Ode alla Farmacia.
Nuove odi elementari, 1956; Pablo Neruda

Daniela Scala
AORN A. Cardarelli, Napoli
sdaniela2000@yahoo.com



Cara collega, caro collega
Questa volta la scelta si articola su tre livelli (nella versione on-line: http://tinyurl.com/ng5h9dm): poesia, musica e immagine.
La poesia, la musica e le immagini sono tre linguaggi evocativi, che fanno da suggeritori alle cose. Quante volte diciamo nel linguaggio comune la suggestione di una musica, di una prosa, di una poesia?
La poesia, ancor più del romanzo, è la forma artistica per eccellenza che ci consente di avvicinarci al nostro mondo interiore. La poesia, voce universale delle emozioni e dei sentimenti, è la parola che libera e porta a espressione “visibile” quanto sta nel “cuore chiuso” (La poesia è la voce universale delle emozioni e dei sentimenti. È parola che libera e rende visibile quanto sta nel cuore chiuso. Puro distillato di emozioni nella forma di linguaggio” Alda Merini).
La poesia, al pari della letteratura, pur nelle differenze esistenti tra esse, è una pratica dialogica, ossia un’attività che mette in dialogo chi vive un’esperienza con chi l’ascolta, esattamente come accade nel colloquio clinico, che mette in relazione chi vive la malattia con chi l’ascolta per trovare un rimedio, o almeno un sollievo.
Questa è la motivazione dell’uso dei tre linguaggi: un ponte tra sentimento e ragione; ingredienti indispensabili per la cura, così come per qualsiasi attività  declinata con l’idea del prendersi cura e dell’aver cura.
To be continued….. con i vostri commenti e riflessioni a sdaniela2000@yahoo.com


Ode alla Farmacia


Che odore di bosco
ha
la farmacia!
Di ciascuna
radice salì l’essenza
a profumare
la pace
del farmacista,
si sminuzzarono
sali
che producono
prodigiosi unguenti,
la secca solfatara
macinò, macinò, macinò
lo zolfo
nel suo mulino
e qui è
unito
con la resina
del copale favoloso:
tutto
si fece capsula,
polvere,
particella
impalpabile,
preservatore
principio.
Il mortaio
pestò minuti
asterischi,
aromi,
palle di bismuto,
spugne secche,
calce.
Nel fondo
della sua farmacia
vive
l’alchimista
antico,
i suoi occhiali
sopra
una moltiplicata
narice,
il suo prestigio
nei flaconi,
circondato
da numeri
misteriosi:
la noce vomica,
l’alcale,
il solfato,
la gomma
delle isole,
il muschio,
il rabarbaro,
l’infermale belladonna,
e l’arcangelico bicarbonato.
Poi le vitamine
invasero
con i loro abbecedari
saggi scaffali.
Dalla terra,
dall’humus,
dai funghi,
germogliarono
i bastoni
della penicillina.
Da ciascuna
viscera
morta
volarono
come api
gli ormoni
e occuparono
il loro posto nella farmacia.
A mano a mano
che nel laboratorio
si combatte
la morte
avanza
la bandiera
della vita,
si registra
un movimento
nell’aroma
della vecchia farmacia:
i lenti
balsami
del passato
fanno
posto
all’istantanea scatola
di iniezioni
e concentra una capsula la nuova
velocità
della gara
dell’uomo con la morte.
Farmacia, che sacro
odore di bosco
e di conoscenza
sale dalle tue
scaffalature,
che diversa
profondità di aromi
e regioni:
il miele
di un legno,
la purissima polvere
di una rosa
o il lutto
di un veleno.
Tutto
nel tuo ambito chiaro,
nella tua università
di flaconi e cassetti,
attende
l’ora della battaglia nel nostro corpo.
Farmacia, chiesa
dei disperati
con un piccolo
dio
in ciascuna pillola:
spesso eri
troppo cara,
il prezzo
di un rimedio
chiude le tue chiare porte
e i poveri
con la bocca stretta
tornano alla camera oscura del malato,
che arrivi un giorno
gratis
di farmacia,
che non continui
a vendere
la speranza,
e che siano
vittorie
della vita,
di ogni
vita umana
contro
la poderosa
morte,
le tue vittorie.
E cos’ saranno migliori
i tuoi allori,
saranno più odorosi i solfati,
più azzurri l’azzurro del metilene
e più dolce la pace del chinino.