione.
Tutte le professioni sanitarie hanno un ruolo da giocare: infermieri e farmacisti perché sono a contatto quotidiano con i farmaci e possono quindi osservare differenze anche minime in grado di allertare, e i medici che devono cominciare a includere la contraffazione di farmaci tra le possibili cause delle reazioni anomale di un paziente a un farmaco ben conosciuto.
L’interesse e l’entusiasmo, che via via scaturivano nel corso della sessione, hanno portato ad auspicare ulteriori incontri, in modo che questo tema cessi di rappresentare un momento episodico. Si ritiene importante che venga istituito un gruppo di lavoro con il compito di: “acquisire informazioni sulle iniziative in corso e i necessari contatti a livello istituzionale, nonché di proporre progetti di collaborazione che possano prevedere sia l’invio di personale specializzato nelle sedi ove sia richiesto personale farmacista, sia la formazione in Italia di personale per interventi a livello locale” (Documento Programmatico SIFO 2004-2008, punto 10).
La riunione si è chiusa con la predisposizione e l’approvazione della seguente richiesta:
“I partecipanti alla Sessione parallela ‘Accesso ai farmaci nei PVS’ chiedono alla SIFO di formare un Gruppo permanente per predisporre proposte di progetti ed iniziative di solidarietà da presentare ai Ministeri e ad altre Istituzioni e da finanziare con un fondo legato percentualmente al bilancio SIFO”.

Maurizio Bonati, Giuseppe Ostino



Innovazione e informazione
Moderatori: Francesca Venturini, Luciana Pazzagli

Nell’ambito di un convegno dedicato al reale significato di novità e innovazione, ben si è collocata la sessione sull’innovazione e l’informazione. L’obiettivo principale della sessione è stato quello di esplicitare i percorsi e le difficoltà nel trasmettere l’informazione relativa a un’innovazione (o mancata innovazione) tecnologica ai vari attori della scena della salute.
La sessione è iniziata con la relazione del dott. Domenico Motola, Ricercatore presso l’Università di Bologna, che ha affrontato il tema di “come valutare e dare un valore all’innovazione. Il dott. Motola ha infatti descritto il percorso portato avanti assieme all’AIFA per definire un nuovo farmaco innovativo. È stato, quindi, descritto l’algoritmo elaborato per la definizione di innovazione, sul quale il gruppo di lavoro ha testato il grado di innovatività dei farmaci approvati dall’EMEA nell’ultimo periodo. L’algoritmo tiene conto del tipo e della gravità della malattia, della disponibilità di alternative terapeutiche, dell’effetto terapeutico, dei dati di efficacia e di sicurezza a supporto della nuova molecola. L’applicazione dell’algoritmo risulta nella classificazione della nuova molecola come innovazione terapeutica importante, moderata o modesta, innovazione farmacologica o innovazione tecnologica. L’applicazione dell’algoritmo mostra come molte molecole non risultino reali innovazioni.
Il prof. Nicola Montanaro ha poi sottolineato come, sempre di più, i farmaci al momento della registrazione europea non abbiano a supporto solidi dati di efficacia e di sicurezza. È da qui che l’AIFA sta pensando di applicare nuove regole in termini di rimborsabilità, subordinate allo svolgimento di indagini postmarketing volte alla definizione della reale efficacia (effectiveness) e sicurezza della nuova tecnologia nella pratica clinica. La rimborsabilità subordinata verrebbe quindi concessa per un periodo di tempo limitato, durante il quale l’industria farmaceutica deve produrre i dati prescritti dall’AIFA. Risultati non soddisfacenti o la mancata produzione dei dati richiesti vedrebbe revocata la rimborsabilità.
L’introduzione sul significato di innovazione ha dato il via alle due seguenti relazioni, che hanno rispettivamente analizzato le problematiche correlate con l’informazione al medico e l’informazione al paziente sull’innovazione.
Il dott. Ettore Saffi Giustini, medico di medicina generale toscano, ha sottolineato quanto sia difficile per il medico poter discernere fra la buona e la cattiva informazione, e conseguentemente quanto sia difficile poter giudicare oggettivamente una reale innovazione. La carenza parte dalla formazione universitaria, spiega il dott. Giustini, dove non si dà alcuno spazio alla problematica dell’efficacia e della sicurezza dei nuovi farmaci. Molta è l’informazione dall’industria, e quella pubblica, seppur presente e di ottima qualità, si perde nel mare di informazioni provenienti da fonti meno attendibili e più di parte. Inoltre, spesso l’informazione non è fruibile dal medico perché si focalizza su una singola tecnologia, è individuale, mentre al medico necessita un’informazione globale su una patologia, per rispondere al quesito: “come tratto il mio paziente?”. La parola chiave dell’informazione è quindi “trasferibilità”: come trasferire ciò che leggo in un trial al mio paziente? E ancora di più, come farlo per la medicina generale? Alcune iniziative sono già in atto, ma serve maggiore coordinamento, affinché l’informazione pubblica abbia maggiore visibilità e sia condivisa.
La dott.ssa Daniela Zanfi, delle Farmacie Comunali Riunite di Reggio Emilia, ha affrontato le non poche criticità incontrate da un centro di informazione che deve informare il paziente sul reale significato di innovazione. Innumerevoli e fuorvianti sono i messaggi che provengono soprattutto dai media sulle nuove terapie: disease mongering, malattie inventate per costruire il mercato delle terapie, modifiche ai parametri di definizione di una malattia per allargare il numero di pazienti papabili all’uso di un certo farmaco, sono solo alcuni esempi di “accorgimenti” per definire “novità” qualcosa che ha poco a che fare con l’innovazione. Anche un Centro di Informazione come le FCR di Reggio Emilia, con un’esperienza pluridecennale in informazione indipendente al cittadino, trova qualche difficoltà, riporta Daniela Zanfi, sul tema di come trasmettere al cittadino il concetto di “reale novità terapeutica”. Tanti i canali testati: gli opuscoli in farmacia, gli articoli sul giornale del comune di Reggio, un servizio apposito sul sito web, alcuni articoli specifici per il paziente nella rivista “Informazioni sui farmaci”: sicuramente uno stimolo, per quelli di noi che fanno informazione, a intraprendere una o più di queste strade.
Durante la sessione, molte le osservazioni dei partecipanti relativamente alla rimborsabilità subordinata (preoccupazioni che una volta concessa la rimborsabilità a un farmaco sia poi difficile tornare indietro, perlomeno per il singolo medico a livello di rapporto medico-paziente) e relativamente all’informazione al paziente operata dai media. Tanti, comunque, anche gli spunti da portare a casa.

Francesca Venturini


Radiofarmacia
Moderatori: Ielizza Desideri, Duccio Volterrani

Il rispetto delle norme farmaceutiche, dei decreti legislativi che sovrintendono alla gestione degli isotopi radioattivi e l’assicurazione della qualità farmaceutica di un prodotto medicinale somministrato al fine di ottenere la massima efficacia terapeutica e diagnostica possibile, nonché l’attenzione agli aspetti di interazione farmacologica e alle reazioni avverse, non può essere disgiunta nel caso dei radiofarmaci dalla protezione del paziente da ogni esposizione indebita. Senza dubbio la gestione dei radiofarmaci necessita dell’integrazione di diverse professionalità: tra queste il farmacista è necessariamente una delle figure di riferimento e le Norme di Buona Preparazione dei Radiofarmaci per Medicina Nucleare (NBPR,  I Suppl. FU XI ed.), che entreranno in vigore a luglio 2008, possono essere uno strumento per la definizione delle competenze e per impostare un percorso di qualità uniforme sul territorio nazionale per questo settore della Farmacia Ospedaliera.
La sessione è stata moderata dal dott. Duccio Volterrani, responsabile gestione qualità ECM dell’Associazione Italiana di Medicina Nucleare (AIMN), e dalla collega Ielizza Desideri, coordinatrice dell’Area di Radiofarmacia. Da parte dei moderatori è stato evidenziato come la radiofarmacia sia di particolare attualità, per la prossima entrata in vigore delle NBPR e come questa occasione impone una presa di responsabilità di tutti gli operatori coinvolti.
Il primo intervento è stato tenuto dalla prof.ssa Paola Minghetti dell’Università di Milano che ha trattato gli aspetti normativi dei radiofarmaci, soprattutto in riferimento alla loro classificazione e quindi gestione in ambito ospedaliero. È stato dato risalto alle problematiche relative alla produzione in ambito ospedaliero e alla responsabilità del rilascio all’uso clinico alla luce delle NBPR. È stato evidenziato come, anche se le NBPR non esplicitano la figura del farmacista nell’organigramma delle responsabilità, tale responsabilità è indicata chiaramente nella normativa generale sul farmaco e sull’esercizio della professione farmaceutica che stabiliscono come sia responsabilità del farmacista la preparazione e il controllo di qualità dei medicinali.
Il secondo intervento, che ha avuto per tema la sperimentazione clinica con radiofarmaci, è stato tenuto dalla collega Francesca Vivaldi di Pisa. La relazione ha affrontato in modo puntuale l’intera normativa sulla sperimentazione clinica, considerando i recenti decreti e le peculiarità derivate dai radiofarmaci, medicinali “pericolosi”. Si evince una maggiore chiarezza e semplificazione, rispetto alle passate norme,  per quanto riguarda gli adempimenti e gli atti regolatori e di controllo. Dai dati disponibili, relativi agli studi registrati in corso, risulta che l’industria farmaceutica non sia così attiva verso la sperimentazione, e che la ricerca con radiofarmaci sia soprattutto spontanea, condotta da medici di medicina nucleare in strutture ospedaliere. Questo pone una problematica relativamente alle strutture, che dovrebbero essere accreditate per una produzione in GMP (Good Manufactoring Practice). Poiché la problematica non riguarda solo i radiofarmaci ma anche i farmaci non radioattivi e non si limita alla sola produzione, ma anche alla ri-etichettatura o al ri-confezionamento o allestimento che dovrebbero essere secondo GMP, un decreto di prossima uscita dovrebbe dare delle risposte alle problematiche di gestione quotidiana dei farmaci sperimentali nelle realtà ospedaliere.
Marco Marcolin, radiofarmacista di Castelfranco Veneto, ha tenuto una relazione sulla produzione di radiofarmaci emettitori di positroni dalla sintesi del radionuclide con il ciclotrone fino all’impiego clinico del radiofarmaco prodotto. La PET (Position Emission Tomography) utilizza radiofarmaci con radioisotopi a breve emivita quali: 15O, 11C, 13N, 18F. La produzione radionuclidica, al pari di quella radiofarmaceutica, deve essere necessariamente controllata e validata. La verifica del processo e la sua convalida sono parametri vincolanti nella produzione dei radioisotopi e dei radiofarmaci, poiché per questi farmaci si adotta il rilascio parametrico; infatti, a causa del loro brevissimo tempo di emivita non è sempre possibile completare il controllo di qualità prima della somministrazione al paziente. La produzione utilizza moduli di sintesi ed è oggi praticamente automatizzata, con enorme vantaggio per la radioprotezione degli operatori. I moduli sono contenuti in celle schermate e il lavoro è impostato in modo da minimizzare al massimo l’esposizione. Anche l’automazione è ovviamente oggetto di controllo di qualità da parte del responsabile della produzione. Ne deriva che, in questo campo, occorre, come in ogni attività di preparazione, una formazione teorica e pratica sugli strumenti e le apparecchiature. La manualità richiesta per questo tipo di produzione non differisce da quella necessaria per altri tipi di produzione, ma occorre integrare la formazione farmaceutica comune a tutti i colleghi con la conoscenza delle peculiarità dei radiofarmaci. L’ultimo intervento è stato della collega Marisa di Franco con la comunicazione orale “Collaborazione tra Farmacia e Medicina Nucleare per l’adempimento delle NBPR”. È stata illustrata la realtà collaborativa nell’Ospedale di Orbassano e l’attività svolta dalla farmacia con la produzione di procedure operative e di un sistema di gestione dei dati per la tracciabilità completa di ogni preparazione. Sono stati riportati i risultati ottenuti, soprattutto per quanto riguarda la gestione del rischio ed è stata data testimonianza di una fruttuosa collaborazione tra farmacisti e medici nucleari.
La sessione ha visto la presenza di moltissimi colleghi, interessati e partecipi, ed è stata occasione, al termine dei vari interventi, di un dibattito vivo. Le conclusioni emerse documentano una volontà di recupero e di presa di responsabilità da parte della categoria per quanto riguarda la gestione dei radiofarmaci, anche perché esiste una domanda sempre più chiara sulla presenza del farmacista. Realisticamente bisogna anche prendere atto che talune realtà hanno visto delle difficoltà nell’avviare i rapporti, ma questo non può essere di limite. Le qualificate relazioni dei colleghi operativi quotidianamente sono senz’altro di stimolo e di esempio per tutti quanti, dimostrando come sia possibile arrivare a raggiungere, con impegno e dedizione, livelli di eccellenza professionale.

Ielizza Desideri


Discussione Poster
Moderatori: Nicoletta Ambrogi, Veronica Scurti

I temi di fondo che hanno caratterizzato il XXVIII Congresso SIFO sono stati ampiamente trattati nelle interessanti giornate che si sono succedute a Rimini, in un’atmosfera evocativa “felliniana”, sottolineata dagli spezzoni di film del famoso regista che si alternavano tra una sessione e l’altra. Molti sono stati i colleghi che hanno voluto dare il loro contributo con oltre 400 poster, anche se la maggior parte di questi non riguardavano argomenti strettamente legati alle problematiche affrontate durante il Congresso. Del resto il tema presentava una certa complessità, e di fatto la sessione poster rappresenta un momento di confronto su tutti gli aspetti della professione.
Gli abstract sul tema dell’innovazione sono stati 119: 21 riguardavano innovazioni correlate all’etica, 38 correlate all’economia e 60 all’efficacia.
La selezione dei poster è stata fatta sulla base degli obiettivi presi in considerazione, sui risultati ottenuti, in modo che corrispondessero agli obiettivi prefissati, e che questi ultimi fossero espressi in dati reali. La sessione è stata molto interessante e, sebbene non molto partecipata a causa della contemporaneità di altre sessioni più attinenti al Congresso e l’orario di presentazione a fine giornata, si è creato un clima di vera e propria condivisione di esperienze lavorative molto fruttuoso.
Assai interessante la relazione del collega Adriano Giglioni sul tema: “Confezioni simili di farmaci: rischio potenziale di errore nelle fasi di distribuzione e di somministrazione”. Tema apparentemente scontato, ma assai utile a definire un’idonea e necessaria procedura di stoccaggio delle confezioni simili all’interno dell’armadio di reparto. Va da sé che attivare una prescrizione informatizzata che consenta una lettura incrociata del codice a barre della confezione del farmaco con il braccialetto del paziente, sia garanzia di univocità tra quanto prescritto e somministrato. Importante anche la necessità di sensibilizzare l’AIFA affinché valuti, in fase registrativa, le analogie delle confezioni di farmaci prodotti dalla stessa azienda farmaceutica.
Sempre in tema di gestione del rischio clinico, la collega Antonietta Tazza ha sottolineato come l’introduzione di un nuovo modulo prestampato per le prescrizioni mediche di NPT sia stato utile a limitare gli errori clinici rilevati antecedentemente alla nuova procedura.
In tema di farmaci oncologici, non è mancato il riferimento al registro web-based informatizzato per il monitoraggio di appropriatezza d’uso, efficacia e sicurezza del loro utilizzo. Come ha affermato la collega Maria Rita Zuccheri, il data-base ha permesso di impostare l’analisi dei dati per valutare il reale rapporto beneficio-rischio. I risultati hanno permesso una preziosa e costruttiva collaborazione con i medici oncologi.
Per quanto riguarda i Dispositivi Medici, assai utile è stata la relazione della collega Sara Simbula che ha illustrato un’applicazione dell’analisi costo-efficacia per la definizione del prezzo. Essa prevede di quantificare il beneficio clinico di un prodotto innovativo confrontato con il prodotto di riferimento già in uso, e convertire poi tale beneficio clinico incrementale in un controvalore economico. Tale proposta è stata fatta dalla Commissione Aziendale Dispositivi dell’Ospedale Careggi, ed è stata utilizzata dall’ente amministrativo locale preposto alla contrattazione dei prezzi. A conclusione della sessione, non poteva mancare una presentazione dedicata al contenimento della spesa farmaceutica; tema molto sentito vista la consistente pressione esercitata dagli organi regolatori su tutti gli operatori sanitari per la razionalizzazione delle risorse. In questa prospettiva, il collega D. Ardolino ha dimostrato come la sensibilizzazione degli specialisti ospedalieri a prescrivere il nome del principio attivo e non il nome commerciale favorisca la razionalizzazione della spesa. Ciò è stato possibile con il monitoraggio delle lettere di dimissione ospedaliera effettuato dal Servizio di Farmacia dell’Azienda Ospedaliera S. Anna di Como. Ad attestare l’importanza del monitoraggio da parte del farmacista il lavoro del Centro Sudi SIFO – Consorzio Mario Negri Sud. Il lavoro presentato dalla collega Simona Monte ha messo in evidenza il ruolo del farmacista Monitor nelle sperimentazioni cliniche no-profit in cui il farmacista partecipa in tutte le fasi del progetto sperimentale e osservazionale, dalla stesura del protocollo all’attività di monitoraggio e all’elaborazione dei dati.
Una menzione a parte merita il poster sul Risk Management Plan presentato dal collega Giovanni Frau; si tratta di un programma di sorveglianza post-marketing che l’industria farmaceutica può presentare all’EMEA, in fase di autorizzazione commerciale del farmaco, quando il profilo di sicurezza risulta incerto. L’analisi dei dossier di 32 farmaci commercializzati in Italia nel 2006 con procedura centralizzata non ha, tuttavia, fornito dati a favore del Risk Management Plan. Esso si profila, infatti, come una soluzione insufficiente a garantire farmaci sicuri sul mercato, dal momento che, nella maggioranza dei casi l’attività di minimizzazione del rischio riguarda la sola modifica delle schede tecniche e le tempistiche non sono specificate.
Per finire ci auguriamo che questa sessione possa trovare lo spazio che merita perché riteniamo molto importante condividere momenti di riflessione e di esperienze perché quest’ultime possano essere riproposte in altre realtà del nostro Paese.

Nicoletta Ambrogi