Il liberismo in farmacoeconomia
e una proposta per la misura del risultato

Gregorio Papadia,1 Lucio Torelli2

1 Docente di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia, Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche

2 Professore Associato di Statistica Medica, Dipartimento Clinico di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, Università di Trieste

A chi legge con attenzione più di un lavoro di farmacoeconomia sul medesimo argomento non può certamente sfuggire una caratteristica evidente che accomuna questo tipo di studi: la marcata variabilità dei risultati.

Le cause sono di due ordini.

Il primo, di carattere oggettivo, deriva dallo stretto legame che gli studi farmacoeconomici hanno con lo specifico ambito locale e temporale che analizzano. È più che normale che, tra ambiti locali e temporali diversi, vi siano differenze di modelli organizzativi, procedure sanitarie, caratteristiche sociali e territoriali, sistemi di concedibilità delle prestazioni, tipologia di popolazione e, ultimi ma non ultimi, costi. Di conseguenza i risultati di una medesima analisi, effettuata però in ambiti loco-temporali diversi, presentano tra loro differenze “fisiologiche” attese e non sono quasi mai automaticamente trasferibili da un ambito all’altro.5, 6, 35

Ma la variabilità dei risultati è molto più vasta di quanto sia lecito attendersi dalla diversità degli ambiti osservati. E qui entra in gioco il secondo ordine di cause, che è invece legato a scelte dell’analista.

Infatti l’analisi farmacoeconomica, lasciando da parte l’Incremental Net Monetary Benefit,11 mira a conoscere:

1. il costo specifico dell’unità di effetto

2. l’incremento del costo per unità di effetto guadagnato

che equivalgono a due rapporti, che correlano i dati di costo con gli esiti delle terapie, i cui risultati sono espressi in valore monetario: rispettivamente il rapporto di Costo-Efficacia e il Rapporto Incrementale di Costo-Efficacia (ICER). Risulta evidente come l’attendibilità del risultato e quindi la sua utilizzabilità nei processi decisionali, fine ultimo dell’analisi farmacoeconomica, dipenda dall’ accuratezza, completezza e scelta appropriata dei dati inseriti,35 tanto che fin dal 1992 si è sentita la necessità di stabilire alcune linee guida, per la verità abbastanza generiche.6

Per quanto riguarda l’efficacia, al denominatore del rapporto, si dovrebbero usare i dati di effectiveness, cioè di efficacia nelle reali condizioni di impiego dei farmaci (real life)15 nella popolazione e nel periodo di tempo oggetto dello studio (patient level). Spesso, invece, vengono impiegati modelli statistici alimentati da dati di efficacy di studi sperimentali (efficacia rilevata in condizioni cliniche controllate e su pazienti selezionati) anche pivotali, oppure da dati di effectiveness, ma provenienti da studi su altre popolazioni di pazienti. Ciò accade sia perché i trattamenti farmacologici oggetto dello studio sono quasi sempre di recente introduzione e non si dispone ancora di dati sufficienti per valutare il guadagno di sopravvivenza,33,36,37 sia, più frequentemente, per scelta metodologica30 dettata a volte dall’onerosità della raccolta dei dati epidemiologici.32

Alcuni autori hanno espresso seri dubbi sulla capacità dei modelli statistici di produrre attendibili dati di efficacia, ancorché la loro flessibilità incoraggi le aziende ad utilizzare modelli pre-confezionati adattabili ad ogni ambito ed esigenza.27

Piuttosto, in mancanza, e in attesa, del dato di sopravvivenza e in alternativa all’espressione del risultato in costo/QALY guadagnato, potrebbe essere più realistico utilizzare degli end point surrogati che si conosce essere legati, a volte anche in maniera direttamente proporzionale, all’efficacia della terapia come, per esempio, dati di laboratorio, criteri basati su condizioni cliniche del paziente, insorgenza di patologie secondarie.23,28,34 L’ ”efficacia stimata” è purtroppo tra le maggiori e più diffuse criticità che si riscontrano nelle analisi farmaco economiche.29,30,32,33,36,37 Inoltre, a leggere bene, ci accorgiamo che in misura variabile e dipendente dal tipo di trattamento (si riscontra soprattutto con farmaci di recente immissione in commercio) le modalità di somministrazione e la durata dei trattamenti non sono sempre omogenee e potrebbero essere quindi responsabili di dati di efficacia significativamente diversi.

Ma è nella valutazione dei costi che la “libera iniziativa” farmacoeconomica si esprime più diffusamente.

I costi dovrebbero essere rilevati nella struttura che li genera, e che eroga la prestazione, nello stesso periodo di tempo nel quale vengono generati gli esiti e dovrebbero comprendere, oltre ai costi del farmaco, i costi di somministrazione comprensivi dei costi del personale, i costi dei trattamenti diagnostici correlati alla terapia, i costi dei trattamenti delle reazioni avverse, i costi diretti non sanitari e, se la prospettiva è quella del paziente, anche i costi indiretti (guadagni persi). Anche questo procedimento può risultare molto lungo e costoso, quindi si ricorre spesso a costi “medi stimati” omettendo di indicare la base dei dati di riferimento, agli importi riportati su tabelle di rimborso, a costi calcolati in altre occasioni per studi diversi. Molte volte, invece, più semplicemente, ci si “dimentica” di valutarne alcuni come, ad esempio, i costi sanitari indiretti, i costi della diagnostica legata alla terapia, i costi dei trattamenti delle reazioni avverse ovvero si riportano reazioni avverse con frequenze ricavate da dati di letteratura, anziché dall’ambito dello studio.29,30,32,33,36,37

V’è inoltre una beata confusione riguardo al significato “costo del farmaco”, dimenticando che esso non è sinonimo di “prezzo”, ma comprende, specialmente in una struttura sanitaria articolata, anche costi della gestione tecnica e della gestione logistica.35

A tutto ciò si aggiunge, in molte analisi, una assenza di informazioni sulle metodologie usate, sull’origine delle basi di dati, sulla prospettiva dello studio, sul periodo di riferimento e su altri aspetti determinanti per la qualità del risultato.

Per contro si registra una particolare affezione per l’analisi di sensibilità presente in una elevata percentuale di studi.

Sono pochi gli studi che mitigano questo tragico scenario: ad esempio gli studi del The British Rheumatoid Outcome Study Group (BROSG)38 e, recentemente, qualche analisi italiana di accettabile livello,39 nonostante le difficoltà da cause oggettive e culturali che in alcune realtà del nostro Paese si incontrano per accedere ai dati, specialmente, e incomprensibilmente, a quelli di costo.

Dopo quanto detto ci si rende conto come siano giustificati i molti dubbi sull’attendibilità dei risultati degli studi di farmacoeconomia oltre alla nota impossibilità del loro utilizzo per l’impiego nei processi decisionali di contesti diversi.

Si è creduto quindi opportuno, prendendo come base un lavoro di Drummond et al.,15 tentare di sviluppare un metodo che calcoli un indice di affidabilità del risultato ovvero stimi quale sia la probabilità che il risultato dell’analisi coincida con quello reale.

Si definiscono in primo luogo i criteri generali che una analisi farmacoeconomica deve soddisfare, perché il suo risultato sia attendibile e coincidente con la realtà osservata.

1. Il quesito deve essere formulato in modo completo e deve individuare con precisione l’ambito locale, il periodo di tempo, l’oggetto (farmaci, tipologia e numerosità della popolazione osservata) e l’obiettivo dell’analisi.

2. Il punto di vista deve essere esplicitato dichiarando da quale prospettiva vengono eseguite le valutazioni (S.S.N, S.S.R., ASL, Ospedale, Paziente ecc.). Infatti, tenendo conto del punto di vista nel quale ci poniamo, si ammettono o escludono dallo studio determinati costi a seconda che siano o meno sostenuti da chi utilizzerà i risultati dell’analisi.

3. Le descrizioni dei trattamenti a confronto devono essere esaurienti e indicare modalità, tempi, dosaggi e durata della somministrazione, incidenza degli effetti indesiderati e loro trattamento. I costi risentono molto delle modalità di uso dei farmaci e del trattamento dei loro effetti indesiderati.

4. I trattamenti farmacologici analizzati devono essere di efficacia clinica scientificamente dimostrata. Se così non fosse, non si potrebbe disporre di una misura dell’efficacia clinica certa ed applicabile per la valutazione dell’efficacia epidemiologica, con la conseguente impossibilità di calcolare i rapporti costo/efficacia e l’ICER.

5. I dati di efficacia utilizzati nell’analisi devono essere quelli dell’efficacia epidemiologica (effectiveness) rilevata nello stesso ambito locale che genera i costi. I dati dell’efficacia clinica di lavori sperimentali o dell’efficacia di ambiti diversi da quelli dello studio rendono inutilizzabili i risultati per il loro impiego nel processo decisionale.

6. Tutti i costi e le conseguenze devono essere imputati al periodo di tempo indicato nel quesito, assegnati a chi li genera, temporizzati se necessario e misurati con unità di misura adeguate. Costi e conseguenze di periodi diversi, non opportunamente verificati, alterano l’attendibilità dei risultati.

7. Deve essere eseguita un’analisi incrementale e di sensibilità. L’analisi incrementale è lo strumento fondamentale di confronto farmacoeconomico; naturalmente essa non può essere impostata nel caso della minimizzazione dei costi per via della parità quali-quantitativa dell’effetto delle terapie analizzate.

Questi 7 criteri sono esplicitati in 32 requisiti riportati nella griglia della Tabella 1. Si assegna 1 punto per ogni SI (requisito presente nell’analisi), 0 punti per ogni NO (requisito assente dall’analisi): in tal modo otterremo, per ogni studio, un punteggio in valore assoluto e un punteggio in valore percentuale. Quei requisiti non previsti dal tipo di trattamento, dalla prospettiva dello studio o dalla sua tipologia, vengono eliminati dalla valutazione e non se ne tiene conto nel calcolo finale del valore assoluto e del valore percentuale. I NON SO sono requisiti la cui presenza nell’analisi è poco chiara, incompleta o incerta perché non dichiarati dall’analista. In tal caso, ricalcolandoli come tutti SI e come tutti NO, si otterranno i valori estremi di un intervallo di confidenza.




Si può notare come molti argomenti che riguardano i requisiti prevedano più di una domanda; ciò perché si vuole dare un peso non solo alla presenza del dato, ma anche, come già accennato, alla sua origine (coerenza con la prospettiva dell’analisi) e al periodo di tempo cui si riferisce (coerenza con il periodo osservato). Inoltre, nel caso dei dati di effectiveness le domande sono cinque, perché i dati raccolti possono provenire anche da contesti diversi ovvero essere riferiti ad un campione e arbitrariamente estesi ad ambiti più o meno ampi ancorchè comprensivi della popolazione studiata (incoerenza con la prospettiva). Possono infine riferirsi non solo ad un periodo di tempo diverso da quello dell’analisi (incoerenza con il periodo di tempo), ma anche alimentare modelli statistici e ottenere dati estrapolati dall’ambito osservato (incoerenza con l’ambito osservato).

Viene calcolato quindi l’ indice di affidabilità α del risultato R dell’ analisi, definito come la probabilità che il risultato dell’analisi stessa coincida con quello reale, secondo la formula:




Dove n è il numero delle Strutture Operative che erogano la prestazione, p la percentuale dei requisiti presenti nell’analisi.

Il grado massimo di affidabilità (αR = 100) si ottiene con: p = 100, n = 1, quando cioè il soggetto generatore di esiti è unico (ad esempio un singolo reparto ospedaliero, un singolo ambulatorio) e quando tutti i requisiti sono presenti nell’analisi.

Il grado minimo di affidabilità (αR = 0) si ottiene con: p = 0, n =….

Infatti quanto più allarghiamo l’ambito locale dell’analisi, aumentando il numero dei centri erogatori della prestazione (generatori dei costi e dell’efficacia o esiti, omogenei al loro interno per procedure operative), e quanto più bassa è la percentuale dei requisiti presenti nell’analisi, tanto più ampia è la variabilità dei valori dei costi e degli esiti e la distanza del valore medio del risultato da quello reale: di conseguenza diminuisce il valore dell’ indice di affidabilità α del risultato R. Ovviamente quanto più i requisiti presenti si avvicinano al 100%, e quanto più basso è il numero dei centri erogatori l’assistenza, tanto maggiore è la probabilità che il risultato R coincida con il rapporto reale di efficienza o incrementale di costo/efficacia.

Questo metodo di misura proposto si addentra in un ambito nuovo e molto complesso, di conseguenza presenta indubbi aspetti di imperfezione. In primo luogo i trentadue requisiti individuati potrebbero non avere tutti lo stesso peso statistico. In secondo luogo gli studi molto spesso non dichiarano il numero dei centri erogatori della prestazione, il che costringe a dare a n il valore 1 sovrastimando il risultato. Inoltre il numero dei “NON SO”, a volte veramente elevato, determina intervalli di confidenza molto ampi. Dubbi, infine, possono essere sollevati sull’inserimento del requisito n. 9 “i dati di effectiveness sono stati pesati in base alla popolazione trattata” e potrebbe entrare in contraddizione col criterio real life; tuttavia, il peso della popolazione potrebbe rendere più uniforme e stabile il risultato, oltre che confrontabile.

Si invitano pertanto tutti coloro che sono interessati all’argomento ad aprire una discussione per migliorare il metodo proposto con modifiche o alternative al fine di dare corrette chiavi di lettura ai i risultati delle analisi farmacoeconomiche evitando che restino meri esercizi accademici di abilità statistiche e diventino utili strumenti di informazione e supporto ai processi decisionali sanitari.

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