Invito alla lettura:
il corpo nei contesti di cura

Daniela Scala
AORN A. Cardarelli, Napoli
sdaniela2000@yahoo.com



La metamorfosi di Franz Kafka si presta bene per una riflessione sul significato che il corpo assume nei contesti di cura. La medicina ha costantemente a che fare con i corpi dei pazienti, non solo perché nasce e costruisce il proprio sapere a partire dal corpo, ma perché la sua stessa pratica è fortemente intessuta di una relazionalità che passa necessariamente attraverso l’incontro e il confronto tra il corpo del paziente e quello del professionista della salute. I testi di anatomia e fisiologia, così come quelli di patologia, di anatomia patologica, di medicina interna, di chirurgia sono libri sul corpo. In questi testi il corpo umano viene analizzato in modo dettagliato e scientifico, ossia in modo osservabile, misurabile e riproducibile a partire dalle medesime condizioni date. Il progresso tecnologico e le scoperte scientifiche degli ultimi cinquanta anni, hanno consentito una sempre più approfondita conoscenza e misurazione del corpo umano, fin nei suoi minimi dettagli, con la conseguente trasformazione di esso in “oggetto” della scienza medica. Nel modello biomedico della medicina, l’incontro tra professionista della salute e paziente si configura essenzialmente come l’incontro del professionista e una malattia concepita esclusivamente in senso biologico, cioè intesa come disease. Il paziente, tuttavia, entra nei contesti di cura con tutto il suo corpo che non è un semplice organismo, ma è un corpo “vissuto”, cioè un corpo che in modo molto individuale “vive” la malattia sulla sua pelle, tutti i giorni.  La malattia è anche illness, cioè vissuto, sofferenza, aspettativa di guarigione; e si è malati con un corpo che soffre, che cambia, che si contorce, che si deforma o anche più tragicamente che resta muto, che non risponde, che tace per sempre nel suo stato comatoso o nella morte.
La metamorfosi di Franz Kafka
Gregor Samsa è un rappresentante di commercio che lavora per pagare un debito dei genitori, e gli necessitano ancora 5-6 anni di lavoro per estinguerlo. Quel mattino doveva prendere il treno delle cinque, invece non ha sentito la sveglia e sono già le sei e mezzo. Nel realizzare ciò si accorge che si è trasformato in un insetto.
 “… Quando Gregor Samsa si svegliò una  mattina da sogni inquieti  si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto. Era disteso sul dorso duro come una corazza e, se sollevava un poco il capo, scorgeva il proprio ventre convesso, bruno, diviso da indurimenti arcuati sulla cui sommità la coperta, sul punto di scivolare del tutto, si tratteneva ancora a stento. Le numerose zampette miserevolmente sottili in confronto alle dimensioni del corpo, gli tremolavano incerte dinanzi agli occhi.
Cosa mi è successo? Pensò. Non era un sogno. La sua stanza, una vera stanza da essere umano, soltanto un po’ piccola, stava tranquilla fra le quattro familiari pareti. Sopra il tavolo, sul quale, tolto dalla sua valigetta, era sparso un campionario di tessuti (Samsa era commesso viaggiatore), era appeso un ritratto che di recente egli aveva ritagliato da una rivista illustrata e messo in una graziosa cornice dorata. Raffigurava una signora che, in cappello e stola di pelliccia, sedeva eretta e tendeva all’osservatore un pesante manicotto di pelliccia in cui era scomparso l’intero avambraccio… Lo sguardo di Gregor si volse poi alla finestra, e il cattivo tempo, si sentivano le gocce di pioggia battere sul davanzale, lo immalinconì. Forse sarebbe meglio  ch’io dormissi ancora un poco e dimenticassi tutte queste sciocchezze, pensò, ma era un proposito irrealizzabile perché era abituato a dormire sul fianco destro, e nel suo stato attuale non riusciva a mettersi in quella posizione. Sebbene si gettasse con tutta la sua forza sul lato destro, ricadeva sempre, dondolando, sul dorso. Provò infinite volte, chiuse gli occhi per non vedere il dimenarsi delle zampe e desisté solo quando cominciò ad avvertire nel fianco un dolore mai sentito, leggero e sordo...”
Non è difficile notare l’analogia con i mutamenti che una grave malattia induce nel corpo e nella psiche, con le conseguenti difficoltà nell’espletare le attività della vita quotidiana, l’estraneità che il malato prova verso il suo stesso corpo, la difficoltà ad integrarsi nei rapporti con gli altri, nella vita sociale e affettiva, la consapevolezza di essere diventato orribile e repellente a se stesso e agli altri. Anche l’improvviso scioccante risveglio nel corpo da insetto sembra avere un senso: rivelazione della malattia, o della sua ripresa dopo un periodo di regressione, l’immagine contiene anche l’orrore e lo spavento legato a tale condizione.
Che Gregor tenda a sminuire le sue condizioni, e si aggrappi alla possibilità che si tratti solo di una condizione passeggera, è reazione comprensibile e comune a chi ha paura di ammettere la gravità delle sue condizioni e la prospettiva della morte.
“… Scivolò di nuovo nella posizione di prima. Questo alzarmi presto, pensò, fa diventare idioti. Tutti devono dormire abbastanza. Ci sono commessi viaggiatori che vivono come le donne di un harem. Quando per esempio torno in albergo nel corso della mattinata per trascrivere le ordinazioni ricevute, quei signori stanno ancora al tavolo della prima colazione. Dovrei provarci con il mio principale; mi licenzierebbe in tronco. Ma chissà, forse sarebbe un bene per me. Se non mi trattenessi a causa dei miei genitori, mi sarei licenziato da tempo, sarei andato dal principale e gli avrei detto chiaro e tondo come la penso. Sarebbe caduto dalla scrivania! È un strano modo di fare, sedersi sulla scrivania e parlare  da lassù agli impiegati, che per di più, siccome il capo è sordo, debbono farglisi proprio sotto per rispondere. Bene, non tutte le speranze son perdute, non appena ho messo insieme i soldi per pagargli il debito dei miei genitori, ci vorranno ancor cinque o sei anni, lo faccio di sicuro. Allora ci sarà un bel taglio netto. Per il momento però debbo alzarmi, perché il mio treno parte alle cinque…”
Il modo in cui normalmente sperimentiamo il nostro corpo è quello della “dimenticanza”, perché generalmente non facciamo caso ad esso mentre stiamo camminando, leggendo, parlando con qualcuno. Nella esperienza del camminare, per esempio, quel che ci preoccupa, nel senso di ciò di cui ci occupiamo, non è tanto il movimento fisico, ma il significato che il camminare acquista nei nostri progetti quotidiani, come il fatto che il camminare ci consenta, per esempio, di fare una passeggiata, raggiungere un amico o il luogo di lavoro. Il corpo in salute è silenzioso.
 “… dapprima cercò di uscire dal letto con la parte inferiore del corpo, ma questa parte inferiore, che egli del resto non aveva ancora visto e della quale non riusciva a farsi un’idea precisa, si rivelò troppo pesante nei movimenti; ci volle tanto tempo; e quando infine, diventato quasi pazzo, si spinse in avanti con tutte le forze  senza riguardi, sbagliò la scelta della direzione, batté con violenza contro la spalliera ai piedi del letto, e il dolore bruciante che sentì gli insegnò che proprio la parte inferiore del copro era al momento forse la più sensibile. Tentò allora di tirare fuori del letto prima il torso, e cautamente voltò la testa verso il bordo del letto. Non fu difficile, e la massa del corpo seguì lentamente, nonostante l’ampiezza e il peso, il movimento del capo. Ma quando infine ebbe la testa sospesa fuori del letto, lo assalì la paura di spingersi avanti in quella maniera, perché se si lasciava cadere così solo un miracolo avrebbe potuto impedire che la testa si ferisse. E per nessuna ragione, ora, doveva perdere i sensi; era preferibile piuttosto stare a letto. Ma quando, sospirando dopo un altro sforzo, si ritrovò disteso come prima, e vide le sue zampette lottare daccapo, anzi peggio di prima, l’una contro l’altra, e non scorse alcuna possibilità di portare quiete e ordine in quella confusione, tornò a dirsi che non poteva restare a letto e che la cosa più ragionevole era fare qualsiasi sacrificio, se esisteva la minima possibilità di liberarsi  del letto. Ma non trascurò, contemporaneamente, di richiamarsi ogni tanto alla memoria che la riflessione tranquilla, anzi tranquillissima, era assai meglio di decisioni disperate. In quei momenti puntava gli occhi, con la massima precisione possibile, alla finestra, ma dalla vista della nebbia mattutina, che nascondeva addirittura l’altro lato della stretta via, c’era purtroppo da trarre ben poca fiducia e coraggio. Già le sette, si disse sentendo di nuovo battere la sveglia, già le sette e ancora una nebbia simile. E per qualche tempo ristette quieto respirando debolmente, come se dal silenzio perfetto attendesse forse il ritorno di una situazione reale e ovvia. Ma poi si disse: prima che suonino le sette e un quarto debbo assolutamente esser fuori del letto. Del resto a quell’ora sarà arrivato qualcuno del negozio a chiedere di me, perché il negozio viene aperto prima delle sette…”
Il tempo passa e in casa la famiglia incomincia a chiedersi cosa è successo a Gregor, come mai non è uscito presto, come al solito, per prendere il treno delle cinque: la madre bussa alla porta della sua camera (Gregor, poiché  spesso è fuori casa per lavoro e dorme in albergo, per abitudine, chiude sempre la porta a chiave), poi bussa anche il padre e la sorella gli chiede se non si sente bene. Qualcuno suona alla porta di casa: è il procuratore della sua ditta. È venuto per capire i motivi del suo ritardo.
“… Signor Samsa, disse ora il procuratore alzando la voce, che succede? Lei si barrica nella sua stanza, risponde a monosillabi, dà ai suoi genitori gravi, inutili preoccupazioni e trascura, questo sia menzionato solo incidentalmente, i suoi doveri professionali in un modo a dire il vero, inaudito…….
...negli ultimi tempi  il suo rendimento è stato molto insoddisfacente; è vero che non è la stagione adatta per fare affari particolari, di questo ci rendiamo conto; ma una stagione per non fare affari, signor Samsa, non c’è, non deve esserci.
 Ma signor Procuratore, gridò Gregor, fuori di sé e nell’agitazione dimenticò tutto il resto, apro subito, immediatamente. Un leggero malessere, un attacco di vertigini, mi hanno impedito di alzarmi. Sono ancora a letto. Ma adesso sono di nuovo in forma: sto scendendo dal letto. Solo un attimo di pazienza! Non sto ancora bene come pensavo. Ma va già meglio. Che strani questi attacchi improvvisi! Ieri sera stavo ancora benissimo, i miei genitori lo sanno, o meglio, già ieri sera avevo un leggero presentimento. Si sarebbe dovuto vedere. Perché non ho avvertito la ditta? Ma si pensa sempre di superare la malattia senza rimanere a casa. Signor Procuratore! Risparmi i miei genitori! I rimproveri che lei ora mi rivolge sono del tutto infondati; nessuno ne ha fatto parola. Forse lei non  ha letto le ultime ordinazioni che ho spedito. A proposito, mi metto in viaggio con il treno delle otto, queste poche ore di riposo mi hanno dato forza. Non si trattenga qui, signor procuratore; vengo subito in ditta, e lei abbia la bontà di dirlo e di salutare per me il principale!...”
Ad una condizione fisica ripugnante si sommano sensi di vergogna e di colpa per il proprio stato, colpa per la svogliatezza sul lavoro o per non poter più mantenere la famiglia, sentimento alluso e compreso nel tipo di animale prescelto per la sua raffigurazione, un “Ungeziefer”, un insetto nocivo o un parassita.
“….Avete capito una sola parola? Chiese il procuratore ai genitori. Si prende gioco di noi? Per l’amor del cielo, esclamò la madre già in lacrime, forse è gravemente malato e noi lo tormentiamo. Grete! Grete! Gridò poi. Mamma? Chiamò la sorella dall’altra parte. Si parlavano attraverso la stanza di Gregor. Devi andare immediatamente dal dottore. Gregor è ammalato. Va in fretta a cercare il dottore. Hai sentito parlare Gregor? Era una voce di animale, disse il procuratore, con un tono la cui bassezza risaltò contro le grida della madre. Anna! Anna! Gridò il padre attraverso l’anticamera rivolto alla cucina, battendo intanto le mani. Subito a chiamare il fabbro! E già le due ragazze attraversavano correndo l’anticamera in un frusciar di gonne, (come aveva fatto la sorella a vestirsi così rapidamente?) e spalancavano la porta di ingresso. Non sentì la porta richiudersi; probabilmente l’avevano lasciata aperta, come si fa di solito nelle case in cui è successa una grave disgrazia. Ma Gregor si era fatto molto più calmo. Dunque le sue parole non si capivano più, sebbene a lui, forse per l’abitudine dell’orecchio, fossero apparse sufficientemente chiare, più chiare di prima….”
L’insorgere della malattia  comporta profonde modificazioni nella relazione con il proprio corpo, che diventa spesso una fonte di dolore e di problemi, sperimentato e vissuto diversamente rispetto alla “silenziosità” della salute. La malattia è senz’altro l’evento che più di qualsiasi altro ci mette di fronte al nostro corpo; il corpo diventa l’unico oggetto di pensiero, sia rispetto all’esperienza di malattia, sia rispetto al modo in cui attraverso il corpo ci relazioniamo agli altri. Anche la più semplice attività, come fare un bagno, diventa occasione per confrontarsi con ciò che si era prima e che non si è più. La vita di tutti i giorni cambia profondamente, al punto che anche sollevare una tazza, pettinarsi, o solo alzarsi la mattina, gesti che rappresentano ciò che possiamo considerare la normale quotidianità del vivere, possono diventare in certe patologie momenti di una lotta perpetua per la sopravvivenza. L’esperienza della malattia così connotata incide fortemente sull’identità della persona e, di riflesso, sulle sue relazioni con il mondo. Il fatto di non “riconoscersi più”, porta il malato a vivere contemporaneamente un “altro sé” non ancora integrato con quello precedente.
Gregor tra mille difficoltà è riuscito a scendere dal letto e
“… si spinse lentamente con la sedia fino alla porta, se ne staccò, si buttò contro la porta, si tenne eretto contro di essa, i cuscinetti delle sue zampette avevano un poco di sostanza viscosa, e si riposò un istante dallo sforzo. Ma poi si accinse a girare con la bocca la chiave nella serratura. Sembrava purtroppo che non avesse veri e propri denti, con cosa doveva afferrare la chiave? Ma in compenso le mandibole erano molto forti; con il loro aiuto riuscì davvero a muovere la chiave e non badò al fatto che indubbiamente si faceva male: un liquido scuro gli uscì dalla bocca, inondò la chiave e gocciolò sul pavimento. Ascoltate, disse il procuratore nella stanza accanto, sta girando la chiave. Questo fu per Gregor un grande incoraggiamento; ma tutti anche il padre e la madre, avrebbero dovuto incitarlo: forza Gregor, avrebbero dovuto incitarlo: Forza Gregor, avrebbero dovuto gridargli, non mollare, forza con la serratura! E immaginando che tutti seguissero con ansia i suoi sforzi, piantò i denti nella chiave, ciecamente, con tutta la forza che riuscì a raccogliere. Seguendo la chiave che girava, egli danzava attorno alla serratura; ormai si reggeva in piedi soltanto con la bocca, e a seconda del bisogno si appendeva alla chiave oppure la schiacciava in basso con tutto il peso del corpo. Il suono più secco della serratura, che finalmente scattò, risvegliò letteralmente Gregor. Traendo un profondo respiro si disse: Dunque non ho avuto bisogno del fabbro, e appoggiò il capo ala maniglia, per aprire del tutto la porta…”
Quanta fatica per compiere un gesto fino al giorno prima così semplice! Quando Gregor riesce ad aprire la porta, la sua visione fa svenire la madre, piangere il padre, il procuratore ha un gesto d’orrore. Il padre lo respinge nella sua camera brandendo un bastone e colpendolo.
“… Siccome dovette aprire la porta in questo modo, essa era già quasi spalancata senza che Gregor fosse ancora comparso. Dovette innanzitutto girare lentamente attorno all’anta, e con molta cautela, se non voleva cadere goffamente sulla schiena prima di entrare nell’altra stanza. Era ancora occupato a compiere quel difficile movimento, senza aver tempo di badare ad altro, quando udì il procuratore emettere un sonoro Oh!, suonò come il vento che sibila, e ora lo vide anche lui, vide come egli, che era il più vicino alla porta, premeva la mano sulla bocca aperta e lentamente retrocedeva, come se una forza invisibile, dall’azione continua, costante, lo spingesse via. La madre (nonostante la presenza del procuratore aveva ancora, dalla notte, i capelli sciolti e ritti in testa) guardò prima il padre con le mani giunte, poi fece due passi in direzione di Gregor e cadde a terra in mezzo alle gonne che le si allargavano intorno, il viso sepolto nel petto, irreperibile. Il padre chiuse il pugno con un’espressione ostile, come se volesse respingere Gregor nella sua stanza, poi si guardò intorno, incerto, nel salotto, si coprì gli occhi con le mani e pianse, il petto possente scosso dai singhiozzi….”
Gregor si addormenta di un sonno pesante, e si risveglia solo al tramonto. La sorella gli ha portato una ciotola di latte: si accorge che i suoi gusti sono cambiati, e non riesce a mangiarlo nonostante la fame. La sorella entrando vede la scodella ancora piena e gli porta altro cibo, per capire cosa può mangiare e regolarsi di conseguenza. La sorella si prende cura di lui: il termine “Schwester” significa non solo sorella, ma anche infermiera, e come tale essa si comporta, dato che, come in ospedale, gli fa visita due volte al giorno e riferisce le sue condizioni. Nella stanza le finestre sono tenute sempre aperte, abitudine tipica dei sanatori.
“… dall’anticamera la sorella, quasi del tutto vestita, aprì la porta e guardò dentro con ansia. Non lo trovò subito, ma quando lo scorse sotto il canapè, o Dio, da qualche parte doveva pur essere, non poteva certo esser volato via, si spaventò a tal punto che, incapace di dominarsi, richiuse, sbattendola, la porta dall’esterno. Ma, come pentita del suo comportamento, riaprì subito la porta ed entrò in punta di piedi, quasi si trovasse nella stanza di un malato grave o addirittura di un estraneo. Gregor aveva spinto la testa fin quasi al bordo del canapè e la osservava. Si sarebbe accorta che non aveva bevuto il latte, e certo non per mancanza di fame, e gli avrebbe portato qualcosa che gli piacesse di più?
… Ma la sorella notò subito con stupore la ciotola ancora piena, dalla quale solo un po’ di latte s’era versato all’intorno, la sollevò subito, con uno straccio e senza toccarla con le mani, e la portò fuori. Gregor era estremamente curioso di vedere cosa avrebbe portato in cambio, e fece le ipotesi più disparate. Mai avrebbe però potuto indovinare quello che, nella sua bontà, la sorella fece davvero. Per saggiare i suoi gusti, ella portò tutta una scelta di cibi, disposti su un vecchio giornale….”
… In quel modo, da allora in poi, Gregor ricevette ogni giorno i suoi pasti, una volta la mattina, quando i genitori e la domestica dormivano ancora, e un’altra volta dopo pranzo perché i genitori dormivano di nuovo un poco e la domestica veniva allontanata dalla sorella con una qualche commissione….
L’integrità del proprio corpo è in stretta correlazione con la propria integrità personale: la malattia va ad alterare questo equilibrio e il legame io-corpo.  Il riconoscimento del proprio corpo può essere  difficoltoso quando lo stare insieme all’altro/agli altri rende il malato consapevole delle idiosincrasie dei suoi gesti, del modo in cui parla, del suo sguardo, di parti del suo corpo che la malattia ha modificato. Gli interventi chirurgici demolitivi, per esempio, comportano tutti la perdita del senso della propria identità corporea accompagnato da un sentimento d’inferiorità psicofisica e sociale. Pensiamo alle donne mastectomizzate, ai pazienti stomizzati nei quali l’immagine di sé è alterata sulla base dei cambiamenti avvenuti nel corpo in seguito alla malattia, che portano la persona a confrontarsi continuamente con i valori personali e sociali e dunque anche con le immagini ideali di corpo della propria cultura  di appartenenza.  
Gregor impara a strisciare sui muri fino al soffitto. Per agevolare i suoi movimenti la sorella inizia a sgombrare la stanza.
“… Sebbene Gregor continuasse a ripetersi che nulla di straordinario stava accadendo, che semplicemente venivano spostati un paio di mobili, dovette ben presto confessarsi che quell’andirivieni delle donne, le loro piccole esclamazioni, il raschiare dei mobili sul pavimento, agivano tuttavia su di lui come un immenso trambusto alimentato da ogni parte e, per quanto traesse a sé, con forza , la testa e le zampe, e premesse a terra tutto il corpo, non poté fare a meno di dirsi che non avrebbe retto a lungo. Gli svuotavano la stanza; gli toglievano tutto quello che gli era caro; il comò, in cui erano riposti la sega da traforo e altri attrezzi, lo avevano già portato fuori; e ora liberavano la scrivania, che aveva i piedi ormai saldamenti confitti nel terreno, alla quale egli aveva fatto i compiti quando era studente dell’istituto superiore di commercio, quando era scolaro delle medie e addirittura delle elementari: ora non c’era davvero più tempo per riflettere sulle buone intenzioni delle due donne, la cui esistenza egli aveva peraltro quasi dimenticato, perché ormai lavoravano mute dallo sfinimento, e si udiva solo il pesante battere dei loro piedi. E così egli irruppe fuori, le donne, nella stanza accanto si erano appoggiate un istante alla scrivania per riprender fiato, cambiò quattro volte la direzione della corsa, e non sapeva davvero cosa dovesse salvare innanzi tutto quando gli balzò davanti agli occhi, in mezzo alla parete vuota, il quadro della signora avvolta nelle pellicce; si arrampicò di gran furia lassù e si schiacciò contro il vetro, il quale lo trattenne e diede sollievo al suo ventre bruciante. Quel quadro almeno, che ora Gregor copriva del tutto, sicuramente nessuno lo avrebbe portato via. Torse la tesata verso la porta del salotto, per osservare le donne al loro ritorno. Non si erano concesse molto riposo e già rientravano; Grete aveva circondato la madre con il braccio e quasi la reggeva: allora, cosa prendiamo adesso? Disse Grete e si guardò intorno. Il suo sguardo incrociò quello di Gregor alla parete. Probabilmente solo la presenza della madre fece si che ella conservasse il dominio di sé: chinò il viso verso di lei per impedirle di guardarsi attorno e disse, tremando però e senza riflettere: Vieni, non è meglio che torniamo un attimo in salotto? L’intento di Grete fu chiaro a Gregor; ella voleva portare la madre al sicuro per poi scacciarlo dalla parete. Bene che ci provasse: lui stava sul suo quadro e non l’abbandonava. Piuttosto sarebbe saltato addosso a Grete. Ma le parole di Grete non avevano fatto altro che allarmare ancor più la madre che si fece di lato, scorse l’immensa macchia bruna sulla tappezzeria a fiori, ancor prima di rendersi davvero conto che quel che vedeva era Gregor, gridò con voce stridente e rauca: oh Dio! Oh Dio! E cadde in avanti sul canapè con le braccia spalancate, in un gesto di rinuncia totale, e non si mosse più. Gregor! Gridò al sorella con il pugno alzato e trafiggendolo con lo sguardo. Era, dal giorno della metamorfosi, la prima parola che ella gli si rivolgeva direttamente. Corse nella stanza accanto per prendere una qualche essenza con cui far rinvenire la madre; Gregor voleva rendersi utile, per salvare il quadro c’era tempo, ma era appiccicato al vetro e dovette strapparsi via con la forza; poi corse anche lui nella stanza accanto, quasi potesse ancora dare consigli alla sorella, come in passato; ma dovette poi rimanere inoperoso alle sue spalle, mentre lei frugava fra flaconi e boccette, e anzi la spaventò quando lei si volse: una bottiglia cadde a terra rompendosi; una scheggia ferì Gregor al volto; una qualche medicina corrosiva che lo inondò; Grete senza trattenersi oltre, prese tutti i flaconi che poteva e con quelli corse dalla madre; chiedendosi dietro la porta con il piede…”
Gregor si è reso  visibile alla madre, che, nonostante sia passato del tempo dal giorno della metamorfosi, ancora non riesce ad accettare la vista del figlio, infatti al vederlo è svenuta. Il padre si arrabbia e gli scaglia contro delle mele. Una lo colpisce e lo ferisce.
“… si rifugiò contro la porta della sua stanza e si strinse ad essa, affinché il padre, entrando dall’anticamera, potesse vedere subito che Gregor aveva le migliori intenzioni di tornare subito nella sua stanza, e che non era necessario ricacciarlo indietro, bastava aprire la porta e lui sarebbe subito sparito. Ma il padre non era nella disposizione adatta per notare simili finezze. Ah! Gridò entrando, con il tono di chi è al contempo furioso e felice. Gregor allontanò la testa dalla porta e la sollevò verso il padre….
… e così cominciò a scappare davanti al padre, si arrestava quando quello si fermava e si precipitava in avanti non appena l’altro accennava a muoversi. Così fecero più volte il giro della stanza, senza che accadesse nulla di decisivo, anzi senza che il tutto, per la lentezza del ritmo, avesse l’aria di una caccia. Per questo Gregor rimase provvisoriamente sul pavimento, temendo oltre tutto che il padre giudicasse una fuga sulle pareti o sul soffitto come una perfidia particolare. Dovette però dirsi che non avrebbe sopportato a lungo neppure quella blanda corsa, perché mentre il padre faceva un passo solo, lui doveva compiere un’infinità di movimenti. Già cominciava a mancargli il respiro, e del resto anche in passato aveva avuto polmoni non del tutto affidabili. Mentre dunque, con gli occhi semichiusi, avanzava sbandando qua e là per concentrare tutte le sue forze nella corsa, mentre, nel suo torpore, non gli veniva in mente altra salvezza che non fosse la corsa, e aveva già quasi dimenticato di avere a disposizione le pareti, che qui peraltro erano chiuse da mobili accuratamente intagliati pieni di denti e punte, allora qualcosa, scagliato con lentezza, atterrò rasente a lui e gli rotolò dinanzi. Era una mela. Subito un’altra seguì. Gregor si immobilizzò per lo spavento, continuare a correre era inutile, perché il padre aveva deciso di bombardarlo. Dalla fruttiera sulla credenza si era riempito le tasche  e ora lanciava, senza per il momento mirare con precisione, mela dopo mela. Quelle piccole mele rosse rotolavano come elettrizzate per il pavimento, scontrandosi. Una mela lanciata senza forza sfiorò la schiena di Gregor, e scivolò via senza danni. Ma la mela che seguì penetrò letteralmente nella schiena di Gregor; Gregor tentò di trascinarsi via, come se il sorprendente incredibile dolore potesse svanire cambiando posto; ma si sentì come inchiodato a terra e si sdraiò in una completa confusione di tutti i sensi. Solo con l’ultimo sguardo vide spalancarsi la porta della sua stanza e uscirne a precipizio, davanti alla sorella urlante, la madre, in camicia, perché la sorella l’aveva svestita per consentirle di respirare liberamente mentre era svenuta,  vide la madre correre verso il padre, vide scivolarle a terra, per via, una dopo l’altra,le gonne slacciate, la vide incespicando nelle gonne, gettarsi sul padre e, abbracciandolo, in congiunzione assoluta con lui, ma ormai la vista di Gregor si stava spegnendo, con le mani alla nuca del padre chiedere pietà per la vita di Gregor…”
In seguito all’incidente della mela, la famiglia decide di ammettere Gregor a far parte, in un certo qual modo,  della vita familiare aprendo, la sera, la porta della sua stanza.
“… tutte le sere la porta del salotto, che lui cominciava a fissare intensamente già un’ora o due prima, veniva aperta, sicché lui, nel buio della sua stanza, invisibile dal salotto, poteva vedere tutta la famiglia seduta al tavolo illuminato e poteva ascoltare i loro discorsi, in certo qual modo con il permesso di tutti, e quindi in, maniera tutta diversa da prima...
... Le notti e i giorni passavano per Gregor quasi senza sonno. A volte pensava di riprendere in mano, come prima gli affari della famiglia, la prima volta che gli avessero aperto la porta; nei suoi pensieri ricomparivano, dopo tanto tempo, il principale, il procuratore, i commessi e gli apprendisti, l’inserviente così ottuso, due, tre amici di altre ditte, una cameriera di un albergo di provincia, un dolce, fuggevole ricordo, la cassiera di un negozio di cappelli, alla quale, seriamente, ma con troppa lentezza, aveva fatto la corte; tutti comparivano mischiati a figure sconosciute o già dimenticate, ma invece di aiutare lui e la sua famiglia, erano tutti inaccessibili, e lui era contento quando scomparivano….”
Spezzati i rapporti familiari, perduto il lavoro, costretto a vivere rinchiuso e nascosto, impedito nelle attività più banali, Gregor incomincia a rifiutare il cibo.  Anche la sorella è ormai stanca della situazione:
“… Senza più pensare cosa potesse riuscirgli particolarmente gradito, la sorella spingeva col piede nella stanza di Gregor, in tutta fretta prima di correre in negozio la mattina e nel pomeriggio, un cibo qualsiasi, per poi spazzarlo fuori la sera, con un colpo di scopa, indifferente al fatto che fosse stato appena assaggiato oppure, il caso più frequente, fosse rimasto intatto. La pulizia della stanza, cui ella accudiva ora sempre la sera, non poteva essere sbrigata con maggiore velocità…
La sera, dopo avere ascoltato con la porta aperta le chiacchiere della famiglia, Gregor tornava nella sua stanza.  
… Non appena egli fu dentro la sua stanza, la porta fu chiusa in gran fretta, sprangata e sbarrata. Gregor si spaventò a tal punto dell’improvviso fragore alle sue spalle, che le zampette gli si piegarono. Era stata la sorella ad affrettarsi in quel modo. Già prima era rimasta ritta in piedi in attesa, poi era balzata in avanti con un passo leggero, Gregor non l’aveva nemmeno sentita arrivare, e ai genitori gridò un finalmente! Mentre girava la chiave nella serratura….”
Gregor è votato alla morte.
“… E ora? Si chiese Gregor e si guardò introno nel buio. Non tardò a scoprire che ormai non riusciva più a muoversi. Non se ne stupì, anzi gli sembrò innaturale essere davvero riuscito a spostarsi, finora, con quelle zampette sottili. Per il resto si sentiva relativamente bene. Aveva sì dolori in tutto il corpo, ma gli parve che si facessero sempre più deboli e che infine sarebbero scomparsi del tutto. La mela che gli era marcita nella schiena e la zona infiammata tutto intorno, interamente coperte di polvere soffice, non le sentiva quasi più. Alla famiglia il suo pensiero tornò con commozione e amore. La sua opinione sul fatto di dover sparire era, se possibile, ancor più risoluta di quella della sorella. In quello stato di riflessione vacua e quieta egli rimase finché l’orologio del campanile non suonò le tre del mattino. Visse ancora l’inizio dello schiarirsi di ogni cosa fuori della finestra. Poi, senza che egli lo volesse, la testa gli cadde del tutto e dalle narici gli uscì debole l’ultimo respiro…”
Nella famiglia Samsa riprende una vita normale: padre, madre e sorella escono e prendono il tram per andare in campagna. Pensano al futuro, ad un trasloco in una casa più piccola ma più comoda, a far sposare la figlia. La ragazza è diventata più bella e si alza “stirando il suo giovane corpo”. Sono le ultime parole del racconto.
Immagina che un mattino ti svegli e non ti ritrovi più con il tuo solito corpo, ma ti è accaduto  qualcosa di simile a quel che è successo a Gregor
il tuo primo pensiero è…
i tuoi stati d’animo sono…
le tue reazioni...

To be continued