Dissenso o ambizione?

Laura Fabrizio
fabrizio.laura@aslrmc.it

“La scommessa è che le singole parole, quasi sussurrate, conservino il fascino
della narrazione, suscitando nel lettore il desiderio di leggere e ricercare, per propria
autonoma scelta, anche quello che è taciuto”.


Ho sempre pensato che in democrazia debba governare chi a questa funzione è stato designato mediante i voti espressi nell’ambito di una determinata comunità, anche scientifica, e che può esercitare il diritto-dovere di guida chi tra i candidati eletti è scelto, nominato e innalzato a tale dignità da chi, ai vari livelli elettivi, ha o esercita il diritto di voto.
L’eletto ad una carica dirigenziale di qualsiasi organizzazione, con l’accettazione del voto ottenuto si presume che abbia accettato anche il così detto “mandato imperativo” che viene conferito implicitamente dagli elettori ai propri rappresentanti per vincolarne il comportamento, nell’ambito specifico, anche in caso di future divergenze di vedute in seno al collegio degli eletti.
A chi non è capitato di avere differenza di opinioni all’interno di un gruppo, di un’associazione, di un partito, di una chiesa? Io stessa mi sono trovata più volte nel ruolo di dissidente e a dovermi opporre alle opinioni della maggioranza in diversi contesti operativi.
Dis-cor-dare vuol dire non essere d’accordo, avere cuori divisi. Dis-sentire (sentire diversamente) e, quindi, dis-sedere (sedere separatamente) succede frequentemente e, a mio parere, ciò va considerato un evento salutare per qualsiasi Società governata da rappresentanti eletti a suffragio universale (la democrazia).
Poter manifestare disaccordo o la propria discordanza di sentimento, di opinione o di giudizio, poter esprimere la propria disapprovazione a seguito di dissentimento o di dissensione è il sale della democrazia.
Guai ad impedire il divergere della persona che è portata a sentire o giudicare diversamente da una o più altre: è stato grazie anche al dissenso e, quindi, ai dissenzienti se l’umanità ha potuto progredire in molti campi fino ai giorni nostri.
Sappiamo benissimo che nelle situazioni di dissenso, anche se complesse e complicate, si deve preservare e proteggere la dignità di tutti gli stakeholder e che bisogna concentrarsi sui problemi, non sulle persone. Si deve, infatti, assumere che l’altro stia esprimendo una preoccupazione legittima quando dissente e bisogna assolutamente evitare quelle battaglie logoranti e win-lose (vincitore-perdente) in cui una parte vince e l’altra perde. Vanno perseguite, invece, le soluzioni win-win (vincitore-vincitore).
Personalmente sono stata sempre convinta che dei punti di vista diversi stimolano la ricerca creativa di una soluzione e che la diversità ha in sé i semi del cambiamento costruttivo. Tutti noi abbiamo il dovere di gestire costruttivamente le nostre divergenze.
Quando si verificano situazioni di ostilità per qualsivoglia ragione, per avere le informazioni complete - fondamentali per gestire le divergenze - bisogna ascoltare con una neutralità che sospende qualunque giudizio critico: se ci sono la fiducia e il rispetto, si può avere una visione condivisa di più ampio respiro e degli obiettivi comuni di lungo termine, a maggior ragione all’interno di una Società Scientifica senza fini di lucro.
Su questi grandi temi le divisioni e le distinzioni svaniscono.
Qualche volta capita, però, che il dissenso viene strumentalizzato da persone tanto ambiziose da non possedere più le caratteristiche dei dissenzienti, assumendo quelle dei dissennati, abitualmente avventati e stolti. Costoro, infatti, troppo spesso si appellano ai sacrosanti diritti del dissenziente per camuffare il loro assiduo, sfrenato ed egocentrico desiderio di affermarsi e distinguersi, costi quel che costi: accecati e dominati dall’ambizione rivelano, inevitabilmente, un eccesso di presunzione.
Così è successo all’indomani delle nostre ultime elezioni societarie; alcuni noti soci hanno assunto atteggiamenti da “Cacasenno fin dall’insediamento del nuovo Consiglio Direttivo, senza dare inizio ad alcun dibattito di natura culturale, scientifica o politico-gestionale su cui confrontarsi, né per il presente né per il futuro, ma forti del solo fatto che, nel recente passato, avevano occupato posti di prestigio nella dirigenza tecnico-gestionale della nostra Società. Altri soci, meno noti, frustrati per aver ripetutamente provato ad occupare detti posti senza riuscire ad ottenere il necessario democratico consenso di chi doveva eleggerli, hanno improvvisamente sviluppato la pericolosa sindrome dei trombati”.
Fatto è che costoro, riuniti insieme da esperti “Pupari”, da subito hanno artificiosamente creato un clima - anche se circoscritto - di scontro e di scissione, pensando di potere raggiungere presto o altrove quel mal celato oggetto del desiderio, fino a voler costituire un nuovo sodalizio il cui acronimo, per ironia della sorte, è stato istintivamente decodificato, in termini chiari ed inequivocabili, da molti colleghi come sigla comprendente quei “Cacasenno” e “Trombati” che, in questo nuovo ruolo di veri e propri “Pupi ”, appaiono irrimediabilmente condizionati dalle tiranniche posizioni altrui e destinati, come sono, a condividere con i loro “Pupari” soltanto le gravi responsabiltà storiche correlate e discendenti da un atto così scellerato per tutta la nostra categoria.
Peraltro, così facendo, quelli di loro che erano stati eletti nelle diverse posizioni della dirigenza SIFO, non hanno mostrato neanche un po’ di rispetto per il mandato ricevuto dai soci elettori ivi rappresentati che con responsabilità e professionalità vivono nella quotidianità la loro vita sociale e la loro capacità di costruire il bene comune. Il mandato ricevuto, infatti, prevede che, una volta eletti, si debba in ogni caso avere capacità di dialogo franco e coraggioso, capacità di confronto e di mediazione, anche culturale, in grado di trovare, sempre e prima di tutto, ciò che unisce e non esclusivamente ciò che divide.
Sappiamo tutti che l’ambizione acceca e non fa vedere come imparare dalla vita quotidiana e dalla sua semplice, sapiente, creativa organizzazione, a gestire i grandi rapporti, i grandi conflitti, le grandi relazioni.
In una commedia di Aristofane è Lisistrata, una massaia ateniese, che trova il modo, riunendo le donne delle due città belligeranti, di far cessare le guerre tra Atene e Sparta: «Se aveste cervello trattereste i conflitti come si fa con la lana. Come quando la matassa è ingarbugliata, la prendiamo e la dipaniamo sui fusi, tenendola da una parte e dall’altra, così se ci lasciate fare, sbroglieremo la guerra, lavorando da una parte e dall’altra, con le ambascerie. Prima di tutto, come si fa con la lana, togliendo via con un bagno il sudiciume della città. Poi, stendendola su un letto, togliere di mezzo con un bastone spine e malanni. Poi cardare quelli che tramano in società per le cariche (guardate quant’è attuale!) e spelargli bene la testa. Poi in un paniere mescolare la concordia comune e pettinarla, mettendo insieme i metecci, gli stranieri che vi sono amici e debitori dello stato. E le città dove abitano coloni ateniesi dovete considerarli come i bioccoli caduti per terra, lontani gli uni dall’altro. Bisogna prenderli e raccoglierli insieme e farne un solo grande gomitolo, da cui tessere una tunica per il popolo».
A questo punto, cari colleghi, vi domanderete: sono risposte queste? Forse no. Forse basterebbe riflettere di più sul fatto che gran parte del nostro tempo è dedicato ad attività che riducono la felicità.
Mi sentirei di aggiungere, però, che sicuramente occorre avere un pensiero più avanzato sulla vicenda, cioè interpretare realmente la fine di un paradigma che ci ha fatto pensare la SIFO e le Società Scientifiche in genere, vecchie e di nuova istituzione, come feudi personali di cui disporre a proprio piacimento per perseguire gli esclusivi interessi propri o del clan di appartenenza.