Responsabilità, appropriatezza, sostenibilità: i giovani farmacisti si raccontano


Lucia Bagnasco, Barbara Andria, Andrea Caprodossi, Alessandro Brega, Concetta Di Giorgio,
Francesca Francavilla, Francesca Rossi, Francesca Saullo, Domenico Tarantino
Area Giovani SIFO



Moderatori: Barbara Andria, Andrea Caprodossi
– Clementina Nucci, Ruolo del farmacista di comunità nel controllo dell’appropriatezza prescrittiva: il caso delle benzodiazepine nell’insonnia
– Stefano Vecchia, Comunicazione Orale: Analisi dell’impatto del costo delle sperimentazioni cliniche sul budget di dipartimento nell’ospedale di Piacenza
– Eleonora Castellana, Comunicazione Orale: Case-report: paziente neoplastico con iposodiemia sottoposto a trattamento orale con urea e NaCl.
– Ada Iezzi, Comunicazione Orale: Le reazioni avverse da mezzo di contrasto nel paziente oncologico: la farmacovigilanza come strumento per rilevare le interazioni farmacologiche
– Francesco Corrente e Roberto Langella, Specializzandi “non medici” di area sanitaria: Stato dell’Arte


Il XXXV Congresso SIFO, ha incentrato i propri lavori su tre tematiche che stanno divenendo sempre più il pane quotidiano di tutti i farmacisti ospedalieri operanti nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale: responsabilità, appropriatezza, sostenibilità. Le motivazioni che hanno spinto a riflettere su questi tre punti cardine sono le pressanti richieste da parte dei legislatori nazionali e locali a mettere in atto misure di contenimento della spesa pubblica. Il peso che il sistema salute riveste è centrale nei capitoli di spesa pubblica; per non ripetere gli errori del passato è essenziale rinnovare i servizi sanitari con idee nuove, che possano apportare maggior efficienza qualitativa ed economica.
Qualsiasi proposta di rinnovamento non può non prendere in considerazione il punto dei vista dei giovani, i quali saranno esposti maggiormente alle future conseguenze, positive o negative, delle scelte di razionalizzazione effettuate oggi. Sulla base di queste premesse, l’Area Giovani della SIFO ha promosso ed organizzato una sessione parallela nel corso del recente Congresso dedicata alle esperienze ed alle proposte presentate da farmacisti ospedalieri under 35, al fine di riflettere su potenziali idee di rinnovamento che possano essere inserite a pieno regime nell’attività di assistenza farmaceutica. In particolare, i componenti dell’Area Giovani hanno selezionato e proposto cinque relazioni, che sono state brillantemente esposte nella citata sessione: essa si è articolata in comunicazioni orali della durata di circa dieci minuti ciascuna, moderata dalla dott.ssa Barbara Andria e dal dott. Andrea Caprodossi, entrambi componenti SIFO dell’Area Giovani.
La sessione si è aperta con l’intervento della dott.ssa Clementina Nucci, farmacista di comunità, che ha frequentato il Master in Farmacia Clinica presso l’Università degli Studi di Milano, con la relazione dal titolo “Ruolo del farmacista di comunità nell’individuazione delle prescrizioni potenzialmente inappropriate delle benzodiazepine nell’insonnia”. Il razionale dell’intervento della Dr.ssa Nucci è l’evidenza che l’uso prolungato dei farmaci ipnotici dovrebbe essere limitato a causa dei seri e frequenti effetti collaterali legati a fenomeni di tolleranza e dipendenza. In particolare, l’uso a lungo termine delle benzodiazepine nei pazienti anziani è associato ad aumentato rischio di demenza, mortalità e di problematiche psicomotorie. L’aggiornamento 2012 dei criteri “Beers” per evitare la somministrazione inappropriata di farmaci negli anziani suggerisce di evitare tutte le benzodiazepine per il trattamento dell’insonnia. Sulla base di questa premessa, lo studio osservazionale presentato ha avuto l’obiettivo di indagare l’appropriatezza prescrittiva delle benzodiazepine nel trattamento dell’insonnia in 8 farmacie di comunità, considerando le attuali evidenze riportate in letteratura ed analizzando il ruolo del farmacista di comunità nella sorveglianza prescrittiva. I farmacisti coinvolti nello studio hanno intervistato 181 pazienti che avevano assunto almeno una volta benzodiazepine; 84 pazienti sono stati trattati per insonnia, di cui il 62% anziani. Cinquantotto pazienti sono stati trattati a lungo termine (> 3 anni) e la durata della terapia è stata compresa tra 1 e 3 anni per 13 di questi. Dopo l’attività di counseling svolta dal farmacista di comunità 33 pazienti sono stati favorevoli ad interrompere il trattamento, ma 17 non sono riusciti a sospendere definitivamente la somministrazione delle benzodiazepine. In 7 pazienti l’indagine ha messo in evidenza la poliassunzione di differenti benzodiazepine. Le conclusioni di questo lavoro indicano che è diffuso l’uso delle benzodiazepine, in disaccordo con le linee guida aggiornate, e che il fenomeno è ampiamente diffuso al di fuori degli ambienti ospedalieri. Il farmacista di comunità dovrebbe rendersi più attivo nel monitorare e limitare le inappropriatezze che coinvolgono questa, ma anche altre classi farmacologiche, rilanciando ancor di più il proprio ruolo nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale.
La successiva relazione, dal titolo “Analisi dell’impatto del costo delle sperimentazioni cliniche sul budget di dipartimento nell’ospedale di Piacenza”, presentata dal dott. Stefano Vecchia, borsista presso l’U.O.C. di Farmacia Clinica dell’Ospedale di Piacenza, ha mostrato l’utilità della sperimentazione clinica nel momento attuale di profonda crisi economica, in cui il costo delle terapie oncologiche è in continua e costante crescita. Infatti la maggior parte dei trial clinici propongono farmaci innovativi e percorsi di cura scrupolosi per i pazienti e nelle fasi di arruolamento più ampio potrebbero rappresentare un’opportunità per recuperare risorse. Raccogliendo i dati di prescrizione, riferiti al 2013, per i farmaci sperimentali iniettivi ed orali utilizzati nei reparti di Oncologia ed Ematologia, si è proceduto a valutare il costo delle terapie somministrate. Laddove siano stati utilizzati farmaci in commercio, si è calcolato il costo per milligrammo del farmaco; qualora, invece, si è valutato il costo di farmaci non ancora presenti sul mercato, è stato considerato il costo che avrebbero avuto i gold standard attualmente in uso. Nell’arco del 2013 sono stati trattati 49 pazienti con terapie inserite in protocolli sperimentali: di questi 24 con terapie iniettive e 25 con terapie orali. Dall’analisi dei farmaci somministrati è emerso che il risparmio, inteso come risorse non impiegate, è stato di 248.256€ per i farmaci iniettivi in oncologia; 20.000€ per i farmaci orali in oncologia; 239.604€ per i farmaci iniettivi in ematologia; 507.000€ per i farmaci orali in ematologia. Il totale del risparmio ottenuto è di 1.014.000€, che rappresenta circa il 20% della spesa ordinaria sostenuta per i farmaci chemioterapici. Questa esperienza invita a riflettere su come la possibilità di partecipare ai trial clinici garantisce al paziente di accedere ad un trattamento spesso innovativo e a percorsi di cura definiti e rigorosi. Le sperimentazioni cliniche profit e non-profit, che forniscono gratuitamente sia il farmaco sperimentale che il farmaco di supporto, consentono di risparmiare un ingente numero di risorse.
Il terzo intervento è stato esposto dalla dott.ssa Ada Iezzi, farmacista borsista specializzanda presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, la quale ha presentato la relazione “Reazioni avverse da mezzo di contrasto nel paziente oncologico: la farmacovigilanza come strumento per rilevare le interazioni farmacologiche”. Secondo la relatrice l’innovazione tecnologica ha determinato un incremento delle richieste di prestazioni radiologiche con conseguente aumento dell’incidenza di reazioni avverse (ADRs) da mezzo di contrasto (MdC). Il paziente oncologico è, infatti, tra quelli particolarmente soggetti a questo tipo di rischio per le frequenti esposizioni dovute ai percorsi diagnostici, di stadiazione di malattia e di follow-up. Presso l’Istituto Europeo di Oncologia sono stati approfonditi gli aspetti correlati alla sicurezza d’uso di questi farmaci con l’obiettivo di verificare la presenza di eventuali fattori predisponenti correlati ai trattamenti chemioterapici. Ciò è stato messo in atto attraverso l’analisi delle ADRs da MdC (radiografici e paramagnetici) che si sono presentate tra il 01 gennaio ed il 31 dicembre 2013, che sono state riportate sulle schede di segnalazione, raccolte e inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza, cui sono seguiti successivi follow-up mediante la consultazione delle cartelle cliniche dei pazienti per raccogliere ulteriori informazioni (allergie, ipersensibilità pregressa a MdC, trattamenti chemioterapici in corso al momento dell’evento e terapie domiciliari). Nel periodo considerato sono stati registrati 87 eventi avversi. I MdC oggetto delle segnalazioni sono iomeprolo (n=77, 91%), gadobenato dimeglumina (n=8, 9%), acido gadoxetico di sodio (n=1, 1%), esafluoruro di zolfo (n=1,1%). Le segnalazioni sono state tutte di tipo non grave ed hanno interessato principalmente l’apparato cutaneo con l’86% delle segnalazioni ed il circolatorio (8%). La maggior parte delle reazioni, pari al 91% (n=70) per iomeprolo ed all’ 88% (n=7) per gadobenato dimeglumina, è insorta per la prima volta durante il follow-up del paziente in occasione della fase di ristadiazione di malattia. Il 51% dei pazienti (n=39) era in trattamento chemioterapico al momento della reazione avversa da iomeprolo. I farmaci maggiormente coinvolti sono stati: capecitabina (28.9%), fluorouracile (21.1%), oxaliplatino (18.4%), carboplatino (15.8%). Il 38% dei pazienti che ha presentato reazione avversa a gadobenato dimeglumina era in terapia con farmaci chemioterapici. I medicinali concomitanti più segnalati che i pazienti hanno assunto come terapia domiciliare sono stati i seguenti: Arimidex ® (33%), Exemestane® (33%) e Sandostatina® (33%). L’analisi multivariata ha confermato che i MdC iodati monomerici presentano un rischio maggiore di reazioni avverse immediate. Il paziente oncologico potrebbe essere esposto ad un più alto rischio di questi eventi; pertanto la somministrazione di trattamenti chemioterapici, in quanto possibile fonte di interazioni farmacologiche, può essere considerata come uno dei fattori correlati o predisponenti l’insorgenza di ADR acute da Mdc.
Insieme alla dott,ssa Eleonora Castellana, farmacista specializzanda presso il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco, Università degli Studi di Torino/A.O.U. “Città della Salute e della Scienza” di Torino, è stato analizzato un case-report dal titolo “Il paziente neoplastico con iposodiemia sottoposto a trattamento orale con urea e NaCl”. La relatrice ha illustrato l’attività di allestimento di urea e capsule di NaCl, su richiesta del reparto di Endocrinologia Oncologica, per un paziente di 78 anni, il quale, alla valutazione in accesso al Pronto Soccorso, presentava cefalea, vertigini, dolore toracico e sodiemia pari a 117 meq/L (valori di riferimento 135-140 meq/L). In seguito ad approfondite valutazioni cliniche, il paziente è risultato affetto da carcinoma polmonare a piccole cellule e da iposodiemia paraneoplastica (SIAD). Pertanto è stato indirizzato a chemioterapia con carboplatino; tuttavia è stato ipotizzato che una eventuale somministrazione di urea potesse apportare ulteriori benefici terapeutici. Quindi, considerando le evidenze di letteratura, si è proceduto all’allestimento di flaconcini per os di urea, in dosaggi di 15, 30, 45 g, e capsule di NaCl, in dose da 0.9 g. I valori di sodio sono stati monitorizzati dal 10/10/2013 al 16/01/2014. In seguito alla progressiva normalizzazione della sodiemia con dosi di urea 15 g, e successivamente di 30 g (117 meq/L a 136 meq/L), ad una transitoria caduta dei livelli di sodio dopo le prime tre somministrazioni di carboplatino (121 e 129 meq/L) ed all’ulteriore decremento dei valori (121 meq/L) in seguito all’erronea indicazione di sospensione del farmaco, è seguito l’incremento del dosaggio dell’urea fino a 45 g/die, che ha determinato un trascurabile aumento della sodiemia (121>124 meq/L, dicembre 2014). Solo la supplementazione di NaCl, endovena e per os, ha consentito la normalizzazione dei livelli di sodio (135 meq/L) nella concomitante somministrazione di carboplatino, con successivo mantenimento degli stessi (valore medio 140 meq/L). Con la riduzione della dose a 15 g/die i valori del sodio sono rimasti nella norma (135>139 meq/L), nonostante la progressione della malattia e l’ exitus per insufficienza respiratoria. Da quanto esposto, si è rilevato che l’ottimizzazione dei livelli plasmatici di sodio è stata ottenuta prima della chemioterapia con urea, ma ha richiesto l’aggiunta di NaCl nel corso del trattamento citostatico per l’effetto sodio-disperdente a livello renale dei derivati del platino. L’urea è risultata, quindi, efficace nella correzione dell’iposodiemia da SIAD associata al microcitoma polmonare. La collaborazione tra clinico e farmacista si è rivelata preziosa, oltre che per l’allestimento di forme farmaceutiche a base di urea e NaCl, anche per la scelta di terapie alternative a costi vantaggiosi.
La sessione si è conclusa con l’intervento del dott. Francesco Corrente, specializzando in Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica, nonché presidente e fondatore del Coordinamento Italiano Specializzandi di Area Sanitaria (C.I.S.A.S.), e del dott. Roberto Langella, specializzando in Farmacia Ospedaliera presso l’A.O. “San Carlo Borromeo” di Milano. La relazione si è incentrata sulla situazione degli specializzandi non medici di area sanitaria, ed è stata puntata soprattutto l’attenzione sulle problematiche attuali della Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera. Queste Scuole sono state normate per la prima volta con il D.P.R. del 10 marzo 1982 n. 162 (Riordinamento delle scuole dirette a fini speciali, delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento), che ha permesso e disciplinato l’accesso a laureati non medici, quali biologi, veterinari, odontoiatri, farmacisti, chimici, fisici, psicologi e categorie equipollenti (artt. 11-15). Successivamente il D.L.vo del 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421”, ha disposto l’obbligatorietà del titolo di specializzazione per il personale laureato “non medico” che concorra ai ruoli dirigenziali del Sistema Sanitario Nazionale (comma 3, articolo 15 del Titolo V). Ulteriori novità sono state poi introdotte dalla Legge 29 dicembre 2000, n. 401 e dal Decreto Ministeriale 1 agosto 2005, che hanno riorganizzato le Scuole di Specializzazione accessibili ai laureati non medici, stabilendo inoltre il numero di posti di accesso. In particolare, per quanto concerne la Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, l’ultima riforma ha previsto l’articolazione del corso su 4 anni, per un totale di 240 crediti formativi universitari (CFU), di cui almeno 168 sono riservati ad attività professionalizzanti volte alla maturazione di specifiche capacità nell’ambito delle attività elettive pratiche e di tirocinio di Farmacia ospedaliera e Farmaceutica territoriale: 1 CFU corrisponde a 25 ore di attività di tirocinio pratico professionale. Tuttavia, sebbene vi siano obblighi similari tra specializzandi medici e non medici, quali frequenza a tempo pieno, timbratura del cartellino, svolgimento delle analisi di routine, turni, pagamento di tasse universitarie annuali, i “non medici” sono penalizzati poiché non vi è l’obbligo di stipula del contratto di formazione o concessione di borsa di studio, di copertura previdenziale e di tutte le tutele previste per gli stati di maternità e malattia. Nell’ambito dello scenario fin qui esposto si pone, ad esempio, lo specializzando in farmacia ospedaliera, il quale è tenuto a svolgere almeno 1050 ore di tirocinio non retribuito, per ogni anno di corso, corrispondenti ad un minimo di 22 ore settimanali. Ulteriore “beffa” per i farmacisti specializzandi è la contribuzione previdenziale dell’Ente Nazionale Previdenza ed Assistenza Farmacisti (ENPAF), obbligatoria alla contemporanea iscrizione all’Ordine professionale, che non viene computata in base ai redditi, ma viene stabilita in cifra fissa uguale per tutti gli iscritti, salva la possibilità di richiedere la riduzione secondo determinate aliquote, purché ricorrano le condizioni stabilite dal Regolamento ENPAF. In quest’ultimo si evince che non hanno diritto ad alcuna riduzione gli iscritti che svolgano attività professionale in relazione alla quale non sono soggetti ad altra previdenza obbligatoria oltre a quella dell’ENPAF, ossia attività svolta in regime di collaborazione coordinata e continuativa con apertura di partita IVA, borse di studio non assoggettate all’obbligo della contribuzione alla Gestione Separata INPS. Il Coordinamento Italiano Specializzandi di Area Sanitaria (C.I.S.A.S.) è un’associazione di promozione sociale che nasce proprio per richiedere ai legislatori provvedimenti che tutelino ulteriormente gli specializzandi “non medici”: infatti nasce dalla volontà di alcuni specializzandi, afferenti a diverse università italiane, al fine di creare una rete di relazioni tra le diverse professionalità “non mediche” che operano nel Sistema Sanitario Nazionale, le quali sono tutte risorse preziose per il presente ed il futuro del sistema. Tra gli obiettivi principali dei promotori vi sono: azioni a favore dell’applicazione dell’art. 8 della Legge 29 dicembre 2000, n. 401 al fine di garantire l’equiparazione con gli specializzandi medici in tema di rilevazione del fabbisogno annuale e di ripartizione delle borse di studio, in forza della sentenza del Consiglio di Stato n. 6037; ottenere il riconoscimento formale della presenza dello specializzando nelle varie unità operative e dipartimenti assistenziali da parte delle Direzioni Sanitarie delle Aziende facenti capo alla rete formativa; richiedere una più equa applicazione della contribuzione previdenziale ENPAF per i redditi derivanti da borse di studio e contratti precari.
Le esperienze illustrate nelle relazioni che hanno animato la sessione congressuale dell’Area Giovani, sono esempi concreti che possono aiutare a rilanciare la professione del farmacista ospedaliero, che richiede una apertura maggiore ad aspetti più clinici che meramente di controllo economico o commerciale. Una riforma del ruolo dirigenziale del farmacista che possa contemplare l’introduzione permanente di ruoli finora “sperimentali”, come quelli che riguardano la farmacovigilanza ordinaria, i farmacisti dipartimentali ed i farmacisti coordinatori di ricerca clinica, sarebbe tra i mezzi più concreti che il Sistema Sanitario potrebbe utilizzare per promuovere responsabilità, appropriatezza, sostenibilità. La riqualificazione del sistema potrebbe rappresentare anche un passo concreto per il rilancio di numerosi giovani professionisti che quotidianamente sperimentano soluzioni nuove, talvolta anche senza la giusta gratificazione economica, che nella maggior parte dei casi si sentono penalizzati dalla legislazione e, perciò, messi quasi in “ombra” rispetto alle altre figure professionali sanitarie.