Resilienza

Laura Fabrizio
laurafabrizio01@gmail.com

“La scommessa è che le singole parole, quasi sussurrate, conservino il fascino
della narrazione, suscitando nel lettore il desiderio di leggere e ricercare, per propria
autonoma scelta, anche quello che è taciuto”.


In tempi di crisi globale come quelli nostri, per non farsi sopraffare, non basta più essere “resistenti”, meglio se si diventa “resilienti”.
La parola “Resistenza” deriva dal verbo latino “resistere”, che è composto dalla particella Re- (addietro) che conferisce l’idea di opposizione e -sistere (fermarsi), formato dall’addoppiamento della radice di sta-re (star fermo, star saldo, non cedere all’urto, reggere, durare). Anche “Resilienza” deriva dal latino resiliens -entis, part. pres. di “resilìre”, ma col significato di rimbalzare, comp. da Re- (indietro) e -salìre (saltare).
In ingegneria, da cui il concetto di resilienza è mutuato, si intende la capacità di un materiale di adattarsi al cambiamento assorbendo energia di deformazione elastica. Termine molto usato in psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria identità.
Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere traguardi importanti. Si può concepire la resilienza come una funzione psichica, che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, al vissuto e, soprattutto, al modificarsi dei processi mentali che ad essa sottendono.
A. Canevaro definisce la resilienza come «la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura».
Certamente è una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita e di lavoro, in particolare i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l’acquisizione di comportamenti resilienti. 
Per noi farmacisti, resilienza è senz’altro una parola chiave per interpretare l’attuale fase di transizione. Potremmo definirla come l’arte dell’adattamento al cambiamento, volgendo le incertezze in opportunità e i rischi in innovazione. Per innovare, infatti, oltre all’autostima serve appunto resilienza, modalità della mente e della psiche umana di reinventarsi e rigenerarsi.
In questi ultimi anni, infatti, nella nostra Società scientifica l’intero apparato dei quadri direttivi, sia a livello nazionale sia a livello regionale, ha dovuto prima resistere, poi adattarsi e rafforzarsi, a fronte di situazioni di rischio, generando risultati di eccellenza grazie a comportamenti, indirizzi e linee guida che hanno consentito non solo la sopravvivenza, ma anche l’espansione e l’influenza della SIFO in tutti gli ambiti della sanità italiana.
Applicato alla collettività, anziché al singolo individuo, il concetto di resilienza si sta affermando nell’analisi dei contesti sociali successivi a gravi catastrofi naturali o dovute all’azione dell’uomo. Vi sono processi economici e sociali che, in conseguenza del trauma costituito da una catastrofe, cessano di svilupparsi o, addirittura, si estinguono; in altri casi, al contrario, sopravvivono e, anzi, trovano la forza e le risorse per una nuova fase di crescita e di affermazione. In SIFO, dopo la sciagurata scissione di una sparuta minoranza di ex notabili, i fattori identitari, la forte coesione tra i soci, la comunità di intenti e di valori hanno costituito il fondamento essenziale di questa “Sifo resiliente”, a riprova di quanto affermava F. Nietzsche: <ciò che non lo uccide, lo rende più forte>.
Abbiamo detto che la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento. Infatti, in ecologia e biologia, la resilienza è la capacità di una materia vivente di auto ripararsi dopo un danno, o quella di una comunità o di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato. La sua azione può essere paragonata a quella del nostro sistema immunitario chiamato a proteggerci dalle aggressioni esterne.
La resilienza è in altri termini la capacità di auto ripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo.
Essere resilienti non significa infatti solo sapersi opporre alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, e permette la costruzione, anzi la ri-costruzione, di un percorso di vita. La persona resiliente reagisce con tolleranza alla sofferenza e invece di soccombere o lamentarsi con enfasi amplificando il problema, la sfida e trae forza dalla sua impresa direzionando le sue energie verso cambiamenti risolutivi e praticabili.
La propria sofferenza, quindi, può essere vista come un valore aggiunto e fonte di maggiore sensibilità verso le bellezze dell’esistenza, nonché per le sofferenze altrui. Se è vero che certe ferite non si rimargineranno mai completamente, qualunque trauma, se non vissuto passivamente come punizione o negazione della felicità, può rappresentare, nel suo accadere repentino e imprevedibile, un’occasione di realizzazione superiore. Le difficoltà quindi come opportunità, come sfida, che mobilita le proprie risorse, sia interne sia esterne, una sfida dalla quale non ci si può esimere, in nome del raggiungimento di un equilibrio più funzionale. Gli individui resilienti trovano sempre, in se stessi e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare.
Secondo Cantoni esplorando i fattori protettivi, è possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza; essi sono:
1. L’ottimismo, quindi, la disposizione a cogliere il lato buono delle cose;
2. L’autostima, che si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi;
3. La robustezza psicologica;
4. Le emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca;
5. Il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati.

In definitiva, ciò che determina la qualità della resilienza è la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono potuti creare prima e dopo l’evento traumatico.
Se volessimo tracciare un profilo della persona resiliente, diremmo così:
– Sopporta i dolori senza lamentarsi e regge le difficoltà senza disperarsi;
– Ha il coraggio di intraprendere con consapevolezza una via che sa essere tortuosa o, comunque, non la più semplice;
– Ama la vita per quello che è nel presente e coltiva una propria spiritualità e virtù che moderano i timori di morte;
– Ricorda di essere esposta al pericolo in quanto mortale, e nel contempo affronta ciò che la ostacola per cercare di superarlo con saggia audacia.

Perciò, le persone con un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà e a dare nuovo slancio alla propria esistenza. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle piuttosto che indebolirle. Esse tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative; sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze.
Secondo S. Kobasa le persone che meglio riescono a fronteggiare le contrarietà della vita, quelle più resilienti appunto, mostrano contemporaneamente tre tratti di personalità: l’impegno, il controllo, il gusto per le sfide.
Per impegno s’intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività. La persona con questo tratto si dà da fare, è attiva, non è spaventata dalla fatica; non abbandona facilmente il campo; è attenta e vigile, ma non ansiosa; valuta le difficoltà realisticamente. Perché ci sia impegno è necessario avere degli obiettivi, qualcosa da raggiungere, per cui lottare e in cui credere.
Per controllo s’intende la convinzione di poter dominare in qualche modo ciò che si fa o le iniziative che si prendono, ovvero la convinzione di non essere in balia degli eventi. La persona con questo tratto, per riuscire a dominare le diverse situazioni della vita, è pronta a modificare anche radicalmente la strategia da adottare, per esempio, in alcuni casi intervenendo con grande tempestività, in altri casi indietreggiando, prendendo tempo, aspettando.
L’espressione “gusto per le sfide” fa riferimento alla disposizione ad accettare i cambiamenti. La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi. Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose. La persona generalmente è aperta e flessibile.
Impegno, controllo e gusto per le sfide sono tratti di personalità di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati.
È opinione condivisa che la resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque.
Va precisato che avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita, così come non significa essere infallibili, ma disposti al cambiamento quando necessario; disposti a pensare di poter sbagliare, ma anche di poter correggere la rotta.
Altri fattori si possono aggiungere:
– una visione positiva di sé ed una buona consapevolezza sia delle abilità possedute sia dei punti di forza del proprio carattere;
– la capacità di porsi traguardi realistici e di pianificare passi graduali per il loro raggiungimento;
– adeguate capacità comunicative e di “problem solving”;
– una buona capacità di controllo degli impulsi e delle emozioni.
È per questo che l’attività formativa e la politica svolte dalla SIFO negli ultimi anni sono state improntate al raggiungimento, da parte dei soci, di un alto livello di resilienza, oltre che culturale e scientifico, prestando particolare attenzione ai giovani colleghi.
Da qualche tempo, con forte orgoglio, stiamo raccogliendo i frutti di questo enorme, difficile ed entusiasmante lavoro, che ha visto variamente impegnati i Responsabili della nostra Società ai quali va tutta la mia personale gratitudine di presidente della SIFO.