“Un gioco pericoloso”. Cosa si vede da questa angolatura?

Daniela Scala
AORN A. Cardarelli, Napoli
sdaniela2000@yahoo.com



Care colleghe e cari colleghi,
in questo numero ci occupiamo di fotografia come strumento delle Medical Humanities.
Cosa rappresenta una foto? Cosa comunica? Che sentimenti suscita?
Ancora una volta il mio invito è a condividere il vostro punto di vista, quello che vedete dalla “vostra angolatura”.

Irene Bongiorno
Farmacista, U.O.S. Oncologia a valenza aziendale,
P.O. “Vittorio Emanuele II” di Castelvetrano, ASP di Trapani



….fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa l’occhio e il cuore…
È un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi,
con il cuore, con la testa…
È necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino…

Henri Cartier-Bresson


La parola “fotografia” deriva dalla lingua greca e significa letteralmente “scrivere con la luce”. La fotografia è, come la musica, un linguaggio universale aperto a tutti e da tutti comprensibile: l’immagine può essere analizzata da ciascuno di noi senza bisogno di interpreti. Essa può documentare fatti, illustrare avvenimenti, comunicare sensazioni, riflettere stati d’animo sostituendo altri linguaggi come, ad esempio, quello della parola. Un potente mezzo di comunicazione che non ha preclusioni: anche i non vedenti possono scattare foto; è il “terzo occhio” che entra in gioco, quello che va al di là del visibile, quello che non si fa intimorire dal mondo e che Evgen Bavcar, oggi tra i più apprezzati autori del mondo della fotografia, ha saputo spalancare ancora di più, fin da quando all’età di dodici anni perse definitivamente la vista. Perché dobbiamo dare per scontato che la mancanza della vista significhi mancanza di percezione da parte di chi non vede? Se un cieco tocca l’erba, che è verde, non sa cosa è ciò che viene chiamato verde, ma magari sa che quel colore gli porta gioia. Il fatto di essere ciechi non significa non sentire il mondo. Ma solo che lo si fa da un’altra angolatura. Nato in Slovenia, Bavcar è cieco dall’età di dodici anni. Gli scatti dell’artista sono visioni evocative di spazi, luci, odori e forme dell’infanzia, istantanee di percezioni tattili e sensoriali colte dal suo terzo occhio. La sua opera è un invito provocatorio a mettere in discussione la gerarchia, per cui la maggioranza dei vedenti impone la propria percezione come quella in grado di afferrare a pieno la realtà, mettendo in relazione vista, cecità e invisibile.
La fotografia può quindi essere anche, e soprattutto, un mezzo di informazione ed educazione nella Sanità ed infatti le arti visive rientrano tra gli strumenti utilizzati dalle “Medical Humanities” per migliorare le capacità dei professionisti sanitari (medico, farmacista, infermiere) di comunicare con i pazienti e, più in generale, con gli utenti dei servizi sanitari. Con il termine “Medical Humanities” s’intende l’insieme delle scienze umanistiche (letteratura, filosofia, etica, storia e religione), scienze sociali (antropologia, psicologia, sociologia) e le arti (letteratura, teatro, film, arti visive) applicate alla Medicina e finalizzate alla formazione umanistica del medico. Le “Medical Humanities” si pongono l’obiettivo di integrare la dimensione tecnica dell’approccio al paziente, fornita dalle discipline scientifiche (Biologia, Anatomia, Fisiologia, Chimica, etc.), con la dimensione relazionale fornita dalle discipline umanistiche. Se infatti la dimensione tecnica ci permette di conoscere la malattia intesa come processo bio-patologico ( disease), la dimensione umanistica ci consente di conoscere la malattia intesa come esperienza soggettiva (illness) e come condizione sociale (sickness) contribuendo a migliorare la relazione medico-paziente nel contesto del sistema Salute. A sottolineare l’importanza delle arti visive come mezzo per aumentare le capacità di osservazione ed interpretazione molte università in America hanno proposto corsi di “Medical Humanities” basati sull’opera pittorica.
Il farmacista non può rimanere escluso dallo strumento formativo rappresentato dalle “Medical Humanities”. Pertanto la SIFO ha promosso la I edizione del Concorso fotografico intitolato “FarmaCome, FarmaCosa e FarmaConto”, in occasione del XXXV Congresso Nazionale della SIFO “Il farmacista: una risorsa per la salute. Responsabilità, Appropriatezza, Sostenibilità”, tenutosi a Pescara fra il 16 e il 19 ottobre 2014. Si è trattato di una originale iniziativa per promuovere e valorizzare il ruolo del Farmacista nel mondo della Sanità.
La foto vincitrice del concorso è stato lo scatto fotografico intitolato “Un gioco pericoloso” (Figura 1) di Irene Bongiorno attraverso cui si è cercato di cogliere ed interpretare i concetti di responsabilità, appropriatezza e sostenibilità, dando alla loro connotazione tecnica una veste “umanistica” in grado di stimolare, in chi vede la fotografia, una riflessione sul proprio agire professionale e sulla necessità di integrare la competenza scientifica con quella umanistico-relazionale. La fotografia non è un semplice scatto; è stata costruita nei dettagli e con attenzione, ha previsto un lavoro di allineamento per dirla con Cartier-Bresson di “testa, occhi e cuore”. La fotografia è all’apparenza una semplice rappresentazione del gioco dei birilli, ma in realtà lo scatto fotografico nasconde un messaggio più profondo: il gioco potrebbe diventare “pericoloso” nel momento in cui la pallina, rappresentata da una capsula, modifichi la sua traiettoria finendo per non colpire i birilli, che invece vogliono essere una rappresentazione simbolica di specifiche patologie (l’occhio più attento avrà certamente individuato che l’etichette presenti su ciascun birillo riportano le sigle di patologie!). In questo modo si è cercato di esprimere l’appropriatezza terapeutica, una tematica in cui il farmacista del SSN di oggi è attivamente coinvolto. La fotografia suscita degli interrogativi/riflessioni: la mano che sta spingendo la pallina/capsula è una mano preparata, formata, esperta nel lancio di birilli? La capsula è una sola… sarà l’ultima con la quale abbattere quanti più birilli possibili? Vuole rappresentare il sogno dei pazienti e dei professionisti della salute, più specificatamente qui dei farmacisti, di sconfiggere la “malattia” con un solo tiro? Oppure il sogno che i veloci e notevoli progressi della ricerca farmacologica possano debellare tutti i mali?



E se questi birilli fossero i malati, senza più un nome proprio, ed identificati dalla propria patologia, spersonalizzati, in attesa di essere abbattuti dall’unica medicina ormai disponibile e da una mano anonima? Richiama alla mente immagini di prigionieri pronti per essere giustiziati dal plotone avversario: arriveranno in tempo “i nostri” come nei vecchi film a salvarli? Non c’è tempo da perdere, nella clessidra la sabbia scende veloce ed implacabile!
Le banconote rappresentate nella foto invece nascondono il tema della sostenibilità economica. A prima vista le banconote e monete suggeriscono una sala da giochi, giochi d’azzardo… giochi “pericolosi”! Per chi? Per i cittadini/pazienti per i quali le risorse sono sempre meno? Oppure per i professionisti della salute per i quali i posti di lavoro sono sempre di meno? Che le risorse siano poche e che vadano razionalizzate e ottimizzate è ormai necessità fondamentale; occorre, tuttavia, non nascondersi dietro ciò per incapacità o cattiva volontà e ricordarsi dell’uomo che è ogni paziente.
La foto consente di affrontare l’argomento dell’umanizzazione delle cure attraverso uno dei metodi delle “Medical Humanities” offrendo uno spunto di riflessione per tutti coloro che hanno contatti con la malattia. Essa vuole essere uno stimolo ad interrogarsi sul proprio agire professionale ma anche, e soprattutto, sul funzionamento della nostra Sanità e dei suoi attori sovente attratti più dagli effetti speciali dell’high tech e meno da quelli dell’high touch, altrettanto efficaci, e imprigionati nelle maglie di un’economicità a tutti i costi (il gioco di parole è voluto!!!) che mortifica professionisti e cittadini/pazienti.